Il D.lgs. n.158/2015 ha ridefinito le regole che disciplinano, oltre all’ambito penale, il sistema sanzionatorio per le violazioni di natura amministrativo tributaria inerente il reverse charge, attraverso una maggiore proporzionalità tra la misura della sanzione e la gravità della violazione.
In particolare l’articolo 15 del D.Lgs. n. 158/2015 che disciplina le violazioni commesse nell’applicazione del regime dell’inversione contabile.
Il meccanismo del reverse charge costituisce una deroga al principio generale secondo cui il debitore dell’IVA nei confronti dell’erario è il soggetto che effettua l’operazione, il quale, secondo le regole ordinarie, emette la fattura con l’applicazione dell’imposta esercitando il diritto di rivalsa; per le operazioni per le quali è prevista l’applicazione del reverse charge l’assolvimento dell’IVA invece è posto a carico dell’acquirente, ovvero lo stesso soggetto che ha diritto anche alla detrazione.
Il soggetto cedente o prestatore, con l’applicazione del reverse change ai sensi dell’art. 17 comma 6 del Dpr 633/72, emette la fattura senza addebitare l’imposta. Il destinatario della fattura integra la stessa con l’indicazione dell’aliquota e dell’importo propri dell’operazione, provvede a registra il documento sia nel registro IVA delle fatture emesse sia nel registro IVA degli acquisti, rendendo neutrale l’effetto della imposta sull’acquisto.
Le disposizioni normative che disciplinano i casi di violazione ed applicazione delle sanzioni del predetto meccanismo sono contenute nell’articolo 6 del D.Lgs. 471/1997 ed in particolare nel comma 2 e nei commi 9-bis, 9-bis1, 9-bis2 e 9-bis3.
Il primo periodo della su indicata norma recita che “qualora, in presenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cessionario o il committente anzidetto non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro”.
La sanzione si applica in capo al cessionario/committente ovvero a colui che ricevere la fattura con evidenza dell’IVA. Di tale sanzione il cedente/prestatore ne risponderà solo in via solidale, come espressamente previsto dal secondo periodo del comma 9-bis1 che recita “Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cedente o prestatore”.
Il cessionario/committente, qualora non abbia limitazioni di sorta (dovute, ad esempio, all’applicazione del pro rata), conserva il diritto di detrarre l’IVA sulla fattura erroneamente emessa e, inoltre, non è tenuto egli stesso ad assolvere l’imposta.
I casi di frode fiscali sono disciplinati derivanti da comportamenti adottati dal cedente/prestatore e dal cessionario/committente dal terzo periodo del comma 9-bis1.
In particolare lo stesso articolo afferma che “Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cessionario o il committente è punito con la sanzione di cui al comma 1 quando l’applicazione dell’imposta nel modo ordinario anziché mediante l’inversione contabile è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole”.
Va precisato che la sanzione che va dal 90% al 180% dell’imposta non correttamente evidenziata in fattura, è imputabile al cessionario/committente unicamente nel caso in cui sia provato che lo stesso “era consapevole” dell’intento di evasione o di frode che ha generato l’errore.
Nelle fattispecie in cui la mancata applicazione del regime dell’inversione contabile non abbia alcun effetto sull’imposta trova applicazione il secondo periodo del comma 9bis che prevede la sanzione in misura proporzionale dal 5% al 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro, se l’operazione non risulta neppure dalla contabilità tenuta ai fini delle imposte sui redditi.
Nei casi di non applicazione del regime dell’inversione contabile in relazione ad una operazione per la quale l’imposta, se fosse stata applicata, sarebbe risultata indetraibile in capo al cessionario o committente dovute a limitazioni oggettive o soggettive del diritto di detrazione trova applicazione il terzo periodo del comma 9bis dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 471/97. In tale ipotesi trova applicazione una sanzione proporzionale che va dal 90% al 180% dell’imposta indetraibile, prevista per la dichiarazione infedele di cui all’articolo 5, comma 4, del D.Lgs. n. 471/97, e la sanzione per indebita detrazione di cui al sesto comma dello stesso articolo 6, pari al 90% dell’imposta, e questo nonostante che nella fattispecie il contribuente non abbia operato alcuna detrazione, avendo omesso di applicare il meccanismo di inversione contabile.
Nei casi in cui non si sia ricevuta la fattura oppure sia stata ricevuta una fattura irregolare trova applicazione l’ultimo periodo del comma 9bis dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 471/97 prevede l’applicazione delle disposizioni dei precedenti periodi dello stesso comma 9bis. Per cui verranno applicate le sanzioni ivi previste qualora “entro il trentesimo giorno successo” allo scadere del quarto mese dalla data di effettuazione dell’operazione la fattura non sia pervenuta oppure “avendo il fornitore emesso fattura irregolare“, entro i trenta giorni successivi, il cessionario o committente non informi l’Ufficio competente nei suoi confronti, provvedendo ad emettere l’autofattura o apposito documento integrativo, ed assolvere l’imposta entro lo stesso termine.
La mancata regolarizzazione nei termini previsti dalla norma fa scattare la sanzione del 100% dell’imposta non regolarizzata, con il minimo di 250 euro.
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