CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10234 depositata il 18 maggio 2016
INDICI DI CAPACITA’ CONTRIBUTIVA – SPESE PER L’ACQUISTO DI TERRENI E FABBRICATI NON GIUSTIFICABILI DAI REDDITI DICHIARATI – GIUSTIFICAZIONE – DICHIARAZIONE DI FAMILIARI PER REGALIE ELARGITE NEL CORSO DEGLI ANNI – NON SUFFICIENTI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza n. 71/05/2012, depositata il 22/10/2012, la C.T.R. della Puglia, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Barletta, confermava la legittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di M.D. con il quale si accertava, per l’anno d’imposta 2004, un reddito pari ad € 106.702,58 determinato sinteticamente, ai sensi dell’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in ragione di riscontrate spese, sostenute negli anni dal 2004 al 2008, per l’acquisto di terreni e fabbricati per un complessivo esborso di € 533.512,00.
Ritenevano infatti i giudici del gravame che il contribuente non aveva offerto una attendibile giustificazione della cospicua spesa, non potendosi in particolare ritenere probanti le dichiarazioni rilasciate dai propri nonni circa l’elargizione di cospicue regalie nel corso degli anni liceali e universitari, in quanto non supportate da formale e pertinente documentazione e in mancanza comunque di prova della contemporaneità fra le regalie medesime e l’acquisto degli immobili in questione; che l’ufficio aveva documentato la regolare notifica del questionario al domicilio fiscale del contribuente; che inoltre, all’epoca dei fatti, non sussisteva alcun obbligo di esperire preventivamente il contraddittorio.
2. Avverso tale decisione propone ricorso M.D. sulla base di cinque motivi, per ciascuno di essi articolando diverse censure; l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Con il primo motivo il ricorrente ripropone, sotto vari profili di censura – omessa pronuncia; violazione degli artt. 57 e 58 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; vizio di motivazione – l’eccezione di inammissibilità della documentazione prodotta in grado d’appello dall’Agenzia delle entrate al fine di dimostrare l’avvenuta rituale notifica del questionario.
Le censure – a supporto delle quali il ricorrente richiama precedenti, anche di merito, non specifici e/o non pertinenti – sono manifestamente infondate.
Al riguardo appare assorbente il duplice rilievo per cui:
a) secondo pacifico insegnamento della giurisprudenza di legittimità non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (v. in tal senso Cass., Sez. 1, n. 5351 del 08/03/2007, Rv. 595288, in un caso in cui la S.C. ha ravvisato il rigetto implicito dell’eccezione di inammissibilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame): nel caso di specie l’affermazione da parte della C.T.R. dell’esistenza in atti di prova della regolare notifica del questionario al contribuente implica il rigetto dell’eccepita inammissibilità della produzione della relativa documentazione per la prima volta in grado d’appello;
b) l’art. 58 (rubricato «nuove prove in appello») del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nei prevedere bensì, al primo comma, il divieto di nuove prove in appello, al secondo comma fa espressamente salva tuttavia «la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti», ciò valendo inequivocabilmente a privare di pregio alcuno l’eccezione di che trattasi.
4. Con la «terza parte» del motivo in esame il ricorrente censura inoltre l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui «all’epoca dei fatti non sussisteva alcun obbligo, a pena di nullità, di esperire preventivamente il contraddittorio». Sostiene, di contro, l’applicabilità retroattiva della norma che tale obbligo ha introdotto (art. 22 d.l. n. 78/2010) e conseguentemente l’illegittimità dell’accertamento condotto in quanto non preceduto dal contraddittorio.
Anche tale doglianza è palesemente destituita di fondamento. Come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, alla data dell’accertamento impugnato con il ricorso introduttivo non era, infatti, previsto l’obbligo, per l’amministrazione, di procedere a preventivo contraddittorio con il contribuente e questa Corte ha, in relazione al testo allora vigente dell’art. 38 quarto comma del d.RR. 29 settembre 1973, n. 600, esplicitamente affermato che «al fini dell’accertamento sintetico dei redditi … è sufficiente che vi siano elementi e circostanze di fatto certi, in base ai quali possa fondatamente attribuirsi al contribuente un reddito complessivo superiore a quello risultante dalla determinazione analitica, non occorrendo che l’individuazione e la raccolta di quegli elementi e circostanze, che l’ufficio può attingere da qualsiasi fonte, avvengano in contraddittorio con il contribuente. Tale contraddittorio si instaura, invece, con la notifica dell’atto di accertamento, che, per ciò, deve contenere l’indicazione dei fatti sui quali esso si fonda, in modo che il contribuente sia in grado di conoscere sufficientemente la pretesa fiscale e svolgere le proprie difese al riguardo» (v. Sez. 1, n. 9198 del 27/08/1991, Rv. 473674; conf. Sez. 5, n. 27079 del 18/12/2006, Rv. 595888).
L’obbligo del previo contraddittorio endoprocedimentale è stato introdotto dall’art. 22, comma 1, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, in vigore dal 31 maggio 2010, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, attraverso la sostituzione dei commi dal quarto all’ottavo dell’art. 38 d.P.R. 600/73 ma, per espressa disposizione transitoria, «con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del decreto».
È appena il caso poi di rammentare che, con sentenza n. 24823 del 08/12/2015 le Sezioni Unite della S.C. hanno escluso, in materia di imposte dirette, la sussistenza di un obbligo generalizzato del preventivo contraddittorio al di fuori delle ipotesi per le quali esso è normativamente previsto.
5. Con il secondo motivo parte ricorrente ripropone – sotto il duplice profilo della omessa pronuncia e della inosservanza di norma processuale (artt. 22, 24 e 53 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) – l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate in ragione della mancata produzione, al momento della costituzione in giudizio, dell’avviso di ricevimento comprovante l’avvenuto perfezionamento della notifica dell’appello medesimo a mezzo posta.
La censura è infondata sotto entrambi i profili dedotti.
Quanto al primo, è appena il caso di rilevare che, per quanto già detto, l’esame nel merito dell’appello implica di per sé il rigetto della preliminare eccezione di inammissibilità dello stesso ed esclude pertanto la sussistenza del dedotto vizio di omessa pronuncia.
Con riferimento al secondo – premesso che, secondo quanto esplicitamente ammesso dallo stesso ricorrente, l’amministrazione appellante ha prodotto in atti, avanti la C.T.R., in data 05/07/2011, copia dell’avviso di ricevimento della raccomandata spedita per notifica a mezzo posta e che la doglianza si appunta (solo) sul mancato deposito della stessa contestualmente all’atto d’appello – occorre rammentare che l’art. 22, comma 1, d.lgs. 546/1992, richiamato dall’art. 53, comma 2, circa le forme da osservare per la proposizione dell’appello nei giudizi tributari, impone al ricorrente l’onere di depositare, oltre alla copia del ricorso stesso, la fotocopia della ricevuta del deposito o della spedizione della raccomandata a mezzo del servizio postale; non impone, invece, il deposito dell’avviso di ricevimento che attesti la ricezione del ricorso spedito per posta; deposito che resta pur sempre necessario ai fini della dimostrazione del perfezionamento del procedimento di notificazione e, dunque, dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio, ma che a tal fine potrà validamente essere eseguito anche successivamente alla costituzione ma purché entro il termine ultimo per la produzione di documenti (v. in tal senso Cass., Sez. U, n. 627 del 14/01/2008, Rv. 600790; cui adde conf., ex aiiis, Sez. 5, n. 13923 del 24/06/2011, Rv. 617630; Sez. 5, n. 14421 del 15/06/2010, Rv. 613599; Sez. 5, n. 9487 del 21/04/2010, Rv. 612522).
6. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta ancora omessa pronuncia in ordine alla eccezione di inammissibilità dell’appello per la mancata allegazione al fascicolo di parte appellante della previa autorizzazione alla proposizione del gravame da parte della competente Direzione regionale delle entrate, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. 546/92.
Anche in tal caso ad escludere il vizio dedotto di omessa pronuncia, pur in mancanza di specifica motivazione sul punto, vale il fatto in sé dell’esame nel merito dell’appello, ovviamente implicante, come detto, la ritenuta di inammissibilità dello stesso.
Varrà inoltre soggiungere, con riferimento al merito della eccezione, che la stessa fa riferimento a norma processuale (quella dettata dall’art. 52, comma 2, d.Igs. 546/1992), non più vigente al momento della proposizione dell’appello de quo, in quanto abrogata dall’art. 3, comma 1 lett. c), d.l. 25 marzo 2010, n. 40, conv. in legge 22 maggio 2010, n. 73, con effetto per gli appelli notificati dopo il 26/3/2010 (e dunque anche per quello di che trattasi, notificato in data 22/6/2011, come precisato dallo stesso ricorrente).
7. Con il quarto motivo infine il ricorrente deduce violazione dell’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 2697 cod. civ. nonché vizio di motivazione, per avere la C.T.R. ritenuto legittimo l’accertamento ancorché esclusivamente fondato sulla rilevata sussistenza di spese per incrementi patrimoniali, in assenza di alcun altro elemento di riscontro e del previo contraddittorio con il contribuente e per avere, comunque, omesso di considerare la prova contraria da esso offerta attraverso la produzione delle dichiarazioni sostitutive di atto notorio rese dei propri nonni nei sensi sopra indicati. Anche tali doglianze sono manifestamente infondate.
7.1. Sotto il primo profilo occorre ribadire che la norma di cui all’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, legittima la presunzione, da parte dell’amministrazione finanziaria, di un reddito maggiore di quello dichiarato dal contribuente sulla base di elementi indiziari dotati dei caratteri della gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. e, in particolare, per quel che in questa sede interessa, in ragione della «spesa per incrementi patrimoniali», la quale si presume sostenuta «salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti» (art. 38, comma 5, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis).
In presenza, dunque, di tale presupposto (nella specie incontestatamente identificato nel descritto esborso di 533.512,00 per l’acquisto di terreni e fabbricati tra gli anni 2004 e 2008) la norma non impone altro onere all’amministrazione ma piuttosto faculta (e onere) il contribuente a offrire la prova contraria: prova testualmente riferita, nel successivo comma 6, al fatto che «il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte», con la espressa precisazione che «l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione».
L’oggetto della prova contraria da parte del contribuente riguarda non solo, dunque, la disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte) ma anche «l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso».
Come questa Corte ha avuto modo di chiarire (Cass. Civ., Sez. 5, 18 aprile 2014, n. 8995, richiamata dalle successive Cass. 26 novembre 2014, n. 25104, 16 luglio 2015, n. 14885), pur non prevedendosi esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto io specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della «entità» di tali eventuali ulteriori redditi e della «durata» del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la «durata» del possesso dei redditi in esame, quindi non il loro semplice «transito» nella disponibilità del contribuente.
Tanto premesso, la regula iuris applicata al caso concreto dal giudice a quo appare pienamente rispettosa del quadro normativo così ricostruito, dovendosi in particolare escludere che, nell’aver affermato la piena legittimità dell’accertamento in quanto fondato sulla presunzione di maggior reddito derivante dalle descritte spese per incrementi, esso sia incorso in violazione delle citate norme e dei criteri di riparto dell’onere probatorio.
7.2. Quanto poi alla valutazione di inidoneità degli elementi offerti dal ricorrente al fine di superare la presunzione predetta, è appena il caso di rilevare che sul punto la sentenza offre specifica motivazione e che le censure al riguardo mosse, peraltro chiaramente volte a sollecitare un nuovo sindacato di merito comunque certamente precluso nella presente sede, si appalesano a fortori inammissibili in quanto esplicitamente dedotte con riferimento alla previsione – e in relazione dunque ai requisiti contenutistici – di cui all’art. 360, comma primo n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione previgente alla modifica introdotta dall’art. 54, comma 1 lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 norma però – quella previdente – non applicabile nel caso in esame, essendo questo soggetto, ratione temporis, alla nuova disciplina.
Questa, infatti, secondo la norma transitoria di cui al comma 3 del citato art. 54 d.l. n. 83 del 2012, «si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione» e, dunque, alle sentenze pubblicate a partire dall’11 settembre 2012 (ai sensi del comma 2 dell’art. 1 della legge di conversione n. 134 del 2012, quest’ultima è infatti entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e, dunque, essendo stata detta legge pubblicata sul supplemento ordinario n. 171 alla Gazzetta Ufficiale dell’11 agosto 2012 n. 187, il 12 agosto 2012; il trentesimo giorno successivo al 12 agosto 2012 è l’11 settembre 2012; la sentenza qui impugnata è stata pubblicata, come detto, il 22 ottobre 2012). è poi opportuno ribadire che la nuova disciplina trova applicazione anche per i ricorsi avverso le sentenze emesse dal giudice tributario, secondo la condivisibile interpretazione data dalle Sezioni Unite di questa Corte della successiva disposizione di cui al comma 3-bis del cl,I. cit., inserito in sede di conversione (v. Cass. Civ., Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, in motivazione, par. 4 – 12).
8. Con un’ultima censura (par. 41 di pag. 65 del ricorso) parte ricorrente infine si duole dell’omessa considerazione, da parte dei giudici d’appello, dell’ulteriore «documentata circostanza» per cui, nell’arco temporale preso in esame, egli aveva «addirittura assunto una posizione debitoria nei confronti delle banche per un importo complessivo di € 280.000,00»: argomenta che «laddove la C.T.R. avesse regolarmente proceduto a contrapporre [tale debito] con la spesa derivante dagli intervenuti acquisti immobiliari, sarebbe stato del tutto logico escludere … l’asserito incremento del proprio patrimonio».
Anche tale censura è inammissibile.
È noto al riguardo che mentre, secondo la precedente formulazione del n. 5 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., costituiva deducibile motivo di ricorso per cassazione la «omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio», secondo quella risultante dalla citata novella, la sentenza può essere censurata, sul piano della motivazione, solo «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
Circa la portata innovativa di tale riforma le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 19881 del 2014, seguite da numerose conformi delle sezioni semplici, hanno come noto enunciato i seguenti principi, cui questo collegio intende dare continuità:
a) la riformulazione dell’art. 360, comma primo n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di «sufficienza», nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili», nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»;
b) il nuovo testo dell’art. 360, comma primo n. 5, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
d) la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366, primo comma n. 6, seconda comma n. 4 cod. proc. civ. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuaie, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la decisività del fatto stesso.
Orbene, posta che il fatto storico del quale il ricorrente denuncia l’omesso esame è rappresentato, come detto, dall’assunzione di debiti con le banche, nel medesimo periodo preso in considerazione ai fini dell’accertamento, per complessivi E 280.000,00, appare dirimente il rilievo che – anche a tacere del fatto che nulla il ricorrente dice sul come e quando (nel quadro processuale) esso sia stato oggetto di discussione tra le parti – trattasi di circostanza non decisiva ai fini del giudizio, essendo l’assunzione di siffatto debito con le banche indice non univoco e pertanto inidoneo a giustificare gli esborsi considerati nei sensi richiesti dalla norma.
9. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 2.500, oltre spese prenotate a debito.
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