La Corte di Cassazione sez. Tributaria con la sentenza n. 15959 del 25 giugno 2013 interviene in tema d’imposte di registro ipotecaria e catastale considerando dichiarazione mendace ogni e qualsiasi richiesta di fruizione del beneficio in mancanza delle condizioni prescritte dalla legge.
Il ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale ha avuto come oggetto la sanzione inflitta al contribuente per una dichiarazione mendace, seppure omissiva, consistita nel non aver dichiarato le caratteristiche non di lusso di un immobile. La decisione del giudice di appello ha trovato piena conferma presso il Giudice di legittimità.
Gli Ermellini della sezione Tributaria hanno ricordato che la norma contenuta nel comma 4 della nota II bis all’articolo 1 della Parte Prima della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 (secondo cui: “in caso di dichiarazione mendace, […] sono dovute le imposte di registro ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una soprattassa pari al 30% delle stesse imposte”) regola tutte le ipotesi di accertata non competenza del beneficio fiscale sia per quello ai fini IVA, in virtù del richiamo dell’articolo 21 della Parte Seconda della Tabella A allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, che dell’ imposta di registro “perché per dichiarazione mendace deve intendersi ogni e qualsiasi richiesta di fruizione del beneficio in difetto delle condizioni, soggettive ed oggettive, previste dalla Legge. In particolare (anche quanto all’IVA) va evidenziato che l’applicazione dell’aliquota ridotta non costituisce affatto un obbligo del venditore (né, tanto meno, dell’Ufficio) ma solo un diritto soggettivo dell’acquirente, la cui fruizione è subordinata soltanto alla manifestazione (espressa nell’atto di acquisto) della sua volontà di fruire di quella riduzione: tale richiesta, pertanto, suppone necessariamente la ‘dichiarazione’ dell’acquirente (contribuente) della sussistenza di tutte le condizioni contemplate dalle specifiche norme per godere dell’agevolazione”(cfr. Cass. sentenze n. 26259 del 2010 e n. 10807 del 2012).Pertanto, conclude la Suprema Corte, la richiesta di fruizione del beneficio, costituisce essa stessa implicita dichiarazione della sussistenza delle condizioni a cui la legge ricollega il diritto all’agevolazione fiscali; cosicché, laddove tali condizioni in effetti non sussistano, la stessa richiesta di fruizione deve considerarsi “dichiarazione mendace”, sanzionabile a mente del comma 4 della nota II bis all’articolo 1 della Parte Prima della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131/86. Ne è derivato il rigetto del ricorso depositato dal contribuente, mentre le spese di lite sono state compensate.
Gli Ermellini della sezione Tributaria hanno ricordato che la norma contenuta nel comma 4 della nota II bis all’articolo 1 della Parte Prima della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 (secondo cui: “in caso di dichiarazione mendace, […] sono dovute le imposte di registro ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una soprattassa pari al 30% delle stesse imposte”) regola tutte le ipotesi di accertata non competenza del beneficio fiscale sia per quello ai fini IVA, in virtù del richiamo dell’articolo 21 della Parte Seconda della Tabella A allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, che dell’ imposta di registro “perché per dichiarazione mendace deve intendersi ogni e qualsiasi richiesta di fruizione del beneficio in difetto delle condizioni, soggettive ed oggettive, previste dalla Legge. In particolare (anche quanto all’IVA) va evidenziato che l’applicazione dell’aliquota ridotta non costituisce affatto un obbligo del venditore (né, tanto meno, dell’Ufficio) ma solo un diritto soggettivo dell’acquirente, la cui fruizione è subordinata soltanto alla manifestazione (espressa nell’atto di acquisto) della sua volontà di fruire di quella riduzione: tale richiesta, pertanto, suppone necessariamente la ‘dichiarazione’ dell’acquirente (contribuente) della sussistenza di tutte le condizioni contemplate dalle specifiche norme per godere dell’agevolazione”(cfr. Cass. sentenze n. 26259 del 2010 e n. 10807 del 2012).Pertanto, conclude la Suprema Corte, la richiesta di fruizione del beneficio, costituisce essa stessa implicita dichiarazione della sussistenza delle condizioni a cui la legge ricollega il diritto all’agevolazione fiscali; cosicché, laddove tali condizioni in effetti non sussistano, la stessa richiesta di fruizione deve considerarsi “dichiarazione mendace”, sanzionabile a mente del comma 4 della nota II bis all’articolo 1 della Parte Prima della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131/86. Ne è derivato il rigetto del ricorso depositato dal contribuente, mentre le spese di lite sono state compensate.
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