CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 luglio 2013, n. 28796
Tributi – Reati fiscali – Evasione fiscale – Sequestro dei conti bancari – Richiesta di cambio del denaro con assegni circolari – Misura – Legittimità
Svolgimento del processo
Con decreto del 19.10.2011 il Gip del tribunale di Genova dispose il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente avente ad oggetto 713 assegni circolari nonché la somma da essi rappresentata di € 1.745.300,00 in relazione al reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, avendo gli indagati richiesto alla propria banca la conversione di detta somma in 713 assegni da € 2.400,00 ciascuno in pendenza di riscossione esattoriale. Il tribunale del riesame di Genova, con ordinanza 18.11.2011, respinse la richiesta di riesame e successivamente questa Corte rigettò il successivo ricorso per cassazione.
Essendo in seguito intervenuta conciliazione con l’Agenzia delle entrate con rideterminazione del credito tributario dalla originaria somma superiore a 6 milioni a quella di €. 1.113.807,00, il Gip del tribunale di Genova, con ordinanza 16.11.2012 dispose la revoca parziale del sequestro preventivo e la restituzione della somma di € 631.492,69, mantenendo il sequestro sulle rimanenti somme.
Gli indagati proposero appello, che venne respinto dal tribunale del riesame di Genova con l’ordinanza in epigrafe.
Gli indagati, a mezzo dell’avv. M.B., propongono ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 322 ter cod. pen. e dell’art. 143 L. 244/2007; erronea applicazione dell’art. 56 cod. pen. in relazione all’art. 11 d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Osservano che nella specie la condotta contestata non aveva portato alcun profitto perché non era stata portata a compimento, in quanto la richiesta alla banca di cambiare la somma in assegni circolari di taglio inferiore non era stata accolta. Il tribunale del riesame ha rigettato il ricorso perché si trattava di reato di pericolo e il profitto consiste nel pericolo di riduzione della garanzia patrimoniale. Sennonché il profitto confiscabile va sempre determinato concretamente al netto della effettiva utilità conseguita dal danneggiato. Il fatto che si tratti di reato di pericolo non incide sulla configurabilità del profitto sicché dalla consumazione del reato non può dedursi la sussistenza del profitto, il quale non può essere costituito solo dal pericolo, ma deve concretarsi in un vantaggio patrimoniale direttamente derivante dal reato, anche consistente in un risparmio di spesa.
Motivi della decisione
Il Collegio ritiene che le considerazioni svolte nel ricorso non possano, in questa sede cautelare, essere accolte, attesa anche la sentenza di questa sezione 16.5.2012, n. 25677, C., m. 252996, emessa nella medesima procedura cautelare, la quale ha, tra l’altro, affermato che «per profitto confiscabile deve intendersi non solo un positivo incremento del patrimonio personale ma qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente derivante dal reato anche se consistente in un risparmio di spesa (Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, Mazzieri, Rv. 251525; Sez. 3, n. 35807 del 07/07/2010, Bellonzi e altri, Rv. 248618); e, con riguardo in particolare al reato di cui all’art. 11 cit. il profitto va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’Erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo della fattispecie, attraverso l’atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti posti in essere, somma che, nella specie, viene a coincidere, pur non identificandosi con essa». La detta sentenza ha quindi ritenuto che nel caso in esame il profitto «viene a coincidere, pur non identificandosi con essa (di talché il sequestro disposto conserva, pur sempre, la natura di sequestro finalizzato alla confisca “per equivalente”), con la somma di Euro 1.745.300,00 portata dagli assegni circolari in oggetto». In altre parole, nella procedura cautelare in questione è già stato deciso da questa Corte che il concreto profitto, rapportabile al pericolo di riduzione della garanzia patrimoniale, ed in relazione al quale poteva disporsi il sequestro preventivo per equivalente, coincideva con la somma portata dagli assegni circolari in oggetto. Del resto, è evidente che questa è la somma che l’indagato intendeva sottrarre alla pretesa erariale. Sotto questo profilo appare irrilevante che la banca non abbia accolto la richiesta di cambiare l’importo di € 1.745.000 in 713 assegni di piccolo taglio non soggetti all’obbligo di tracciabilità, dal momento che già questa richiesta dimostrava l’intenzione di riduzione di garanzia patrimoniale e quindi giustificava la misura cautelare stante il concreto pericolo di tale riduzione. Quanto all’assunto che l’indagato ha già versato alcune rate dell’importo dovuto, si tratta di una circostanza di fatto che il tribunale del riesame ha ritenuto non essere stata specificata e provata, e che quindi non può essere proposta in questa sede di legittimità. Ovviamente l’indagato ha sempre il diritto di chiedere la riduzione del sequestro preventivo per equivalente in ragione dell’ammontare degli acconti che risulteranno già versati.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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