La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 28209 depositata il 17 dicembre 2013 intervenendo in tema di esclusione dall’IRAP ha statuito che il professionista può opporsi al prelievo IRAP anche in sede d’impugnazione della cartella esattoriale emessa sulla base della dichiarazione purché ovviamente tale cartella costituisca il primo atto con cui la pretesa viene portata a conoscenza del contribuente.
La vicenda ha riguardato un medico a cui veniva notificata una cartella di pagamento avente ad oggetto il pagamento dell’IRAP. Il contribuente avverso la cartella di pagamento proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale con cui si contestava l’assoggettamento del reddito prodotto all’IRAP. I giudici della CTP rigettavano le doglianze del ricorrente. Avverso la decisione del giudice di prime cure il medico proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Regionale che confermava la sentenza di primo grado in quanto rivolto contro la cartella di pagamento emessa a seguito della denuncia dei redditi presentata dal contribuente stesso.
Per la cassazione della sentenza impugnata il contribuente, per il tramite del proprio difensore, propone ricorso, affidandosi ad un unico motivo di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini riaffermando il principio di diritto di cui sopra hanno accolto il ricorso proposto da un medico. I giudici di legittimità hanno ritenuto che il contribuente possa contestare una pretesa tributaria anche in sede di impugnazione della cartella emessa sulla base delle sue dichiarazioni, “purché ovviamente tale cartella costituisca il primo atto con cui la pretesa viene portata a conoscenza del contribuente. E non è affatto necessario che il contribuente versi quanto chiesto in cartella e quindi presenti domanda di rimborso, impugnando il silenzio-rigetto”.
La Corte di Cassazione con la precedente sentenza n. 9872 del 2011 aveva affermato che il contribuente può contestare, anche emendando le dichiarazioni presentate all’Amministrazione Finanziaria, l’atto impositivo che lo assoggetti a oneri diversi e più gravosi di quelli che, per legge, devono restare a suo carico; e tale contestazione deve farla proprio impugnando la cartella esattoriale, non essendogli consentito di esercitare l’azione di rimborso dopo il pagamento della cartella.
Tale orientamento può dirsi consolidato poiché ripetutamente affermato da altre pronunce della medesima Corte (tra le più recenti: ordinanze n. 4003 del 2013 e n. 25358 del 2013; sentenza n. 12338 del 2012).
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