La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 29898 del 12 luglio 2013 intervenendo in tema di confisca ha affermato che il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente può essere eseguito su beni cointestati all’indagato solo dopo aver dimostrato che esso sia nella esclusiva disponibilità di chi ha commesso la violazione o in ipotesi di assoluta necessità rappresentata dall’indivisibilità del bene o da comprovate esigenze finalizzate a evitarne la dispersione. Ove tali circostanze non siano dimostrate, la misura cautelare può interessare soltanto la quota di proprietà intestata all’indagato.
La vicenda ha avuto come protagonista un contribuente risultato indagato per i reati di dichiarazione infedele ed omesso versamento dell’Iva. Il GIP, su richiesta del PM, disponeva il sequestro preventivo per equivalente di denaro, beni mobili e immobili. Alcuni di questi beni (il terreno) erano cointestato con un’altra persona estranea agli illeciti.
Il contribuente indagato ha presentato ricorso al Tribunale del riesame per la revoca del sequestro per equivalente. I giudici aditi confermavano la decisione del Gip. Il Tribunale evidenziavano che il bilanciamento tra l’interesse pubblico, la non dispersione del bene e la tutela delle ragioni del terzo estraneo poteva essere operata soltanto in sede di giudizio di merito.
Il contribuente presentava ricorso alla Corte Suprema per la cassazione della sentenza. In particolare, l’indagato, eccepiva la carente motivazione con riferimento al sequestro del terreno risultante di proprietà per parti uguali con un terzo estraneo al reato. Pertanto secondo la tesi difensiva in tal modo si verifica anche una violazione di legge atteso che nessuna norma prevede il sequestro preventivo su beni appartenenti a terzi estranei al reato gravandoli di responsabilità per fatto altrui. Inoltre, secondo la difesa a seguito della sospensiva concessa dalla competente Commissione Tributaria Provinciale il profitto del reato doveva ritenersi dimezzato.
Gli Ermellini hanno ritenuto fondato il ricorso con riferimento al terreno cointestato, ed hanno ricordanto che in passato era già stato illustrato dalla giurisprudenza (erroneamente interpretata dal Tribunale del riesame) il principio solidaristico con riferimento alla confisca e al sequestro dei beni.
In base a detto principio, in caso di comproprietà del bene, il sequestro può comunque interessare il bene nella sua interezza solo quando è dimostrato che esso sia nella disponibilità dell’indagato nonché in ipotesi di assoluta necessità rappresentata dalla indivisibilità del bene o da comprovate esigenze di sua conservazione per evitarne la dispersione ed il detrimento del valore, essendo altrimenti assoggettabile alla cautela esclusivamente la quota intestata all’indagato.
Nella specie, non avendo il Tribunale, verificato tali circostanze, il ricorso è stato accolto. Relativamente, invece, alla intervenuta sospensiva da parte della commissione tributaria che avrebbe ridotto, secondo la tesi difensiva, la pretesa erariale e quindi il presunto profitto del reato, la Suprema Corte non ha accolto il motivo di ricorso ribadendo l’autonomia tra i due procedimenti penale e tributarlo. Il collegamento tra il sequestro e il profitto del reato, infatti, era stato considerato nella ordinanza del tribunale mediante una puntuale analisi dell’imposta evasa.
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