TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE LAZIO – Ordinanza 04 luglio 2019
Previdenza e assistenza sociale – Integrazione salariale straordinaria – Procedimento – Previsione che, in caso di presentazione tardiva della domanda, il trattamento decorre dal trentesimo giorno successivo alla presentazione della domanda medesima – Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), art. 25, comma 3.
1. Con ricorso notificato in data 21 maggio 2016, la ricorrente, « A.G.S. s.r.l.», ha asserito di operare nel settore dei servizi di pulizia e delle attività ferroviarie.
In tale ambito il «Consorzio S.M. » le ha affidato l’esecuzione dell’attività di pulizia del materiale rotabile per i lotti 1 e 2 ricadenti in diverse province della Regione Sicilia.
La ricorrente ha esposto altresì, che in data 22 settembre 2015, ha incontrato le Organizzazioni sindacali di categoria per discutere in ordine alle modalità di «passaggio di cantiere» di tutte le maestranze sino a quel momento impiegate dalla precedente aggiudicataria, come previsto dall’art. 16-bis del CCNL delle Attività ferroviarie.
Nella medesima data, previo accordo con le parti sociali, la deducente «si è impegnata ad assorbire tutto il personale avente diritto, garantendo l’integrale applicazione del CCNL di categoria ed i relativi accordi sottoscritti in sede nazionale nonché alla riduzione oraria per effetto degli ammortizzatori sociali in atto alla data del passaggio».
In data 1° ottobre 2015 le parti hanno formalizzato le intese raggiunte in data 22 settembre 2015, stabilendo di: «sottoscrivere un contratto di solidarietà ai sensi e per gli effetti dell’art. 21, comma 1, lettera c) e comma 5 del decreto legislativo n. 148/2015 relativamente al personale impegnato nella Regione Sicilia per il periodo dal 2 ottobre 2015 al 1° ottobre 2016».
Il periodo di fruizione dei benefici di cui al «contratto di solidarietà difensivo» era quindi quello ricompreso tra il 2 ottobre 2015 e il 10 ottobre 2016, in virtù di quanto stabilito nell’accordo del 22 settembre 2015 e formalizzato il successivo 1° ottobre 2015.
La ricorrente, «A.G.S. s.r.l.», ha rilevato, inoltre, che con domanda presentata in data 30 novembre 2015, ha chiesto la fruizione del beneficio della solidarietà difensiva per il periodo 2 ottobre 2015 – 1° ottobre 2016.
Con decreto n. 95032 emesso e notificato in data 24 marzo 2016, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha provveduto nei modi di cui appresso: «per quanto premesso e richiamato è autorizzata, per il periodo dal 30 dicembre 2015 al 1° ottobre 2016, la corresponsione del trattamento di integrazione salariale in favore dei lavoratori dipendenti dalla s.r.l. A.G.S.».
La ricorrente ha lamentato, in ultimo, che con il menzionato decreto il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha differito la decorrenza del beneficio dal 2 ottobre 2015 al 30 dicembre 2015 ai sensi di quanto previsto dall’art. 25, comma 3, del decreto legislativo n. 148/2015. In corso di causa, la «A.G.S. s.r.l.», in persona del legale rappresentante pro-tempore, ha depositato istanza ex art. 55 c.p.a, a fronte della sopravvenuta modifica della normativa di cui all’art. 25 del decreto legislativo n. 148/2015 a seguito dell’emanazione dell’art. 2, primo comma, lettera b) del decreto legislativo dl 24 settembre 2016, n. 185), al fine di chiedere la sospensione della esecutività e della esecutorietà del provvedimento impugnato.
1.1. Si è costituito il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in persona del Ministro pro tempore, contestando ogni avverso dedotto.
Con ordinanza n. 324/2018 del 24 gennaio 2018, la Sezione ha accolto la domanda cautelare: «Ritenuto che vi siano i presupposti per concedere l’invocata misura cautelare in particolare sotto il profilo del danno grave e irreparabile; Ritenuto di fissare l’udienza pubblica al fine di una compiuta delibazione di tutte le questioni poste con il ricorso, ivi compresa la questione di legittimità costituzionale prospettata».
Alla pubblica udienza del 29 maggio 2018 sulle conclusioni delle parti il gravame è stato ritenuto in decisione.
Con sentenza n. 9403 del 17 settembre 2018 la Sezione respingeva i motivi 1, 2, 3, 4, 5 e 7 del ricorso, riservando a separata ordinanza la valutazione della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata e sollevata dalla parte ricorrente.
2. Orbene, al riguardo con il sesto motivo, scrutinato congiuntamente all’ottavo, la ricorrente solleva la questione della legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 3, decreto legislativo n. 148/2015 nella parte in cui stabilisce che «In caso di presentazione tardiva della domanda, il trattamento decorre dal trentesimo giorno successivo alla presentazione della domanda medesima».
Per parte ricorrente tale disciplina delinea un trattamento deteriore rispetto a quello in precedenza statuito dall’art. 7 della legge n. 164/1975 a mente del quale in caso di presentazione dell’istanza oltre il termine indicato al comma precedente l’eventuale trattamento di integrazione salariale non potrà aver luogo per periodi anteriori di una settimana rispetto alla data di presentazione.
Il differente trattamento sanzionatorio non rinviene alcuna ragione pratica.
La norma appare alla deducente confliggente con gli articoli 2, 3, 36 e 97 della Costituzione atteso che, come illustrato al sesto motivo, scarica sull’impresa l’onere di sostenere i trattamenti di integrazione relativamente ai trenta giorni successivi alla presentazione dell’istanza.
La norma discrimina inoltre a detrimento della posizione delle imprese operanti nel settore degli appalti pubblici, le quali in forza della c.d. clausola sociale sono obbligate ad assumere i dipendenti delle imprese appaltatrici a cui subentrano.
2.1. Il Collegio ritiene, conviene anticipare, che la prospettata questione di infrazione costituzionale sia rilevante, in quanto il suo positivo scrutinio ad opera della Consulta imporrebbe l’accoglimento del ricorso, e non manifestamente infondata, per le ragioni che saranno esposte in separata ordinanza.
In caso di subentro infatti, l’impresa subentrante non è immediatamente titolare prima della formalizzazione del subentro, dei rapporti contrattuali di lavoro con i dipendenti dell’impresa precedente, per cui sarà costretta a procrastinare l’avvio e poi la formalizzazione degli accordi con le OO.SS. intesi alla richiesta del trattamento di integrazione, con la conseguenza, illogica e vessatoria, che per la fase antecedente al subentro il trattamento di integrazione dovrà gravare sull’imprenditore subentrante poiché l’intervento statale decorrerà dal trentesimo giorno successivo alla presentazione della domanda di integrazione.
3. L’illustrata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma 3 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 appare alla Sezione rilevante e non manifestamente infondata.
Sotto il primo ineludibile profilo, emerge a chiare note dalla scrutinata infondatezza degli esaminati primi cinque motivi di ricorso, respinti con sentenza n. 9403/2018, come in caso di accoglimento della rimessa questione di declaratoria di incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, decreto legislativo cit. che ha costituito il fondamento giuridico del provvedimento impugnato, il Tribunale dovrà accogliere il gravame.
3.1. Sotto il concorrente profilo della non manifesta infondatezza della questione, va subito rimarcato come il meccanismo della posticipazione del trattamento di integrazione al periodo successivo al compimento del trentesimo giorno dalla presentazione dell’istanza prodotta oltre il termine prescritto, determini un’ingiustificata compressione della sfera privata del datore di lavoro, il quale dovrà sopportare i costi del trattamento integrativo per i trenta giorni antecedenti l’inizio del medesimo.
Siffatta sanzione al comportamento dell’impresa che ha presentato la domanda oltre il termine stabilito, che è di sette giorni dalla data di conclusione della procedura di consultazione sindacale ovvero dalla data di stipula dell’accordo collettivo aziendale, appare alla Sezione ingiustificatamente onerosa per l’impresa e rappresenta nella sostanza la risposta sanzionatoria dell’ordinamento al comportamento non puntuale dell’imprenditore che ha lasciato trascorrere il termine massimo di sette giorni fissato per la presentazione della domanda di sussidio.
Va tuttavia debitamente tenuto conto della ristrettezza dell’anzidetto termine di sette giorni, spirato il quale la presentazione tardiva dell’istanza comporta che il trattamento verrà riconosciuto solo per il periodo successivo al compimento del trentesimo giorno dalla stessa.
3.2. Ma in tal guisa si producono due conseguenze di non poco momento.
La prima è che viene scaricato sull’imprenditore il peso e l’onere della corresponsione ai dipendenti, del trattamento retributivo e previdenziale per i trenta giorni antecedenti alla concessione della provvidenza.
E ciò appare tanto più grave se si considera che in tal modo vengono frustrate le finalità stesse dell’istituto della cassa integrazione, che sono sociali ed assistenziali (Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 aprile 2014, n. 2004; Tribunale amministrativo regionale Campania – Salerno, sez. I, 12 dicembre 2017, n. 1750; Tribunale regionale di giustizia amministrativa Trentino-Alto Adige, 4 novembre 2015, n. 432).
La risposta sanzionatoria dell’ordinamento si profila ancor più ingiusta ove si rifletta che essa interviene ai danni di un soggetto che versa già in condizioni di crisi aziendale, tanto da indurlo alla richiesta del pubblico sussidio. Di talché appare oltremodo illogico addossare al medesimo anche l’onere aggiuntivo di sopportare il carico della retribuzione e degli oneri riflessi dei lavoratori nel periodo non coperto dalla provvidenza.
3.3. L’altra e parallela conseguenza di cui si faceva cenno, insita nel delineato meccanismo di postdatazione dell’aiuto pubblico, è il sacrificio che lo stesso determina della sfera di libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 42 della Costituzione, atteso che viene scaricato sull’imprenditore datore di lavoro un onere che invece lo Sato riconosce, almeno provvisoriamente, come proprio, ma a far tempo dal trentesimo giorno successivo alla data di presentazione della domanda di aiuto.
Ma se viene positivamente delibata la sussistenza dei presupposti dell’aiuto, non si intravede la ragione per la quale siffatto onere debba gravare sul datore di lavoro solo perché l’istanza è stata prodotta, in ipotesi, l’ottavo giorno dalla conclusione dell’accordo sindacale.
4. Il che dà la stura ad un’ulteriore considerazione.
Stante l’illustrata angustia del termine di soli sette giorni dalla conclusione dell’accordo sindacale finalizzato alla richiesta di contributo, la sanzione della sua inosservanza anche di un solo giorno si profila sproporzionata e confliggente con il principio di proporzionalità, che è poi un corollario di quello di ragionevolezza, che anche il legislatore è tenuto a rispettare. Il principio di proporzionalità, di matrice comunitaria, riceve oggi indubbia copertura costituzionale ed è entrato a pieno titolo a far parte dei principi generali che debbono orientare l’azione della pubblica amministrazione.
La giurisprudenza ha anche di recente condivisibilmente puntualizzato che il «principio di proporzionalità che è corollario di quello di ragionevolezza e di parità di trattamento di situazioni uguali non solo avente rango costituzionale fondamentale, perché insito nell’art. 3 Cost., ma risultante anche espressamente ricompreso tra i principi dell’ordinamento comunitario e, di conseguenza, con pieno ingresso nel nostro ordinamento, in virtù del disposto del comma 1 dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990.» (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 10 novembre 2017, n. 5299), precisando altresì il «principio di proporzionalità della sanzione, che costituisce peraltro corollario di quello di ragionevolezza e di parità di trattamento, aventi rango costituzionale fondamentale.» (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I, 3 luglio 2017, n. 7549).
Assodato dunque che il principio di proporzionalità ha rilievo e dignità costituzionale, va ricordato che lo stesso informa non solo l’attività della pubblica amministrazione, ma anche quella del legislatore, come si afferma nella giurisprudenza costituzionale.
4.1. Va segnalato al riguardo codesta sovrana Corte, a proposito degli articoli 866, 867 e 923 del Codice dell’ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 che ricollegavano in virtù di un automatismo irragionevole e sproporzionato, la destituzione del militare per perdita del grado quale mera conseguenza della condanna comportante la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici senza che la pubblica amministrazione dovesse valutare l’incidenza del comportamento posto in essere dal dipendente, sulla complessiva fiducia e sul rapporto di immedesimazione organica che lo lega all’Amministrazione.
Veniva dunque eluso il necessario il promovimento di un’inchiesta disciplinare con le correlate garanzie partecipative e difensive per l’incolpato; codesta Corte ha avuto occasione di individuare «il fondamentale canone di ragionevolezza e proporzionalità, a cui tutte le leggi debbono conformarsi» (Corte costituzionale, 15 dicembre 2016, n. 268).
Il principio di proporzionalità è violato nel caso di specie nella misura in cui l’art. 25, comma 3 del decreto legislativo n. 148/2015 sancisce anche per un solo giorno di ritardo rispetto al già ristretto termine di sette giorni dalla conclusione dell’accordo sindacale, nella presentazione della domanda di cassa integrazione straordinaria, si produce l’effetto di far decorrere l’aiuto solo a partire dal trentesimo giorno successivo alla data di presentazione dell’istanza.
Si è di recente condivisibilmente puntualizzato quanto allo spettro del principio di proporzionalità che «Il principio di proporzionalità investe lo stesso fondamento dei provvedimenti limitativi delle sfere giuridiche del cittadino ed assume, nell’ordinamento interno, lo stesso significato che ha nell’ordinamento eurocomune, alla luce della clausola di formale recezione ex art. 1, comma 1, legge n. 241 del 1990, come novellato dalla legge n. 15 del 2005;» (Consiglio di Stato, Sez. V, 16 agosto 2018, n. 4943).
4.2. Conviene rammentare che più di recente codesta sovrana Corte ha fatto applicazione del principio di proporzionalità proprio con riguardo ad una scelta legislativa che prevedeva e comminava la riduzione della quota del fondo per il trasporto pubblico locale spettante alla regione interessata nella misura del 20 per cento, anziché fino al 20 per cento, in applicazione «di una sanzione fissa per qualsiasi inadempimento, a prescindere dalla sua consistenza».
Si è statuito infatti che «E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 39 decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, come convertito, nella parte in cui determina la riduzione della quota del fondo per il trasporto pubblico locale spettante alla regione interessata nella misura del 20 per cento, anziché fino al 20 per cento, in proporzione all’entità della mancata erogazione a ciascuna provincia e città metropolitana del rispettivo territorio delle risorse per l’esercizio delle funzioni ad esse conferite. La rigida previsione di una sanzione fissa per qualsiasi inadempimento, a prescindere dalla sua consistenza, non solo non è di per sé idonea a raggiungere i fini perseguiti – far sì che le regioni eroghino tempestivamente tutte le risorse per lo svolgimento delle funzioni da esse conferite a province e città metropolitane – ma può comportare un onere sproporzionato anche rispetto al loro raggiungimento» (Corte costituzionale, 27 giugno 2018, n. 137).
4.2.1. La valenza del divisato principio è stata da codesta Corte predicata anche in ambito penale, scrutinando la conformità a Costituzione del trattamento sanzionatorio operato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 e in particolare dell’art. 73, commi 1 e 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, testo unico in materia di stupefacenti, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 25 e 27 della Costituzione laddove prevedono un non proporzionato trattamento sanzionatorio tra fattispecie in materia di stupefacenti.
La Consulta ha in quell’occasione rivolto un invito al legislatore proprio al rispetto del principio di proporzionalità, autorevolmente affermando che «tenuto conto dell’elevato numero dei giudizi, pendenti e definiti, aventi ad oggetto reati in materia di stupefacenti, non può non formularsi un pressante auspicio affinché il legislatore proceda rapidamente a soddisfare il principio di necessaria proporzionalità del trattamento sanzionatorio, risanando la frattura che separa le pene previste per i fatti lievi e per i fatti non lievi dai commi 5 e 1 dell’art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990». (Corte costituzionale, 13 luglio 2017, n. 179).
4.3. Risulta pertanto acquisito nell’insegnamento di codesta Consulta che il principio di proporzionalità è un vincolo anche per il legislatore ordinario e deve ricevere osservanza onde scongiurare il rischio che si determinino reazioni ordinamentali di tipo o quanto meno della sostanza sanzionatorie a fronte di violazioni di scarsa consistenza di norme che stabiliscano adempimenti a carico dei soggetti dell’ordinamento.
Maggiormente proporzionata e ragionevole si prospettava invece la previgente disciplina di cui all’art. 7 della legge n. 164 del 20 maggio 1975, che stabiliva che «Qualora la domanda venga presentata dopo il termine indicato nel comma precedente, l’eventuale trattamento di integrazione salariale non potrà aver luogo per periodi anteriori di una settimana rispetto alla data di presentazione».
Lo spartiacque temporale era dunque costituito sempre dalla data della domanda, ma i relativi effetti non potevano retroagire ad oltre una settimana dalla stessa.
Viceversa secondo il meccanismo ingiusto e gravatorio dell’art. 25, comma 3 del decreto legislativo n. 148/2015, il periodo retributivo coperto dalla provvidenza pubblica decorrerà dalla scadenza del trentesimo giorno successivo alla data di presentazione dell’istanza.
4.1. Né è dato rinvenire nei lavori preparatori al varo del decreto legislativo n. 148/2015 alcuna ragione giustificatrice del censurato meccanismo di postdatazione della decorrenza dell’aiuto, apparendo dunque la sanzione apprestata dall’ordinamento anche a fronte di un solo giorno di ritardo rispetto all’angusto termine di sette giorni, quanto mai violativa del principio di ragionevolezza e proporzionalità scolpiti all’art. 3 della Carta fondamentale.
Si stenta invero ad individuare superiori ragioni di prevalente interesse pubblico militanti a supporto della tratteggiata disposta sperequazione e sproporzione.
5. Del pari non senza rilievo è anche l’ulteriore profilo di discriminazione segnalato dalla parte ricorrente, relativamente alla posizione delle imprese appaltatrici di opere o lavori pubblici che versino in situazioni di crisi aziendale abilitante alla richiesta del sostegno integrativo pubblico.
Invero, va considerato che in caso di subentro di un appaltatore nella gestione di un servizio ovvero di un’opera pubblica in forza della c.d. clausola sociale, presente in tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro e in virtù della quale l’impresa subentrante a seguito di gara pubblica è obbligata ad assumere alle sue dipendenze e per tutta la durata della commessa, i lavoratori dipendenti dell’impresa uscente, siccome il delineato meccanismo di postdatazione dell’aiuto comporta la sua decorrenza non immediata ma differita alla scadenza del trentesimo giorno successivo alla presentazione della domanda, ne deriva che l’impresa appaltatrice subentrante non può immediatamente porre in essere le misure integrative del salario, a differenza delle imprese che, essendo già titolari delle posizioni giuridiche datoriali nei confronti dei propri dipendenti, possono anticipare le trattative sindacali e gli accordi negoziali.
Ne consegue la violazione del principio di uguaglianza a detrimento delle imprese appaltatrici subentranti.
In definitiva, alla luce delle considerazioni tutte fin qui svolte, la prospettata questione di legittimità costituzionale si profila rilevante e non manifestamente infondata e impone di sollevare la stessa innanzi a codesta Corte formalmente rilevando il contrasto dell’art. 25, comma 3 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 nella parte in cui stabilisce che in caso di presentazione della domanda di integrazione salariale straordinaria oltre il prescritto termine il trattamento decorre solo dalla scadenza e del trentesimo giorno dalla presentazione dell’istanza, con gli articoli 3 e 41 della Costituzione e con il principio di ragionevolezza e proporzionalità.
Sul fondamento delle argomentazioni che precedono ed alla stregua della rilevanza e della reputata non manifesta infondatezza della questione prospettata, si rimette la sua definizione alla Corte costituzionale con sospensione del presente giudizio.
P.Q.M.
letto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3 e 41 della Costituzione e per contrasto con essi, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 3 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 nella parte in cui stabilisce che in caso di presentazione della domanda di integrazione salariale straordinaria oltre il prescritto termine il trattamento decorre solo dalla scadenza e del trentesimo giorno dalla presentazione dell’istanza, con gli articoli 3 e 41 della Costituzione e con il principio di ragionevolezza e proporzionalità.
Sospende medio tempore il presente giudizio con rinvio al definitivo per ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese di lite.
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Ordina che, a cura della segreteria del Tribunale, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della conseguente pronuncia della Corte costituzionale decorre il termine perentorio di mesi sei per la riassunzione in questa sede del giudizio medio tempore con la presente ordinanza sospeso.
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