CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 giugno 2013, n. 28145
Tributi – Reati tributari – Fatture per operazioni inesistenti – Accertamento del fumus dell’illecito – Deducibilità – Onere di prova a carico del contribuente circa la corrispondenza a costi effettivi
Ritenuto in fatto
1. La lettura dell’ordinanza impugnata consente di comprendere che l’Indagine condotta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dì Milano ha per oggetto numerosi reati di frode fiscale (artt. 2 e 8 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74) commessi all’Interno di un progetto criminoso che assume le caratteristiche del delitto ex art.416 cod. pen.; ha per oggetto, altresì, la gestione di attività legate al commercio all’Ingrosso di metalli ferrosi che le società coinvolte acquistano senza alcuna documentazione ufficiale e che danno origine a movimenti di materiali e di denaro “In nero” cui corrisponde una copertura contabile effettuata mediante il ricorso ad una ingente quantità di fatture per operazioni inesistenti. L’ordinanza, premessa la natura di “cartiere” delle società facenti parte del “gruppo Blanda” (società M., S., B&B M., M. BI e R.A.B.O.A.), quantifica in oltre 245 milioni di euro le fatture irregolari emesse negli anni 2004-2011 e utilizzate dalle società facenti capo a numerosi imprenditori, tra cui la M.P. M. S.r.l. di P., la R. T. S.r.l., amministrata di fatto da C., la soc.MEX di A. e S.
In tale contesto il Pubblico ministero ha richiesto l’emissione di misure cautelari personali e di sequestri preventivi. Con riferimento alle misure reali, il Giudice delle indagini preliminari in sede ha accolto parzialmente la richiesta, ritenendo di non includere nella misura gli immobili gravati da ipoteca o da altre obbligazioni.
2. Tale decisione è stata oggetto di censura da parte del Pubblico ministero e il Tribunale, esaminate le memorie degli indagati e acquisita nuova documentazione, tra cui la pronuncia del decreto che dispone il giudizio ad opera del Giudice dell’udienza preliminare, ha emesso l’ordinanza qui impugnata con cui afferma:
– Erroneamente il G.l.p. muove da una presunzione di buona fede dei terzi, elemento che, Invece, deve essere oggetto di specifica valutazione e deve essere dimostrata dal terzo che intenda far valere il diritto sul bene;
– La giurisprudenza di legittimità ha in plurime occasioni riconosciuto che il sequestro preventivo non può essere inibito dal diritto reale del terzo (S.U., n.9 del 1999, Bacherotti, e n. 9 del 1994, C. L. S.p.A.; Sez.l, n. 29378 del 2010, Ag.Demanio; Sez.3, n. 36293 del 2011, H. A. A. B. S.p.A.), principio che opera a maggior ragione in caso di iscrizione di ipoteca;
– La richiesta del Pubblico ministero non appare sproporzionata rispetto al valore dell’Imposta evasa;
– Ciò anche considerando che, ai fini delle Imposte dirette, la tesi difensiva della corrispondenza fra quanto fatturato e il valore degli acquisti deve essere oggetto di dimostrazione da parte degli Indagati;
– E considerando che ai fini IVA la fittizietà soggettiva delle fatture di acquisto è stata correttamente valutata ai fini di contestazione;
– Inoltre, esaminate le singole posizioni (pag. 8 ss.), va ribadito che il sequestro “per equivalente” opera anche nei confronti dei beni nella disponibilità dell’Indagato per interposta persona;
– Tale affermazione impone di ritenere correttamente richiesto il sequestro dei beni di cui il sig, C. dispone mediante l’intestazione alla “P. c. S.r.l.” (pagg. 11-12);
– Non vi sono ragioni per ritenere che I redditi del sig. P. giustifichino la titolarità degli Immobili di cui si chiede li sequestro.
3. Avverso tale decisione propone ricorso l’avv. N. A. In favore del sig. P., in sintesi lamentando:
– È logicamente e giuridicamente scorretto far coincidere il profitto del reato con l’ammontare dell’Imposta derivante dalle fatture per operazioni inesistenti registrate, spettando all’accusa in materia di II,DD. dimostrare che sussiste una divergenza fra costi sostenuti e importo delle fatture portate in contabilità;
– Il Tribunale omette di considerare che le operazioni commerciali in contestazioni sono esenti da IVA;
– Il Tribunale ha errato nel ritenere, nel corpo dell’ordinanza 9/7/2012, non rilevante la presenza in atti della nota 2/3/2012 della G.d.F., nota che aveva richiesta con l’ordinanza Interlocutoria pronunciata il 10/5/2012.
4. Propone ricorso anche l’avv. E. P. In favore del sig. R. C., in sintesi lamentando:
a. Nullità dell’ordinanza per vizio motivazionale ai sensi dell’ art. 606, lett. e) cod.proc.pen. con riferimento alla mancata acquisizione di atti rilevanti, in particolare dell’annotazione della G.d.F. del 2/3/2012, atto questo che il Tribunale ha provveduto a richiedere e che poi ha ritenuto, illogicamente, non indispensabile; a ciò consegue l’Inammissibilità dell’appello proposto dal Pubblico ministero. Si osserva, poi, che neppure l’annotazione del 17/12/2011 risulta presente in atti, così che non si comprende su quali elementi il Tribunale fondi l’assunto che la situazione reddituale della sig.ra F., ex moglie dell’indagato, non è compatibile con la titolarità degli immobili;
b. Errata applicazione di legge ai sensi dell’ art. 606, lett. b) cod.proc.pen. con riferimento alla commisurazione del profitto su cui valutare la sottoposizione a sequestro del beni dell’indagato, profitto che non può consistere negli Importi correlati alle fatture irregolari, ma nell’eventuale e non dimostrato differenziale fra detti importi e quelli effettivamente corrisposti ai fornitori dei materiali; in assenza dei dati necessari, nessuna prova esiste circa l’esistenza di un profitto e questo rileva anche ai fini della determinazione dei beni da sottoporre a sequestro secondo criteri di proporzionalità e gradualità.
5. L’avv. D. P. propone ricorso nell’Interesse del sigg. A. A. e A. S., in sintesi lamentando:
a. Errata applicazione di legge ai sensi dell’art. 606, lett. b) cod.proc.pen. avendo il Tribunale omesso di valutare il diritto vantato sui beni da terzi in buona fede (i titolari di preesistente ipoteca) e omesso di operare il necessario bilanciamento tra opposti interessi nel rispetto del principio di personalità della responsabilità penale;
b. La necessità degli indagati di far valere le proprie ragioni anche a tutela dei diritti del titolare di ipoteca, posto che il pregiudizio da questi eventualmente subito comporterebbe responsabilità contrattuali degli indagati alla luce del capitolato delle condizioni generali che si riserva di produrre.
Considerato in diritto
1. La Corte ritiene necessario formulare una premessa di ordine generale che attiene ai rapporti fra obbligo tributario e sistema sanzionatorio e che introduce parametri di valutazione dell’intera vicenda sottoposta al suo esame.
Il sistema tributario si fonda sulla regolarità e fedeltà della documentazione che accompagna e certifica le operazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’Imposta. In sostanza, la persona che opera professionalmente o gestisce attività producenti reddito è tenuto a documentare le operazioni aventi rilevanza economica e a conservare la documentazione per un determinato periodo di tempo, avendo il sistema tributario scelto di non sottoporre a tassazione di volta in volta le singole operazioni ma di dare vita a un sistema complesso che individua l’annualità come riferimento base per il calcolo delle poste attive e passive, delle esenzioni e detrazioni e di tutti gli elementi che concorrono a fondare la base Imponibile secondo le regole fissate per ciascuna imposta.
Tale impostazione ha come conseguenza di ordine generale (ma, come vedremo, suscettibile di deroga se esplicitamente prevista) che soltanto le operazioni regolarmente documentate possono dare origine ad elementi rilevanti “a favore” del contribuente.
E’ questa la ragione per cui soprattutto a partire dalla legge n. 516 del 1982 la disciplina mirante a reprime le violazioni tributarie ha dedicato specifica attenzione, e specifiche forme di sanzione, alla formazione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e di altra documentazione ideologicamente o materialmente falsa. La falsificazione dei documenti portati in contabilità, soprattutto se accompagnata e supportata da altre condotte fraudolente, comporta innanzitutto la violazione del basilare dovere di fedeltà e altera i rapporti fra il contribuente e una amministrazione che si fida” In prima battuta del contribuente e gli affida il potere/responsabilità di rappresentare la propria posizione tributaria; detta falsificazione, Inoltre, ostacola i controlli e mira a sviare gli accertamenti, ingenerando anche costi consistenti per l’amministrazione che intenda ricostruire l’effettiva posizione tributaria del contribuente.
2. Discende da questa impostazione la conseguenza che l’alterazione del corretto rapporto fra contribuente e amministrazione e il ricorso a una fraudolenta rappresentazione delle operazioni rilevanti priva di attendibilità e di valore rappresentativo la documentazione del contribuente e impone di espungere dalla posizione tributaria gli elementi non attendibili che egli prospetta a proprio favore. E’, dunque, perfettamente in linea col sistema che non possano trovare ingresso nel calcolo dell’imposta le fatture per operazioni inesistenti portate a giustificazione di costi e di scomputo dell’IVA dovuta. Il che vale certamente anche per le fatture per operazioni inesistenti sul piano soggettivo.
3. E’ ben vero che il legislatore con il d.l. 2 marzo 2012, n.16, convertito in legge 26 aprile 2012, n. 44, ha apportato una modifica a tale regime, ma lo ha fatto con riguardo alle sole II.DD, e a condizione che il contribuente dimostri che le fatture per operazioni soggettivamente inesistenti sono andate a compensare costi effettivamente sostenuti in relazione a operazioni effettuate con altro soggetto che non ha emesso fattura. Si è in presenza, con ogni evidenza, di una deroga al regime generale e, dunque, di una disciplina suscettibile di stretta interpretazione e applicazione.
4. Il testo della legge non lascia dubbi sulla necessità che dei costi “soggettivamente” falsi si tenga conto qualora sia certo che essi sono stati effettivamente sopportati e presentano le caratteristiche che consentono loro di incidere sul calcolo costi-ricavi al fine di determinare il reddito imponibile.
5. L’applicazione di tali principi al caso in esame impone di considerare quanto segue:
– le società utilizzatrici di fattura per operazioni inesistenti hanno iscritto in contabilità fatture emesse da “cartiere” per importi consistenti e per un lungo periodo di tempo, così che deve escludersi che si sia in presenza di violazioni occasionali o marginali e concludere, piuttosto, che il ricorso a fatture di comodo rappresentava una ordinaria e significativa modalità di gestione dell’impresa;
– premesso che dette fatture non possono essere tenute in considerazione ai fini di determinare l’IVA dovuta da contribuenti, deve concludersi che ai fini II.DD. occorre che i costi derivanti da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti siano presi in considerazione previa attenta valutazione degli elementi risultanti dagli atti e offerti dalle persone interessate.
6. In questo contesto non possono trovare ingresso argomenti come quello secondo cui il percorso logico seguito dall’autorità giudiziaria comporterebbe una inaccettabile inversione dell’onere probatorio. La Corte ritiene che il ragionamento debba essere assolutamente rovesciato: è del tutto corretto affermare che spetta all’amministrazione finanziaria e all’organo dell’accusa dare dimostrazione dell’esistenza del “fumus” dell’illecito conseguente alla utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, ma, una volta che tale dimostrazione sia stata fornita, spetta al contribuente fornire la dimostrazione che i costi fittiziamente iscritti in contabilità corrispondono ad altrettanti costi effettivi e che questi, secondo quanto ha avuto modo di chiarire la Sezione Tributarla di questa Corte con la sentenza n. 3258 dell’11/2/2013, presentano “concreta deducibilità … in relazione ai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità”.
7. Ora, è evidente che il tema della effettività dei costi non ufficiali e della loro concreta deducibilità attiene alla fase dell’accertamento di merito, richiede il pieno contraddittorio fra le parti e un’analisi che non può che seguire l’accertamento provvisorio proprio della fase cautelare. L’ordinanza va, dunque, confermata nella parte relativa al “fumus” del reati ipotizzati.
8. Una volta ritenuto sussistente li “fumus” di reato, non può certo contestarsi che sia corretto parametrare il valore dei beni assoggettabili a sequestro secondo l’importo calcolato secondo l’imposta che risulta evasa, non ravvisandosi in questa fase quale diverso concetto di profitto di reato possa essere applicato.
9. Vanno parimenti rigettate le censure fondate sull’assunto della buona fede dei titolari dei beni sequestrati. In sede cautelare, infatti, alla pubblica accusa compete l’onere di fornire elementi che supportino l’esistenza di un legame fra la persona indagata e i beni da apprendere che si sostanzi in una effettiva disponibilità degli stessi superando, ove esista, la titolarità di terzi. Anche in questo caso, una diversa valutazione favorevole ai privati potrà essere formulata in sede cautelare solo in presenza di evidente e fondata rivendicazione del terzo circa l’effettiva titolarità delle cose sequestrate; in assenza di tale presupposto, il giudizio della Corte non potrà spingersi all’esame del fatto, che è riservato alla fase del merito e precluso, ex art. 325 cod. proc. pen., in sede di controllo sui provvedimenti cautelari reali.
Sulla base di tali considerazioni vanno respinte le cesure mosse dai ricorrenti, come per la posizione C., per la quale l’ordinanza alle pagine 11 e 12 mette in evidenza la sistematicità dell’intestazione di beni in capo alla moglie e al figlio in assenza di elementi che giustifichino la titolarità dei beni stessi in capo a questi ultimi.
10. Va, poi, escluso che l’esistenza di ipoteche sui beni o di altre forme di garanzia escluda la assoggettabilità a sequestro dei beni stessi. Questa Corte ha già riconosciuto che l’apposizione di vincolo in sede cautelare a tutela degli Interessi pubblici ex art. 322-ter cod, pen. non può trovare ostacolo nella mera riconducibilità del bene al fondo familiare o patrimoniale costituito dalla persona Indagata (Sez.3, n. 40364 del 19/972012, Chiodini, e n. 18527 del 3/2/2011, Zavarlse); analogamente può oggi affermarsi che l’esistenza di ipoteca gravante sul bene a tutela dei diritti di terzi non ostacola il sequestro “per equivalente”, operando i generali principi in tema di rapporto fra i titoli dei creditori cui si farà ricorso per determinare la destinazione del bene nell’Ipotesi che tra i diversi titoli insorga un effettivo conflitto.
11. Il richiamo all’art. 325 cod. proc. pen. offre la soluzione anche per le censure mosse dai ricorrenti in ordine alla valutazione sulla adeguatezza delle informazioni contenute nelle note della G.d.F. anche con riguardo a quanto accaduto per quella del 17/12/2011. La mera circostanza che il Tribunale abbia ritenuto opportuno sollecitare una integrazione documentale e che abbia poi ritenuto sufficiente l’esame di una parte soltanto dei documenti richiesti non integra una violazione di legge, ma si colloca sul piano delle valutazioni di merito attinenti il contenuto dell’Insieme delle Informative inoltrate dagli organi di polizia all’autorità giudiziaria; è, questa, una valutazione che spetta esclusivamente al tribunale del riesame, non essendo questa Corte deputata all’esame della documentazione e non risultando evidenti gli elementi che condurrebbero ad annullare la decisione sul punto.
12. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte i ricorsi devono essere respinti e I ricorrenti condannati, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente ai pagamento delle spese processuali.
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