CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 gennaio 2014, n. 92
Tributi – Accertamento induttivo – Redditi di impresa – Medie di settore – Limiti
La CTR di Milano ha accolto l’appello dell’Agenzia, appello proposto contro la sentenza della CTP di Milano n. 240-26-2009 che aveva accolto il ricorso di (…) avverso avviso di accertamento ai fini IVA-IRPEF-IRAP per gli anni 2003 e 2004, avvisi a mezzo dei quali sono stati accertati maggiori ricavi sulla scorta della rilevata discordanza tra le percentuali di ricarico applicate dalla ricorrente nella propria attività di commercio (di fiori e piante in Melegnano, provincia di Milano) e quella desunta dall’osservazione di un campione di aziende svolgenti la medesima attività in Milano e provincia.
La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che l’elevato scarto tra la percentuale di ricarico dichiarata dalla contribuente (nella misura del 75,21%) e quella corrispondente alla media di settore (determinata in misura del 130%) costituisce di per sé una irragionevolezza economica ed una grave incongruenza tale da rendere inattendibile la contabilità e giustificare l’accertamento analitico-presuntivo operato dall’Ufficio, senza che potesse rilevar la circostanza che la contribuente era risultata congrua con gli studi di settore.
La contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La parte intimata si è difesa con controricorso.
Il ricorso – ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..
Con il primo ed il terzo motivo di impugnazione (rubricati entrambi come: “omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio….”, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. ….”), la ricorrente si duole in sostanza del fatto che il giudice del merito abbia omesso la considerazione della eccepita circostanza che le “anonime ditte” valorizzate dall’Agenzia ai fini della estrapolazione della percentuale di ricarico da comparare con quella applicata da essa ricorrente “operavano anche nella città di Milano oltre che in non precisati comuni limitrofi, come risulta dagli stessi avvisi di accertamento alla pag. 4”, donde si sarebbe dovuto desumere che i dati riferibili a dette ditte non erano comparabili con quelli riferibili all’attività esercitata da essa ricorrente, siccome sita nella periferia di un piccolo paese della provincia di Milano. Si duole poi del fatto che il giudice del merito non abbia rilevato che ad uno dei detti dieci esercizi valorizzati per la comparazione era stata riferita negli stessi avvisi di accertamento una percentuale di ricarico inferiore a quella dichiarata da essa ricorrente, ciò che già contraddiceva l’assunto dell’Agenzia secondo il quale le percentuali di ricarico denunciate da essa ricorrente risultavano notevolmente differenti rispetto a quelle normalmente utilizzate nel settore.
I predetti motivi appaiono fondati e possono essere accolti.
Invero, alla luce delle autosufficienti ricostruzione degli elementi addotti in giudizio dalla parte contribuente, emerge dalla stessa considerazione della motivazione della sentenza impugnata che il giudice del merito – elusivamente – non ha tenuto conto alcuno delle inferenze logiche che possono essere desunte dalle anzidette circostanze, essendosi limitato il medesimo giudice ad assumere la sussistenza di una discrepanza nel confronto tra le percentuali di ricarico, senza previamente acclarare se detta discrepanza fosse rilevante, alla luce della effettiva comparabilità tra le condizioni di mercato delle aziende considerate.
E ciò si dice non già come valutazione della giustezza o meno della decisione, ma come indice della presenza di difetti sintomatici di una possibile decisione ingiusta, che tali possono ritenersi allorquando sussiste un’adeguata incidenza causale (come nella specie esiste) della manifesta negligenza di dati istruttori qualificanti, oggetto di possibile rilievo in cassazione, esigenza a cui la legge allude con il riferimento al “punto decisivo” (in termini Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7635 del 16/05/2003).
Nella specie, parte ricorrente ha evidenziato una pluralità di elementi di fatto non adeguatamente e specificamente considerati dal giudice del merito che costituiscono senz’altro idonei indici sintomatici di una possibile decisione ingiusta, siccome capaci di generare una difettosa ricostruzione del fatto dedotto in giudizio.
Consegue da ciò che la censura avente ad oggetto il vizio motivazionale può essere accolta e che, per conseguenza, la controversia debba essere rimessa al medesimo giudice di secondo grado che – in diversa composizione – tornerà a pronunciarsi sulle questioni oggetto dell’atto di appello proposto dall’Agenzia e regolerà anche le spese del presente grado di giudizio.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.
Che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti.
Che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie.
Che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto.
Che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Lombardia che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente grado.
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