Corte di Cassazione sentenza n. 7752 del 17 maggio 2012
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – PER GIUSTA CAUSA – CONFIGURABILITA’ – PRESUPPOSTI – ACCERTAMENTO DEL GIUDICE DI MERITO E VALUTAZIONE DEGLI ELEMENTI DI PROVA COMUNQUE RITUALMENTE ACQUISITI AL PROCESSO – CRITERI – CENSURABILITA’ IN CASSAZIONE – LIMITI
massima
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Pur gravando sul datore di lavoro l’onere della prova in ordine alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, tuttavia non è necessario che la prova sia acquisita ad iniziativa o per il tramite del datore di lavoro, potendo il giudice porre a fondamento della decisione gli elementi di prova comunque ritualmente acquisiti al processo, anche ad iniziativa di altre parti (compreso il lavoratore licenziato) oppure d’ufficio, ed il relativo accertamento dei fatti e della loro gravità, riservato al giudice di merito, è sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione, che non può consistere in una diversa ricostruzione dei medesimi fatti.
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Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Genova, T.B. conveniva in giudizio la C. Liguria, società cooperativa a r.l., per sentirla condannare al risarcimento dei danni conseguenti al comportamento persecutorio (mobbing) cui era stata sottoposta, ed alla ritardata trasformazione del suo contratto di lavoro a tempo parziale in contratto a tempo pieno, avvenuta dopo nove anni, nonostante la società avesse nel frattempo proceduto a diverse assunzioni di lavoratori a tempo pieno nel medesimo periodo, in violazione dell’art. 5, comma 3 bis della legge n. 863 del 1984.
Il Tribunale, con sentenza non definitiva del 25 gennaio 2006, dichiarava il diritto della ricorrente al risarcimento del danno per la mancata tempestiva trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno, che quindi quantificava, a seguito di c.t.u. contabile, in € 47.899,17 con sentenza definitiva del 24 ottobre 2006, respingendo le altre domande ed eccezioni.
Proponeva appello la C. Liguria, evidenziando che le assunzioni indicate dalla ricorrente avevano riguardato lavoratori con mansioni diverse e non fungibili rispetto a quelle cui era adibita la T.B.. Riproponeva comunque l’eccezione di prescrizione del credito vantato.
Si costituiva la T.B. resistendo al gravame e proponendo appello incidentale in ordine al mancato accoglimento della domanda di risarcimento dei danni da mobbing, ed inoltre in ordine alla decorrenza del danno riconosciuto per la mancata trasformazione del rapporto, erroneamente a suo avviso indicata dal primo giudice nel gennaio 1995 anziché nel gennaio 1992.
La Corte d appello di Genova, ritenuto che dall’istruttoria espletata era emerso che il personale assunto possedeva professionalità diverse da quelle della ricorrente; che era comunque onere di quest’ultima provare il contrario; che parimenti non era emersa alcuna prova in ordine al lamentato mobbing, con sentenza depositata il 15 dicembre 2009, in parziale riforma della sentenza impugnata rigettava la domanda proposta dalla T.B. in primo grado. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la lavoratrice, affidato ad otto motivi.
Resiste la società cooperativa con controricorso, poi illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1. Con i primi due motivi la T.B. denuncia la violazione dell’art. 5, comma 3 bis della legge 19 dicembre 1984 n. 863, anche in riferimento all’art. 12 delle preleggi, nonché omessa o insufficiente motivazione. Lamenta che la Corte territoriale erroneamente ritenne che il diritto di precedenza ivi stabilito riguardasse unicamente lavoratori assunti per le medesime mansioni e non già qualsivoglia assunzione, tanto da doversi ritenere violata la norma “per il solo fatto che si proceda ad assunzioni a tempo pieno” (pag. 5 ricorso).
I motivi, che per la loro connessone possono congiuntamente trattarsi, sono infondati. Questa Corte ha già chiarito che il diritto soggettivo di precedenza, previsto, in caso di nuove assunzioni, in favore dei lavoratori a tempo parziale dall’art. 5, comma terzo “bis”, del d.l. n. 726 del 1984 (convertito con modifiche nella legge n. 863 del 1984), comporta la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno, con la modifica dell’assetto negoziale preesistente solo rispetto alla quantità e alla distribuzione temporale delle prestazioni lavorative; ne consegue che esso spetta a condizione che il datore di lavoro compia delle nuove assunzioni a tempo pieno, nei soli confronti dei nuovi assunti, e purché essi vengano adibiti a mansioni fungibili con quelle dei lavoratori a tempo parziale e non siano adibiti ad unità produttive territorialmente remote (Cass. 21 luglio 2005 n. 15312).
Il principio risulta già espresso con sentenza 15 luglio 1995 n. 7716, laddove questa Corte affermò che il presupposto previsto dall’art. 5, comma 3 bis, della legge 19 dicembre 1984 n. 863 (di conversione, con modifiche del D.L. 30 ottobre 1984 n. 726), che in caso di assunzione di personale a tempo pieno riconosce il diritto di precedenza dei lavoratori con contratto a tempo parziale, presuppone omogeneità di mansioni e del tipo contrattuale utilizzato, sicché non ricorre nelle ipotesi di stipulazione di contratti a tempo determinato o di assunzione di lavoratori con contratti di formazione e lavoro ai sensi dell’art. 3 della stessa legge n. 863/1984; detto presupposto non si realizza neppure nel caso della trasformazione dei rapporti di formazione e lavoro a tempo indeterminato, espressamente regolata come strumento per la realizzazione della finalità della legge, diretta a favorire l’occupazione giovanile.
Nonostante una difforme opinione (espressa da Cass. 28 agosto 2003 n. 12648) ritiene la Corte di doversi conformare a quanto osservato nella citata pronuncia n. 15312/05, ove viene espresso un motivato e convincente dissenso rispetto alla sentenza n. 12648/03.
In essa infatti correttamente si osserva che il diritto di precedenza dei lavoratori a tempo parziale presuppone l’indifferenza, per le esigenze oggettive del datore di lavoro, tra l’assunzione di nuovo personale e la trasformazione di rapporti a tempo parziale già costituiti – con contatti di lavoro a tempo pieno – in funzione dello svolgimento di mansioni identiche oppure equivalenti, come tali, reciprocamente fungibili. Benché sia prevista, esplicitamente, soltanto dallo ius superveniens nella soggetta materia (art. 5, comma 2, del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61), la condizione ora prospettata – per l’insorgenza e l’esercizio del diritto di precedenza dei detti lavoratori – risulta, tuttavia, coerente con la ratio e compatibile con il tenore letterale della disciplina originaria (di cui all’art. 5, comma 3 bis, del d.l. 30 ottobre 1984 n. 726, convertito con modifiche nella l. 19 dicembre 1984 n. 863, cit.).
Diversamente opinando, infatti, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, non risulterebbe sostitutiva dell’assunzione di nuovo personale, parimenti a tempo pieno, e comporterebbe, perciò, un aggravio – non voluto dalla legge – dell’obbligo che ne risulta imposto al datore di lavoro.
La Corte ritiene, per le ragioni esaurientemente svolte nella citata sentenza n. 15312/05, di confermarne il principio di diritto, con conseguente rigetto del motivo in esame.
2. Con il terzo ed il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 alle proprie, gravasse su di lei, mentre, trattandosi di eccezione in senso stretto, doveva porsi a carico della datrice di lavoro. Denuncia inoltre contraddittorietà ed illogicità della motivazione circa il concetto di fungibilità delle mansioni, che doveva ravvisarsi all’interno della medesima area professionale. I motivi, che stante la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, risultano in parte inammissibili e per il resto infondati. Ed invero la dedotta equivalenza o fungibilità delle mansioni, deve considerarsi, alla luce delle considerazioni svolte, parte del fatto costitutivo della domanda, sicché correttamente la corte territoriale ha ritenuto il relativo onere probatorio a carico della ricorrente.
Deve d’altro canto evidenziarsi che il giudice di merito ha ritenuto, con apprezzamento di fatto incensurabile – e di fatto non censurato – in sede di legittimità, che dall’istruttoria espletata era emerso che i lavoratori assunti a tempo pieno, e muniti di professionalità diverse, fossero stati adibiti a mansioni differenti (addetti al reparto vendita generi alimentari) e non fungibili rispetto alle mansioni della ricorrente (cassiera).
Quest’ultima, peraltro, che invoca un principio di equivalenza all’interno della medesima area professionale, neppure chiarisce, in contrasto col principio dell’autosufficienza, le ragioni per cui gli addetti al reparto vendita di generi alimentari debbano considerarsi appartenenti alla medesima area professionale, e comunque perché, all’interno di questa, sussisterebbe una assoluta fungibilità di mansioni.
3. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia una insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’equivalenza delle mansioni di cui sopra, secondo le indicazioni del c.c.n.l. di settore.
Evidenziava che in base a quest’ultimo, nel IV livello, ove essa era inquadrata, era compreso l'”addetto all’insieme delle operazioni ausiliarie di vendita, intendendosi per tali l’esercizio promiscuo delle funzioni di incasso e relative registrazioni, di preparazione delle confezioni, di prezzatura, di marcatura, di segnalazione dello scoperto e di rifornimento delle merci, di movimentazione fisica delle merci”.
Il motivo è infondato.
Trattasi all’evidenza di mansioni attinenti esclusivamente alla prezzatura ed incasso, e non certamente alla vendita ai clienti dei generi alimentari, al relativo maneggio ed al taglio e confezionamento del prodotto (anche fresco) richiesto, come accertato dalla corte di merito con riferimento alle mansioni svolte dai nuovi assunti.
4. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia omessa o insufficiente e contraddittoria motivazione circa la fungibilità in concreto delle mansioni in questione, dolendosi in particolare del mancato esame: 1) delle dichiarazioni del legale rappresentante della resistente circa le mansioni in concreto affidate ai dipendenti; 2) della coincidenza delle dichiarazioni del medesimo soggetto con le previsioni del c.c.n.l.
Il motivo è inammissibile, sottoponendo alla Corte un riesame diretto delle circostanze di causa, rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, ed insindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivato: nella specie la corte territoriale ha ritenuto che la disomogeneità delle mansioni, emergente anche dalle dichiarazioni del legale rappresentante, verificate in concreto, escludessero, per i principi sopra esposti, l’obbligo, derivante dall’art. 5 L. n. 863/84, di dover adibire a tempo pieno a mansioni, di fatto diverse, la ricorrente.
5. Con il settimo motivo la ricorrente denuncia insufficiente ed inadeguata motivazione circa la irrilevanza della differente destinazione di reparto, ed omessa valutazione delle circostanze emerse dalle dichiarazioni del legale rappresentante e di taluni dei testi escussi, che avrebbero evidenziato che il punto vendita, pur essendo distinto in reparti, vedeva una certa fungibilità del relativo personale.
Il motivo risulta inammissibile sottoponendo alla Corte un riesame delle circostanze di fatto e delle prove raccolte, senza neppure evidenziare, a livello deduttivo, una obiettiva fungibilità delle mansioni, ma richiedendo una diversa valutazione delle prove (per l’inammissibilità di tale richiesta, cfr., ex plurimis, Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
6. Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia una insufficiente e contraddittoria motivazione da parte della corte di merito in ordine alla circostanza della pretesa richiesta di essa ricorrente di conservare le mansioni precedenti.
Il motivo, laddove sottopone alla Corte un esame del fatto, è inammissibile per le ragioni esposte. Deve inoltre considerarsi che l’argomento è utilizzato dalla corte di merito ad abundantiam, e dunque non risulta essenziale a sorreggere la decisione impugnata, rispetto alle ragioni in precedenza esaminate.
7. Con il nono motivo la ricorrente denuncia una insufficiente motivazione, in relazione all’appello incidentale, circa la mancata valutazione del comportamento persecutorio cui ella venne sottoposta, e la mancata ammissione delle prove richieste sul punto.
Il motivo è infondato, avendo la Corte di merito esaminato e respinto, per difetto di prova, l’appello incidentale. Quanto alla mancata ammissione di ulteriori prove, la censura risulta inammissibile (così come la dedotta insufficiente valutazione delle prove espletate), non risultando esse neppure specificate, né dedotto il contenuto delle prove espletate (cui non può sopperire la mera allegazione dei verbali di udienza, senza altre specifiche indicazioni, Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726).
8. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €. 40,00 per esborsi, €. 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a.
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