Consiglio di Stato sez. V sentenza n. 3909 del 4 agosto 2017
N. 03909/2017REG.PROV.COLL.
N. 10027/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 10027 del 2016, proposto dal Comune di Davagna, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Chiarello, con domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Pecorilla in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
contro
S. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Daniele Granara e Ardo Arzeni, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Daniele Granara in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 154/3de;
per la riforma della sentenza del T.A.R. della Liguria, Sezione II, n. 1031/2016;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della S. S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 luglio 2017 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Caputi, per delega dell’avvocato Chiarello, e l’avvocato Granara;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
1.Con ricorso al T.A.R. della Liguria (n. 721 del 2016) la società S. s.r.l. chiedeva l’annullamento della determinazione n. 4 del 21 giugno 2016, con cui il Comune di Davagna aveva stabilito di revocare l’affidamento (già disposto in suo favore sin dall’ottobre del 2012) delle attività di supporto all’ufficio tributi per la gestione di alcuni tributi locali.
2.Con la sentenza in epigrafe l’adito tribunale ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato la impugnata determinazione.
3. La sentenza è stata appellata dal Comune di Davagna, il quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:
1) sul difetto di giurisdizione del giudice adito;
2) sulle contestazioni contrattuali e sulla revoca disposta ex art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990;
3) sul difetto di motivazione della determinazione n. 4 del 21 giugno 2016 a firma del Responsabile dell’Ufficio Tributi del Comune di Davagna;
4) sul contraddittorio procedimentale;
5) sul contrasto di pronunciamento del TAR di Genova sulla vicenda.
4. Ha resistito al gravame la S. s.r.l., la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.
5. Con ordinanza n. 1081/2017, resa all’esito della Camera di consiglio del 16 marzo 2017, la Sezione ha accolto l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza impugnata.
6. Alla pubblica udienza del 27 luglio 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge in decisione l’appello proposto dal Comune di Davagna (GE) avverso la sentenza del T.A.R. della Liguria, con cui è stato accolto il ricorso proposto dalla S. s.r.l., società attiva nel settore del supporto agli Uffici tributi degli Enti locali, e, per l’effetto, è stato annullato il provvedimento con cui il Comune di Davagna ha revocato l’affidamento alla predetta società dei servizi in questione.
2. E’ innanzitutto infondata l’eccezione di inammissibilità del gravame, sollevata dall’appellata sul presupposto che il Comune di Davagna avrebbe omesso di notificare il ricorso introduttivo di tale fase del giudizio ai signori Fabio Casazza, Mario Maggiolo e Maurizio Maggiolo (destinati, secondo quanto riferito dall’appellata, a sostituire la S. nell’espletamento del servizio per cui è causa).
Si osserva al riguardo che dall’esame degli atti di causa (e dalla stessa prospettazione difensiva dell’appellata) emerge come ai richiamati signori Casazza Maggiolo e Maggiolo non possa essere riconosciuta la qualifica soggettiva di controinteressati (in quanto tali, parti necessarie del processo), ma – al più – quella di soggetti co-interessati, in quanto mossi da un interesse di segno analogo a quello sotteso all’atto impugnato in primo grado.
L’eccezione è dunque infondata.
3. Neppure può trovare accoglimento l’eccezione con cui la S. s.r.l. lamenta che il Comune (non costituito nel giudizio di primo grado) avrebbe violato il divieto di nova in appello (articolo 104 del cod. proc. amm.), introducendo in tale fase nuove domande ed eccezioni.
Va rilevato al riguardo che il contenuto sostanziale delle domande ed eccezioni del Comune di Davagna, su cui si incentra l’eccezione della S., restano in realtà assorbite dalla radicale carenza di giurisdizione del giudice amministrativo che deve essere pronunziata per le ragioni che fra breve si esporranno.
Ai limitati fini che qui rilevano si osserva comunque che, in base a un consolidato orientamento, il divieto di nova in appello deve essere temperato, laddove l’appello sia proposto dalla parte soccombente in primo grado (sul punto – ex multis -: Cons. Stato, IV, 29 ottobre 2002, n. 5950). E’ stato incisivamente affermato al riguardo che “[non sussiste] alcun vincolo, nella formulazione dei motivi di appello, che derivi, per il resistente in primo grado, dal divieto dello ius novorum” (Cons. Stato, V, 24 gennaio 2007, n. 257).
4. Venendo all’esame del merito dell’appello, occorre in via del tutto preliminare esaminare il motivo con il quale il Comune di Davagna ha dedotto il difetto di giurisdizione nella controversia de qua dell’adito giudice amministrativo.
4.1. Il motivo è fondato.
La sentenza in epigrafe è invero meritevole di conferma per la parte in cui i primi Giudici hanno affermato che il contratto all’origine dei fatti di causa fosse qualificabile come appalto di servizi e non come concessione di servizi.
4.1.1. Milita in primo luogo in tal senso il mancato conferimento alla società affidataria di qualunque potestà pubblicistica relativa alla gestione dei tributi comunali oggetto del servizio (al contrario, il Comune conservava ogni potere di controllo sulla regolarità del servizio e sull’attività del gestore).
Alla ricorrente in primo grado non era infatti riservata la spendita di poteri pubblicistici connessi all’esercizio della potestà impositiva, ma il solo espletamento di attività strumentali all’esercizio da parte del Comune delle proprie funzioni pubblicistiche in materia.
4.1.2. Milita in secondo luogo nel medesimo senso la circostanza per cui le previste modalità di remunerazione non comportavano il trasferimento in capo al gestore del rischio connesso all’operatività del servizio, in tal modo palesando l’assenza delle condizioni per configurare una concessione di servizi ai sensi del comma 12 dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 163 del 2006.
4.2. Resta a questo punto da stabilire se spetti al G.A. ovvero al G.O. la controversia nel cui ambito si faccia questione della legittimità dell’atto con cui l’amministrazione ha disposto la revoca dell’affidamento di un appalto di servizi nel corso della gestione degli stessi.
Al quesito deve essere fornita risposta in senso negativo.
E’ stato chiarito al riguardo che con la stipula del contratto di appalto si costituisce tra le parti, pubblica e privata, un rapporto giuridico paritetico intercorrente tra situazioni soggettive da qualificare in termini di diritti soggettivi e di obblighi giuridici.
Ne consegue che il riscontro di sopravvenuti motivi di inopportunità alla realizzazione del programma negoziale si riconduce all’esercizio del potere contrattuale di recesso previsto dalla normativa sugli appalti pubblici (articoli 1373 e 1671 cod. civ.; articolo 134 del previgente ‘Codice dei contratti’), con scelta che si riverbera sul contratto configurandosi nell’esercizio di un potere contrattuale del committente di recedere da esso (e a prescindere dal nomen iuris utilizzato).
Ne consegue che l’atto di revoca dell’affidamento, ciononostante adottato, risulta lesivo del diritto soggettivo del privato in quanto incidente sul sinallagma funzionale (in tal senso: Cass. Civ, Sez. un., sent. 29425 del 2008).
Ebbene, riconducendo i princìpi appena richiamati alle peculiarità del caso in esame si ritiene che, ai fini di giurisdizione, non rilevi il nomen iuris attribuito dal Comune appellante all’atto con cui si è stabilito di imprimere un esito risolutorio alla vicenda contrattuale (l’atto in questione è stato qualificato come ‘revoca’). Al contrario, ciò che rileva è che tale statuizione sia intervenuta nel corso della fase esecutiva del rapporto e che, ai sensi del richiamato orientamento, sia qualificabile come recesso di carattere privatistico, la cui cognitio resta demandata al Giudice ordinario.
Non può quindi essere condivisa la tesi dell’appellata S. (sostanzialmente compatibile con il contenuto della sentenza appellata), secondo cui la scelta del Comune di avvalersi dell’istituto della ‘revoca’ di cui all’articolo 21-quinquies della l. 241 del 1990 varrebbe a connotare la vicenda con caratterizzazioni di stampo pubblicistico, sì da radicare la giurisdizione del giudice amministrativo.
Vero è che (in base a un condiviso orientamento, richiamato dall’appellata) l’adozione di un provvedimento di revoca tipicamente delinea l’insorgere di una posizione giuridica qualificabile come di interesse legittimo. Tuttavia deve giungersi a conclusioni del tutto diverse laddove (come nel caso in esame), al di là della qualificazione formale dell’atto, lo stesso sia identificabile come recesso (privatistico) da un contratto in corso di esecuzione, con quanto ne segue in punto di giurisdizione.
5. Per le ragioni dinanzi esposte l’appello in epigrafe deve essere accolto e per l’effetto deve essere disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Il presente giudizio dovrà quindi essere riproposto dinanzi al Giudice civile nelle forme ed entro i termini indicati all’articolo 11 del codice del processo amministrativo.
La peculiarità della controversia giustifica l’integrale compensazione delle spese fra le parti
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado per difetto di giurisdizione ed annulla senza rinvio la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 luglio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
Valerio Perotti, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Claudio Contessa | Carlo Saltelli | |
IL SEGRETARIO
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