CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 8891 del 4 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – INTERPOSIZIONE ILLECITA DI MANODOPERA – CONTRIBUTI OMESSI – CARTELLA DI PAGAMENTO
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Pordenone aveva accolto l’opposizione proposta dalla società P. spa avverso la cartella di pagamento n. 115 2003 006 3785 62, con la quale l’Inps aveva intimato il pagamento della somma di € 42.770,93, a titolo di contributi omessi per interposizione illecita di manodopera ai sensi dell’art. 1 comma 3 della legge 1369/1960.
2. Adita dall’Inps in sede di gravame, la corte di Appello di Trieste, con la sentenza in data 7.4.2010, in esito a critica rivalutazione del materiale istruttorio, in riforma della sentenza di primo grado, aveva respinto l’opposizione proposta dalla società con il ricorso di primo grado.
3. Avverso detta sentenza la P. spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi.
4. L’Inps, anche nella qualità di mandatario della S.C.C.I. ha resistito con controricorso.
5. La S. spa è rimasta intimata.
6. Successivamente alla notifica ed al deposito del ricorso, il fallimento P. in persona del Curatore fallimentare, ha depositato un atto qualificato come ricorso in riassunzione con il quale ha riferito che il Tribunale di Udine, con sentenza n. 18/12 in data 2 marzo 2012, ha dichiarato il fallimento della società originaria ricorrente; ha affermato che si sarebbe verificata interruzione del presente giudizio ipso iure, ex art. 43 L. F.; ha chiesto che fosse dichiarata la prosecuzione del giudizio, richiamando le difese svolte nel ricorso per cassazione.
Motivi della decisione
7. Con il primo motivo (rubricato con lettera a) la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3, e n. 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 c.c., 115, 116, 246, 421 c.p.c, e difetto di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
8. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato l’art. 246 c.p.c. e non avrebbe adeguatamente motivato in tema di incapacità a testimoniare dei lavoratori assunti come fittiziamente dipendenti delle imprese appaltatrici”.
9. Lamenta che la Corte territoriale si sarebbe limitata ad affermare che essa società non aveva contestato, nei termini di cui all’art. 157 c. 2 c.p.c., l’incapacità a testimoniare di questi lavoratori e che non avrebbe considerato che detti testi erano legittimati ad intervenire, anche solo ad adiuvandum, nel giudizio relativo alla pretese contributive azionato dall’Inps.
10. Deduce che, comunque, la Corte territoriale avrebbe dovuto vagliare l’attendibilità delle testimonianze rese dai lavoratori assunti dalle imprese appaltatrici.
11. Con il secondo motivo (rubricato come lett. c) la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 116 c.p.c., in ordine al valore attribuito alle dichiarazioni rese, in sede ispettiva, dal titolare della società.
12. Sostiene che già nel giudizio di appello aveva sostenuto che le dichiarazioni rese dal legale rappresentante in sede ispettiva erano state travisate, perché questi aveva dichiarato che gli strumenti di lavoro appartenevano agli operai e che la società, per la lavorazione del ferro, si era avvalsa, previo appalto, delle prestazioni lavorative di operai dipendenti di altre società.
13. Lamenta che la Corte di appello avrebbe erroneamente attributo al verbale ispettivo, privo di valore probatorio precostituito, consistenza probatoria determinante.
14. Con il terzo motivo (rubricato con la lettera d) la ricorrente denuncia, ai sensi degli artt. 360 c. 1 n. 3 e n. 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 215 c.p.c.e 2702 e 2697 c.c. e motivazione contraddittoria su un fatto decisivo e controverso del giudizio.
15. Sostiene che la Corte avrebbe errato nell’ applicare la disciplina del riconoscimento tacito della scrittura privata, perché i fogli delle presenze ed i prospetti relativi agli orari non provenivano da essa società, ma erano stati redatti dalle società facenti capo al C. o al P.
16. Deduce di avere contestato il prospetto allegato al verbale ispettivo, relativo al numero dei lavoratori impegnati nei suoi cantieri, al numero delle ore e dei giorni delle presenze, ed i parametri di computo dei contributi.
17. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe disatteso le deposizioni rese dai testi D., G.F. ed A.F. e che non avrebbe considerato che essa società aveva contestato che nei suoi cantieri avessero lavorato tutti gli altri lavoratori indicati nel verbale ispettivo.
18. Con il quarto motivo (rubricato con la lettera e) la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2094 c.c. e 115 c.p.c. e motivazione contraddittoria e insufficiente su un fatto decisivo e controverso del giudizio.
19. Sostiene che le dichiarazioni rese dal Marchi e dai due lavoratori escussi non avevano provato la natura subordinata delle prestazioni e che l’Inps non aveva dimostrato la correttezza del CCNL applicato nello sviluppo dei conteggi.
20. Con il quinto motivo (rubricato con la lettera f) la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della legge 1369 c. 1 n. 3 e insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
21. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che la doppia imposizione dei contributi non era stata provata e che essa P. non era legittimata a dolersene, per essere legittimate a farlo le altre società.
22. Con il sesto motivo (rubricato con la lettera g) la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge 1369/1960 ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.
23. Lamenta che la Corte territoriale non avrebbe considerato, ai fini della obbligazione contributiva, il cui adempimento non era stato richiesto dall’Inps ai sensi dell’art. 3 della legge 1369/1960, che nella fattispecie dedotta in giudizio si trattava di appalto lecito, come risultava dalle prove raccolte.
24. Con il settimo motivo (rubricato con la lett. h) la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione al CCNL applicato da essa P. (Laterizi Industria e non Edilizia).
25. Sostiene di avere sempre allegato che la sua attività consisteva nella costruzione e posa in opera di prefabbricati in calcestruzzo, prodotti in azienda, e che la Corte territoriale avrebbe errato nel desumere la correttezza del riferimento al CCNL Edilizia dalle dichiarazioni rese dal legale rappresentante di essa società in sede ispettiva.
26. Deduce che sul punto era intervenuto un giudicato tra essa ricorrente e giudicato costituito dalla sentenza del Tribunale in data 91/2009, che aveva accertato che trovava applicazione il CCNL laterizi Industria.
27. In via preliminare
28. E’ inammissibile l’atto, definito ricorso in riassunzione, depositato dal Fallimento della P. spa, in quanto è stato redatto dal nuovo difensore sulla base di una procura speciale conferita, irritualmente, per scrittura privata autenticata dallo stesso difensore sullo stesso atto.
29. Nel giudizio di cessazione – diversamente da quanto avviene con riguardo ai giudizi di merito – la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poiché l’art. 83, comma 3, c.p.c., – nel testo precedente alla riforma introdotta dall’art. 45, comma 9, lett. a) L. n. 18 giugno 2009, n. 69, applicabile ratione temporis al giudizio in esame, in quanto il giudizio di primo grado è stato introdotto prima del 4 luglio 2009 – nell’elencare gli atti a margine o in calce ai quali può essere apposta la procura speciale, individua, con riferimento al giudizio di cassazione, soltanto quelli suindicati.
30. Pertanto, se la procura non viene rilasciata su detti atti, è necessario che il suo conferimento si realizzi nella forma prevista dal citato art. 83, comma 2, cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata ( Cass. 18323/2014,13329/2015; Ord. 7241/2009, 2460/2015).
31. A quest’ultima conclusione deve pervenirsi anche con riferimento all’ipotesi, quale quella in esame, in cui sopraggiunga la sostituzione del difensore nominato con il ricorso (o controricorso), a seguito di fallimento.
32. Non risponde, infatti, alla disciplina del giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio a seguito della sua instaurazione con la notifica e il deposito del ricorso (o controricorso) e non soggetto agli eventi di cui agli artt. 299 e segg. c.p.c. (Cass. SSUU Ord. 17295/2003; Cass. 21153/2010, 8685/2012, 17450/2013), il deposito di un atto redatto dal nuovo difensore (nella specie denominato “atto di riassunzione”) su cui possa essere apposta la procura speciale (Cass. 21313/2014, 929/2012, 23816/2010).
33. Esame dei motivi
34. Il primo motivo è infondato.
35. Questa Corte ha più volte affermato che la nullità della testimonianza resa da persona incapace, ai sensi dell’art. 246 cod. proc. civ., essendo posta a tutela dell’interesse delle parti, è configurabile come nullità relativa e, in quanto tale, deve essere eccepita subito dopo l’assunzione della prova, rimanendo altrimenti sanata ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, (ex plurimis Cass. SSUU 21670/2013), a nulla rilevando che la parte abbia preventivamente formulato, ai sensi dell’art. 246 cod. proc. civ., una eccezione d’incapacità a testimoniare, che non include l’eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione ( ex plurimis Cass. 18036/2014).
36. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, avendo rilevato che non vi fu alcuna opposizione alla escussione in qualità di testi dei lavoratori assunti dalle società appaltatrici. E sul punto la statuizione non è stata contrastata da alcuna censura.
37. Le deposizioni dei testi, che nella prospettiva difensiva della società erano incapaci a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c., sono state oggetto di adeguato apprezzamento, effettuato nell’ambito della valutazione globale di tutti gli elementi probatori acquisiti nel giudizio di primo grado, valutazione di cui la Corte territoriale ha dato ampio conto (sono state richiamate le deposizioni del teste R., le dichiarazioni rese in sede ispettiva dal legale rappresentante della società e i dati ricavati dai fogli di presenza e dai prospetti mensili reperiti negli uffici della società P.), con argomentazioni, chiare e lineari, rispetto alle quali non si ravvisano i vizi di carenza ovvero di contraddittorietà, vizi questi nemmeno esplicitati in maniera puntuale e specifica (ex plurimis. SSUU. 28547/2008, 7161/2010; Cass. 20535/2009, 29/2010, 17602/2011, 124/2013, 6122/2014).
38. Sono infondati i profili di doglianza formulati con riferimento alle norme processuali contenute negli artt. 115 e 116 c.p.c.
39. L’art. 116 cod. proc. civ. prescrive, come regola di valutazione delle prove, quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti.
40. Il giudice del merito è libero, infatti, di scegliere le risultanze istruttorie ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, e di dare liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla (ex plurimis Cass. SS.UU. 5802 /1998 e 2418/2013, Cass. 1892/2002, 15355/2004, 1014/2006, 18119/2008, del 1998 nonché Cass. n. 1892 del 2002, n. 15355 del 2004, n. 1014 del 2006; n. 18119 del 2008, Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013).
41. Nel caso in esame la ricorrente non ha specificato a quale risultanza probatoria la Corte territoriale abbia attribuito valore diverso da quello riconosciuto dall’ordinamento, e, nemmeno, in quali termini e perché la regola del prudente apprezzamento sia stata violata.
42. Non è ravvisabile la violazione dell’art. 115 c.p.c., perché non è risultato in alcun modo contestato che la Corte territoriale abbia fondato la sua decisione sul materiale probatorio acquisito nel corso del giudizio, nei termini offerti dalle parti.
43. Non sussiste la violazione dei principi di ripartizione dell’onere probatorio perché la Corte territoriale ha affermato la sussistenza dell’obbligazione contributiva, in forza del criterio di acquisizione probatoria ed ha valutato le risultanze probatorie acquisite al processo, che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte concorrono tutte alla formazione del convincimento del giudice, indipendentemente dalla parte ad iniziativa (o ad istanza) della quale si sono formate (ex plurimis Cass. SSUU 28498/2005; Cass. 13383/2008, 21970/2010).
44. Le considerazioni svolte evidenziano l’infondatezza anche della censura formulata con riferimento all’art. 421 c.p.c, neppure esplicitata in prospettazioni idonee a spiegare perché la norma sarebbe stata erroneamente interpretata o male applicata.
45. Il secondo motivo è infondato.
46. La Corte territoriale non ha attribuito al verbale ispettivo valore probatorio preminente, ovvero diverso da quello attribuito dall’ordinamento giuridico, rispetto alle altre acquisizioni probatorie.
Essa lo ha esaminato e valutato alla luce delle altre emergenze probatorie di cui ha dato conto.
47. Quanto al dedotto travisamento delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante in sede ispettiva, in punto di proprietà degli strumenti di lavoro, va rilevato che l’errore addebitato alla sentenza impugnata non ha, di per sé solo, valore decisivo.
48. La Corte territoriale, infatti, ha tenuto conto di quanto emerso dalle dichiarazioni dei testi, in merito alla gestione organizzativa da parte dei responsabili della società P. delle prestazioni lavorative rese dai lavoratori in carico alle società appaltatrici (risoluzione dei problemi di lavoro, richiami in caso di mancata osservanza dell’orario di lavoro, conteggio delle ore di lavoro prestato).
49. Ha anche valutato la circostanza, riferita dal legale rappresentante della società all’ispettore dell’Inps (nei termini che riporta la stessa ricorrente nel ricorso), che il compenso concordato con le società appaltatrici era relativo alle sole ore di lavoro prestato dai dipendenti delle imprese appaltatrici.
50. Non è ravvisabile violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. avuto riguardo a quanto già osservato nei punti 39, 40, 42 e 43 di questa sentenza.
51. Il terzo motivo è infondato.
52. La denunziata violazione degli artt. 2702 c.c. e 215 c.p.c. non coglie nel segno, perché la Corte territoriale non ha attribuito il valore di scrittura privata, proveniente dal legale rappresentante della società, ai prospetti relativi alle ore di lavoro ed alle presenze allegati al verbale ispettivo.
53. Nella sentenza risulta semplicemente affermato che i dati relativi agli orari di lavoro ed alle presenze erano stati rilevati dagli ispettori sulla scorta dei prospetti mensili rinvenuti in sede di accertamento ispettivo.
54. Tali dati la Corte territoriale ha valutato apprezzando la deposizione resa sul punto dall’ispettore dell’Inps
55. In siffatto contesto motivazionale risulta, dunque, irrilevante la circostanza che i dati del prospetto fossero stati oggetto di contestazione.
56. Va anche rilevato che la mancata indicazione della precisa sede di collocazione degli atti processuali, ai quali la ricorrente ha fatto riferimento (in ricorso risultano richiamati con mera indicazione della numerazione dei documenti), preclude a questo giudice di legittimità di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti (Cass. SSUU 5698/2012, SSUU 22726/2011, 15477/2012, 15229/2015, 24373/2015).
57. La censura di violazione dell’art. 2697 c.c. è infondata, avuto riguardo alle considerazioni svolte nel punto 43 di questa sentenza.
58. Il quarto motivo è inammissibile, quanto al profilo di censura correlato alla natura dei rapporti di lavoro in relazione ai quali è stata azionata la pretesa contributiva.
59. La questione della natura subordinata o meno di detti rapporti, per quanto è dato ricavare dalla sentenza impugnata e dal contenuto degli atti difensivi dei giudizi di merito riportato nel ricorso, è rimasta estranea al thema decidendum del giudizio di merito.
60. Questo ebbe, infatti, ad oggetto la, diversa, questione della configurabilità o meno di illecita interposizione di manodopera, ai sensi degli artt. 1 e 3 della legge 1369/1960 e della riferibilità dei rapporti di lavoro in ordine ai quali è stata azionata la pretesa contributiva alla odierna ricorrente.
61. Il motivo in esame è infondato nella parte in cui sono denunciati vizi di motivazione.
62. La motivazione della sentenza in ordine alla correttezza dei conteggi è chiara e lineare, e non è ravvisabile alcuna incoerenza nelle affermazioni con le quali la Corte territoriale ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto corretta l’entità dei contributi rivendicati, ragioni fondate su apprezzamenti conformi alle previsioni di cui agli artt 2697 c.c e 115 c.p.c, del contesto allegatorio e probatorio, che non può essere oggetto di riesame da parte del giudice di legittimità.
63. Il Quinto motivo è infondato.
64. La Corte territoriale ha spiegato in maniera chiara e puntuale che non vi era alcuna prova della doppia imposizione e, d’altra parte, la stessa ricorrente ha allegato che l’ispettore R. aveva riferito che l’Inps aveva addebitato alle società facenti parte del gruppo P.- C. contributi per oltre cinque miliardi di lire, senza ricevere il pagamento e che nell’indagine ispettiva era emerso che alcuni lavoratori non erano stati assicurati e che altri erano stati assicurati in modo parziale.
65. Non è stata indicata e precisata, d’altra parte, quale sia la risultanza istruttoria pretermessa, che provi l’avvenuto pagamento, da parte delle società committenti, dei contributi rivendicati dall’Inps, pagamento che, in realtà nei giudizi di merito, la stessa società ha paventato come eventuale.
66. La ratio decidendi della sentenza sopra richiamata è di per sé sufficiente ed idonea a sorreggere la statuizione che ha escluso la doppia imposizione, con conseguente assorbimento dei profili di censura che attengono alle ulteriori affermazioni, sviluppate con riferimento alla insussistenza dell’interesse della ricorrente a dolersi di una, si ribadisce prospettata in via eventuale, duplicazione dell’imposizione contributiva.
67. Il sesto motivo è infondato.
68. Il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1 (applicabile ratione temporis nella fattispecie in esame), è diretto a proteggere i lavoratori da forme di sfruttamento conseguenti alla dissociazione tra la titolarità formale del rapporto e la sua effettiva destinazione, cioè fra l’autore dell’assunzione e l’effettivo beneficiario delle prestazioni lavorative.
69. Esso opera oggettivamente, prescindendo dall’intento fraudolento o simulatorio delle parti e può esser violato anche da soggetti titolari dr una propria organizzazione autonoma, che professionalmente abbiano assunto appalti regolari di opere e servizi, se la situazione lavorativa apparente non corrisponde a quella reale, con la conseguenza che i lavoratori sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze del soggetto che ne ha effettivamente utilizzato le prestazioni lavorative.
70. Con riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1), secondo la giurisprudenza di questa Corte, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore – datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, (cfr., fra le più recenti, Cass.7820/2013, 19920/2011, 3681/2011, 9264/2008) e senza che esista, anche in fatto, una autonomia gestionale dell’appaltatore esplicata nella conduzione aziendale, nella direzione del personale, nella scelta delle modalità e dei tempi di lavoro ( Cass.5648/2009).
71. Da questi principi la Corte territoriale non si è discostata e gli accertamenti di fatto compiuti per la loro applicazione si sottraggono alle censure della ricorrente formulate sotto il profilo dei vizi della motivazione.
72. Essa ha spiegato, in maniera chiara, lineare e puntuale, che dagli elementi probatori acquisiti al processo era rimasto accertato che la direzione tecnica e il controllo sulla presenza e sugli orari di lavoro era affidata al personale dipendente della odierna ricorrente preposto alla direzione dei cantieri; che il materiale necessario per le lavorazioni veniva fornito dalla ricorrente; che il presunto datore di lavoro, che provvedeva al reclutamento degli operai alle dipendenze delle ditte appaltatrici, lungi dall’interferire sull’organizzazione del servizio appaltato, era presente suoi luoghi di lavoro di lavoro solo una volta al mese, “nei giorni” di paga.
73. In conclusione, con valutazione di merito assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria e, pertanto, non censurabile con ricorso per cassazione, la Corte di appello ha accertato che la prestazione dei lavoratori alle dipendenze delle ditte appaltatrici, in relazione ai quali è stato domandato dall’Inps il pagamento dei contributi, era nella piena disponibilità della P., che assunse la veste di reale datrice di lavoro.
74. Cosicché, in coerenza con tale accertamento di fatto, il giudice del merito ha ritenuto integrata la fattispecie dell’illecita interposizione nella prestazione lavorativa, vietata dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, applicabile ratione temporis.
75. Il settimo motivo è inammissibile.
76. La ricorrente omette di riprodurre il contenuto, sia pure nelle sole parti rilevanti del CCNL Laterizi e del CCNL Edilizia (i cui testi non sono allegati al ricorso e nemmeno ne è indicata la sede di produzione), precludendo a questa Corte di valutare la fondatezza delle doglianze formulate ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c.
77. La ricorrente, inoltre, non allega se e in quale atto processuale sia stata posta all’attenzione della Corte territoriale il giudicato costituito dalla richiamata sentenza, non potendo ritenersi sufficiente il richiamo agli atti difensivi dei giudizi di merito e non risultando richiamati e nemmeno allegati i verbali delle udienze (Cass. SSUU 5698/2012, SSUU 22726/2011, 15477/2012, 15229/2015, 24373/2015).
78. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato.
79. Le spese del giudizio seguono la soccombenza, quanto al rapporto processuale instaurato nei confronti dell’Inps.
80. Non v’è spazio per pronunzia sulle spese quanto alla S. spa, rimasta intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Inps, liquidate in € 100,00 per esborsi ed in € 3.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali.
Nulla per le spese, quanto a S. spa.
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