Corte di Cassazione sentenza n. 11089 del 03 luglio 2012
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – SVOLGIMENTO A TITOLO GRATUITO DI ATTIVITA’ OGGETTIVAMENTE RICONDUCIBILE AL LAVORO SUBORDINATO – AMMISSIBILITA’ – FINALITA’ DI SOLIDARIETA’ E NON LUCRATIVA – PROVA DELLA GRATUITA’ – NECESSITA’ – VALUTAZIONE DEL GIUDICE DI MERITO – INSINDACABILITA’ IN SEDE DI LEGITTIMITA’ – LIMITI
massima
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Ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, ma può essere ricondotta ad un rapporto diverso, istituito “affectionis vel benevolentiae causa”, caratterizzato dalla gratuità della prestazione, ove risulti dimostrata la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa, fermo restando che la valutazione al riguardo compiuta dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità, se immune da errori di diritto e da vizi logici.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 9 marzo 2010 la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma del 27 settembre 2006 con la quale è stata rigettata la domanda di C.G.E. volta ad ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del Movimento Sociale Fiamma Tricolore dal 2 maggio 1996 al 15 ottobre 1999, la dichiarazione di inefficacia o nullità o illegittimità del licenziamento intimatogli, con le relative conseguenze di legge in materia di tutela reale o, in subordine, obbligatoria, e la dichiarazione del proprio diritto all’inquadramento nel 3 livello CCNL terziario con la conseguente condanna del Movimento Sociale al pagamento in suo favore delle differenze retributive quantificate in Euro 51.957,96. La Corte territoriale ha motivato detta pronuncia di rigetto considerando che, dall’istruttoria svolta, è emerso che il C.G.E. è stato militante del partito anche durante il periodo per il quale viene dedotta l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, ed ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la prestazione lavorativa può ritenersi gratuita ove istituito affectionis vel benevolentiae causa, cioè per finalità ideali e non lucrative. Pertanto la Corte romana ha considerato che le prestazioni oggettivamente lavorative erano riconducibili all’attività di militanza politica. Inoltre la stessa Corte d’Appello ha considerato le risultanze processuali dalle quali ha ritenuto che non siano comunque emersi elementi comprovanti l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, operando anche un giudizio di attendibilità dei testi escussi.
Il C.G.E. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi.
Resiste con controricorso il Movimento Sociale Fiamma Tricolore.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 3 in relazione all’esatta valutazione dei criteri di determinazione della qualificazione del rapporto di lavoro. In particolare si assume che la Corte territoriale avrebbe violato l’individuazione dei criteri di individuazione della subordinazione dettati dall’art. 2094 cod. civ. applicando massime giurisprudenziali relative a fattispecie molto diverse da quelle in esame e relative a lavoratori che svolgevano regolare attività lavorativa per altri soggetti, mentre il ricorrente avrebbe lavorato esclusivamente per il Movimento Sociale percependo anche una regolare e fissa retribuzione. Con secondo motivo si deduce omessa e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 anche in relazione all’art. 2697 cod. civ. per violazione e falsa applicazione della norma circa l’inversione dell’onere della prova. In particolare si assume che sarebbero state valutate in modo non corretto le prove testimoniali assunte con un giudizio di attendibilità dei testi non motivato.
Il primo motivo è infondato. La giurisprudenza di questa corte richiamata nella sentenza impugnata, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, si attaglia al caso in esame. In particolare va confermato il principio secondo cui ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, ma può essere ricondotta ad un rapporto diverso, istituito “affectionis vel benevolentiae causa”, caratterizzato dalla gratuità della prestazione, ove risulti dimostrata la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa, fermo restando che la valutazione al riguardo compiuta dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità, se immune da errori di diritto e da vizi logici (Cass. 26 gennaio 2009 n. 1833). Irrilevante è la differenza della fattispecie considerata nel precedente richiamato rispetto a quella in esame, in quanto il motivo della gratuità, se convivenza o militanza ideale politica, è indifferente ai fini giuridici in questione. La valutazione compiuta dal giudice di merito riguardo alla sussistenza della finalità di solidarietà è comunque logica e compiuta, per cui non è censurabile in questa sede.
Parimente infondato è il secondo motivo di gravame. La valutazione delle prove considerate ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, è riservata al giudice di merito. Come costantemente affermato da questa corte, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (per tutte Sez. 6 Lav. Ordinanza 4 maggio 2011 n. 9808). Il criterio giuridico applicato per la qualificazione del rapporto è stato giuridicamente esatto, come affermato più sopra, mentre la valutazione delle prove appare logica e compiuta per cui anche essa non è censurabile in sede di legittimità.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A.
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