La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 26715 depositata il 29 novembre 2013 intervenendo in materia di accertamenti fiscali ha statuito che è legittimo l’accertamento del reddito con il metodo induttivo se la società non esibisce la contabilità, richiesta dal fisco, perché custodita presso il commercialista. Il fisco non ha l’onere di ricercare la documentazione in un luogo diverso dal domicilio fiscale, per cui non ha l’obbligo di verificare e controllare l’attualità e l’esattezza del domicilio fiscale né quello di contattare eventuali sostituti o incaricati dell’amministratore presso i quali risulta depositata la documentazione contabile.
La vicenda ha riguardato una società a cui venivano notificati avvisi di accertamento, applicando il metodo induttivo, per maggiore imposte IVA ed IRAP emessi dall’Amministrazione finanziaria. La società avverso gli atti impositivi ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale lamentando l’illegittimità degli atti stessi poiché emessi in conseguenza di una rettifica effettuata con metodo induttivo senza che ve ne fossero i presupposti di legge. In particolare, non vi era stato alcun rifiuto della società a presentare la documentazione contabile.
Il Fisco avverso la sentenza del giudice di prime cure proponeva appello alla Commissione Tributaria Regionale che accoglieva, in riforma della sentenza di primo grado, solo le doglianze del Fisco per l’anno 1999 mentre dichiarava l’improponibilità degli appelli riuniti in relazione alle annualità 2000,2001 e 2002 ai sensi dell’art. 52 comma 2 D.L.gs 546/1992, stante la mancanza di previa autorizzazione dell’Ufficio a proporre appello per le annualità suddette.
I contribuenti, con rispettivi gravami, avverso la decisione dei giudici distrettuali proponeva, per la cassazione della sentenza impugnata, ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema. L’Agenzia delle Entrate depositava proprio controricorso e ricorso incidentale.
Gli Ermellini hanno confermato la sentenza dei giudici territoriali che avevano ritenuto legittimi gli atti impositivi. In particolare i giudici di legittimità ribadiscono che il ricorso all’accertamento induttivo per la rettifica delle dichiarazioni IVA, IRPEG e ILOR è consentito sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’Amministrazione Finanziaria con facoltà di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili. Per lo stesso fine, il fisco, può anche avvalersi, come previsto dagli articoli 39 e 40 del D.P.R. n. 600 del 1973, di presunzioni sfornite dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (cfr. n. 9201 del 2011).
Inoltre, i giudici supremi, puntualizzano che in detta ipotesi grava sul contribuente l’onere di provare l’attendibilità delle scritture contabili, anche dopo l’accertamento, posto che l’Amministrazione Finanziaria, sulla scorta di obiettive circostanze, aveva chiesto di esaminarle senza ottenere risposta. Sul punto la società contribuente dichiara di non aver ricevuto alcuna richiesta.
A tal proposito gli Ermellini evidenziano che “al dovere che incombe sul contribuente di dichiarare un determinato domicilio o sede fiscale e un determinato rappresentante legale, non corrisponde l’obbligo dell’Ufficio di verificare e controllare l’attualità e l’esattezza del domicilio fiscale, e pertanto, del tutto corretta deve essere considerata la richiesta dell’Ufficio di esibire la documentazione contabile avanzata al legale rappresentante (…), non potendosi ritenere sussistente a carico dell’Ufficio, l’onere di contattare eventuali sostituti o incaricati dell’amministratore presso i quali risulta depositata la documentazione”.
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