La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 2455 depositata il 4 Febbraio 2014 intervenendo in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro affermando che è onere del datore di lavoro (o della persona da lui nominata) provvedere alla sorveglianza diretta dei sottoposti, al fine di evitare che gli stessi operino senza quelle precauzioni necessarie a garantire la loro sicurezza.
La vicenda ha visto protagonista un lavoratore che aveva subito un infortunio a causa della caduta da un’impalcatura mentre eseguiva alcune opere di montaggio e smontaggio. Per tale attività lavorativa risulta obbligatorio cintura di sicurezza, debitamente agganciata, qualora non sia possibile disporre di impalcature di protezione o di parapetti. Dagli atti processuali era risultato che il lavoratore svolgeva la predetta atività senza alcune di tali misure di prevenzioni.
Il Tribunale adito si era pronunciato affermando la responsabilità del datore di lavoro ed accogliendo le richieste di risarcimento del lavoratore. Avverso la pronuncia del giudice di prime cure, il datore di lavoro, proponeva ricorso dinanzi alla Corte di Appello che riformava parzialemente la sentenza impugnata. I giudici di appello riconoscono il concorso di colpa del lavoratore nella misura del 30% con conseguente riduzione del risarcimento del danni.
Per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure il datore di lavoro, per il tramite del suo difensore, proponeva ricorso, basato su quattro motivi di censura, alla Corte Suprema. Il lavoratore e l’INAL propongono ricorso incidentale.
Gli Ermellini respingono il ricorso principale del datore di lavoratore, mentre accolgono i ricorsi incidentali cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello.
I giudici di legittimità alla luce del principio affermato nella sentenza in commento ritengono il datore di lavoro è sempre responsabile della tutela del lavoratore. Pertanto lsi configura la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che ometta del tutto la vigilanza circa l’adeguamento dei dipendenti alla normativa vigente, sia quando il dipendente ometta di adottare le opportune precauzioni ed i dipositivi di protezione individuali.
La responsabilità del datore di lavoro sarà esclusa solo nel caso in cui venga integrato il c.d. “rischio elettivo“, con tale termine viene definito un comportamento del dipendente assolutamente imprevedibile e abnorme provocando danni a se stesso e ad altri. L’onere di provare la sussistenza del rischio elettivo grava sul datore di lavoro.
Nella controversia posta all’esame della Corte Suprema è risultato che il lavoratore svolgeva la propria attività senza indossare né osservare idonee misure di prevenzione, allora la responsabilità dell’infortunio resta totalmente a carico del datore di lavoro.
I giudici del Palazzaccio in merito al riparto di responsabilità tra datore e altri responsabili hanno affermato che “ai fini della ripartizione di responsabilità stabilita, in via gerarchica, tra datore di lavoro, dirigenti e preposti, la figura del preposto ricorre nel caso in cui il datore di lavoro, titolare di una attività aziendale complessa ed estesa, operi per deleghe secondo vari gradi di responsabilità, e presuppone uno specifico addestramento a tale scopo oltre al riconoscimento, con mansioni di caposquadra, della direzione esecutiva di un gruppo di lavoratori e dei relativi poteri per l’attribuzione di compiti operativi nell’ambito dei criteri prefissati”.
Per cui con il termine “preposto” non può ricomprendersi l’operaio professionalmente più anziano della squadra, il quale, sebbene conservi esperienza maggiore rispetto agli altri dipendenti, non gode di delega apposita né si è impegnato in specifico addestramento da capo squadra con i poteri di direzione e controllo esecutivo che ne derivano.
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