CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 marzo 2018, n. 7028
Tributi – Reddito di impresa – Costi indeducibili – Spese promozionali e di propaganda – Costi sostenuti per consulenze commerciali – Spese di rappresentanza – Spese relative a prestazioni lavorative occasionali
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 54/38/2010, emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, e depositata il 27.04.2010.
Ha rappresentato che con avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2004 erano ripresi a tassazione alcuni componenti negativi del reddito d’impresa della società G. s.p.a., relativi a costi non inerenti o non documentati. Ai fini Iva l’accertamento riguardava la ripresa fiscale per violazione della disciplina in materia di cessioni intracomunitarie.
Nel contenzioso che ne seguiva la Commissione Tributaria Provinciale di Varese accoglieva in parte le doglianze della contribuente, rideterminando in € 64.313,31 i costi non deducibili (dall’iniziale accertamento di € 288.532,33). L’appello, promosso dalla Agenzia, era rigettato.
Avverso la pronuncia del giudice regionale l’Agenzia formula dieci motivi di ricorso, censurando: con il primo l’omessa o insufficiente motivazione su un punto di fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., relativamente alla ripresa a tassazione di spese promozionali e di propaganda;
con il secondo, il quarto, il sesto, l’ottavo la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per omessa pronuncia sui costi sostenuti per consulenze commerciali; per spese di rappresentanza per € 2.669,00;
per spese relative a prestazioni lavorative occasionali di un soggetto, di cui mancavano però riscontri del periodo di riferimento e dell’attività svolta; su costi non di competenza dell’anno 2004;
con il terzo, il quinto, il settimo per omessa motivazione, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., relativamente ai medesimi costi; con il nono per nullità della sentenza per violazione degli artt. 61 e 36, co. 1, n. 4, del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., con riguardo alla ripresa a tassazione dell’Iva;
con il decimo motivo l’omessa motivazione su un punto di fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 co. 1, n. 5 c.p.c., con riguardo al medesimo oggetto del precedente motivo.
Chiedeva pertanto la cassazione della sentenza.
Si costituiva la società, che contestando le avverse difese chiedeva il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica del 18 gennaio 2017, dopo la discussione, il P.G. e le parti concludevano. La causa era trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
È fondato il primo motivo.
Sulle spese promozionali e di propaganda la sentenza afferma che <<…l’appello dell’Ufficio non è meritevole di accoglimento. …. Per… le doglianze formulate dall’Ufficio per quanto attiene i costi promozionali e di propaganda, ritenuti costi non inerenti, si rileva che i giudici di primo grado in merito, hanno correttamente deciso in quanto dai documenti in atti si evince in modo inequivocabile che il contratto intercorso con la P. srl era sempre stato rinnovato e che la società di allevamento della citata P. srl a seguito di ristrutturazione societaria aveva assunto la denominazione di S. srl. L’Ufficio ha cercato di dimostrare la tesi di indeducibilità di detti costi, aggrappandosi alla sua inerenza ex art. 75 comma 5 ora art. 109 DPR 917/86. In proposito va sottolineato che vanno giustificate come spese di pubblicità o di propaganda quelle erogate per le iniziative volte, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi o comunque dall’attività svolta. Da quanto detto discende quindi che i giudici di primo grado hanno correttamente operato». La giurisprudenza ha avuto reiteratamente modo di affermare che la sentenza d’appello, anche quando motivata per relationem alla pronuncia di primo grado, non è nulla se in essa siano espresse sia pur in modo sintetico le ragioni della conferma tenendo conto dei motivi di impugnazione proposti (cfr. Cass., Sez. 1, sent. 14786/2016). Con specifico riguardo al processo tributario si è affermato che è nulla per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546/1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle limitandosi a motivare per relationem alla sentenza impugnata (Cass. Sez. 6-5, ord. 15884/2017).
Nel caso che ci occupa l’Amministrazione aveva sollevato una serie di censure avverso la sentenza di primo grado, ponendo in primo luogo in discussione l’esistenza di documentazione relativa alle avvenute sponsorizzazioni, formulando dubbi sui dati esposti nei bilanci della P. e della G., sulla inerenza dei costi, sulla giustificabilità dei medesimi in considerazione degli importi sopportati. A fronte di tutto ciò la sentenza del giudice regionale, pur non operando del tutto con la tecnica del rinvio per relationem alla sentenza di primo grado, ne afferma tuttavia la correttezza, senza soffermarsi su nessuna delle ragioni evidenziate dall’appellante per dolersi della sentenza stessa. È allora palese l’insufficienza della motivazione, che evidenzia la carenza di argomentazioni proprio in riferimento alle critiche mosse dall’appellante.
Con il secondo, quarto, sesto e ottavo motivo l’Agenzia si duole che nonostante con l’atto impugnativo avesse contestato l’annullamento della ripresa a tassazione di costi relativi a consulenze commerciali, spese di rappresentanza, spese relative a prestazioni lavorative occasionali svolte da P. M., ancorchè prive di riscontri sul periodo di riferimento e sull’attività svolta, costi non di competenza dell’anno 2004, il giudice regionale ometteva di pronunciarsi su tutte queste voci.
La censura è fondata perché la sentenza, dopo essersi occupata delle spese promozionali e di propaganda, non fa riferimento a dette voci riprese a tassazione dalla Agenzia e annullate dal giudice provinciale. Ne consegue che la sentenza incorre nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, ai sensi degli artt. 112 e 360, co. 1, n. 4 c.p.c.
I motivi terzo, quinto e settimo sono assorbiti dalla decisione sui motivi secondo, quarto e sesto, riguardando le medesime questioni, sollevate in via subordinata quale vizio motivazionale.
È fondato anche il nono motivo, con il quale si invoca la nullità della sentenza perché la motivazione del giudice regionale sull’annullamento della ripresa a tassazione dell’Iva manca del tutto delle ragioni di diritto poste a fondamento della statuizione. La sentenza si limita a dichiarare che «si condivide infine in toto quanto in merito deciso dai giudici di primo grado per quanto concerne l’Iva.». Così come impostata la motivazione della sentenza è solo apparente, sicchè incorre nel vizio di legge procedurale ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.
La fondatezza del nono motivo assorbe il decimo, sollevato in via subordinata per l’ipotesi di non accoglimento del nono.
In conclusione la sentenza va cassata e il procedimento va rinviato alla medesima Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che deciderà in altra composizione anche sulle spese.
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