CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 marzo 2018, n. 6455
Rapporto di collaborazione autonoma – Accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro – Mansioni di redattore ordinario – Censura di violazione di legge – Non sussiste – Erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa – Tipica valutazione del giudice di merito
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 1°.5.2016, la Corte d’appello di Bologna ha confermato – per quanto qui interessa – la decisione di prime cure che aveva accolto la domanda di A.L. volta all’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro precorso con R.C.s.r.l. dal 1°.3.2007 al 31.10.2008 e all’inquadramento delle relative mansioni in quelle proprie del redattore ordinario ex art. 1 del CCNLG, con condanna al pagamento delle differenze retributive consequenziali;
che avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione R.C. s.r.l., affidandosi ad un unico motivo di censura;
che A.L. ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che R.C. s.r.l. ha depositato memoria;
Considerato in diritto
che, con l’unico motivo di censura, parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2730 ss. e/o 2697 c.c. con riferimento all’art. 2094 c.c. nonché omessa , insufficiente e/o carente motivazione per avere la Corte di merito applicato alla fattispecie la disciplina del rapporto di lavoro subordinato nonostante fosse in possesso di tutti gli elementi di fatto idonei ad identificarlo quale rapporto di collaborazione autonoma;
che costituisce orientamento consolidato di questa Corte di legittimità il principio secondo cui la censura di violazione di legge può configurarsi allorché la sentenza impugnata abbia compiuto un’erronea ricognizione della norma recata da una disposizione di legge, dovuta o ad un’erronea interpretazione della medesima ovvero all’erronea sussunzione del fatto così come accertato entro di essa, e non anche quando si deduca un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, trattandosi in questo caso di questione esterna all’esatta interpretazione della norma e che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile in sede di legittimità solo ex art. 360 n. 5 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis (cfr. fra le più recenti Cass. nn. 15499 del 2004, 18782 del 2005, 5076 e 22348 del 2007, 7394 del 2010, 8315 del 2013);
che, nella specie, le censure di parte ricorrente incorrono nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulate con riguardo a presunte violazioni e/o false applicazioni degli artt. 2730 ss. e/o 2697 c.c. in relazione all’art. 2094 c.c., denunciano in realtà un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, imputandosi alla Corte di merito di non aver tenuto adeguatamente conto del contenuto di taluni messaggi di posta elettronica inviati dalla presunta lavoratrice così come delle deposizioni rese dai testi escussi;
che, con riguardo alle doglianze di vizio di motivazione, è parimenti consolidato il principio secondo cui, a seguito della riformulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. da parte dell’art. 54, d.l. n. 83/2012 (conv. con l. n. 134/2012), può essere dedotto in sede di legittimità soltanto l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, restando viceversa esclusa la possibilità di dolersi dell’omesso esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053 del 2014);
che, sempre con riguardo al vizio in esame, è stato precisato che l’unica anomalia motivazionale ormai rilevante è quella attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, restando esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. S.U. n. 8053 del 2014, cit.);
che nella specie parte ricorrente non ha addotto alcun fatto la cui considerazione da parte del giudice avrebbe di per sé condotto ad un diverso e a sé favorevole giudizio, limitandosi a evidenziare talune circostanze (già ricordate supra) che non potrebbero non essere valutate comparativamente con le altre che la Corte territoriale ha valorizzato ai fini del decidere (ciò che, peraltro, la Corte ha puntualmente fatto, ancorché pervenendo a risultati non condivisi da parte ricorrente);
che, anche prima della modifica apportata all’art. 360 n. 5 c.p.c. dall’art. 54, d.l. n. 83/2012, cit., la censura di vizio di motivazione non può essere volta a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, né per suo tramite si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento (cfr. da ult. Cass. n. 7916 del 2017);
che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che sussistono altresì i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 3.700,00, di cui € 3.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 ottobre 2022, n. 29981 - La prescrizione dei crediti del lavoratore non decorre in costanza di un rapporto di lavoro formalmente autonomo, del quale sia stata successivamente riconosciuta la natura subordinata con…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 ottobre 2019, n. 25805 - Qualora sia accertato la natura subordinata dei contratti di collaborazione, ed il datore di lavoro abbia adempiuto alla procedura di cui all'art. 1, commi 1202 e ss., della legge n. 296 del…
- CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 524 depositata l' 11 gennaio 2023 - Il credito al trattamento di fine rapporto, se, in effetti, è esigibile soltanto con la cessazione del rapporto di lavoro subordinato, matura (ed è, come tale, certo nell’an e…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 agosto 2022, n. 25508 - Ai fini della individuazione della c.d. natura giuridica del rapporto, il primario parametro distintivo della subordinazione deve essere necessariamente accertato o escluso anche mediante il…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3279 - In tema di riscossione di contributi previdenziali, l'opposizione avverso la cartella esattoriale di pagamento dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti ed obblighi inerenti…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 22 aprile 2022, n. 12907 - La competenza per territorio può essere determinata anche con riguardo alla dipendenza dell'azienda ove il lavoratore presta effettivamente servizio. In tema di lavoro giornalistico, ai sensi…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Gli amministratori deleganti sono responsabili, ne
La Corte di Cassazione, sezione I, con l’ordinanza n 10739 depositata il…
- La prescrizione quinquennale, di cui all’art. 2949
La Corte di Cassazione, sezione I, con l’ordinanza n. 8553 depositata il 2…
- La presunzione legale relativa, di cui all’a
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 10075 depos…
- Determinazione del compenso del legale nelle ipote
La Corte di Cassazione, sezione III, con l’ordinanza n.10367 del 17 aprile…
- L’agevolazione del c.d. Ecobonus del d.l. n.
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 7657 depositata il 21 ma…