CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 maggio 2018, n. 10766
Indebita fruizione degli sgravi contributivi – Cooperativa – Licenziamento – Trasferimento d’azienda
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 968 pubblicata il 13.11.2012, ha respinto l’impugnazione proposta avverso la sentenza con cui il Tribunale locale aveva accolto l’opposizione alla cartella di pagamento emessa nei confronti di O. s.r.l., per indebita fruizione degli sgravi contributivi di cui all’art. 8, commi 4 e 4 bis, L. 223 del 1991 in relazione a n. 28 lavoratori.
2. Nella fattispecie oggetto di causa i lavoratori, licenziati dalla cooperativa C., erano stati assunti dalla O. srl, in esecuzione di un accordo sindacale concluso tra quest’ultima e le OO.SS., dopo che tale società era risultata aggiudicataria dell’unità locale M. appartenente alla cooperativa C. dichiarata fallita.
3. La Corte territoriale ha ritenuto che si fosse realizzato “non già un trasferimento d’azienda, ma piuttosto un passaggio di singoli beni, non idoneo di per sé a garantire l’esercizio dell’impresa” e che, comunque, la fattispecie oggetto di causa sarebbe stata sottratta alla disciplina di cui all’art. 2112 c.c. per effetto della deroga introdotta dall’art. 47, commi 5 e 6, L. 428 del 1990.
4. Per la cassazione della sentenza l’Inps ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, articolato in violazione di legge e vizio di motivazione, cui ha resistito con controricorso la A. s.r.l., incorporante della Ora s.r.l.. Equitalia Nord spa è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso l’Inps ha censurato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 8, commi 1 e 4, L. n. 223 del 1991 e degli artt. 2112 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; nonché per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
2. Risultano anzitutto infondate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla società contro ricorrente in relazione all’art. 366, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c.. Il ricorso dell’Inps, dopo aver riassunto l’iter argomentativo della sentenza d’appello, illustra a pag. 5 le circostanze di fatto pacifiche tra le parti, su cui poi costruisce, alla luce delle disposizioni normative e della giurisprudenza richiamata, le proprie argomentate censure.
3. Queste ultime, proprio perché articolate su circostanze di fatto come pacificamente ricostruite nella sentenza d’appello, denunciano il vizio di falsa applicazione di norme di diritto, in particolare dell’art. 8, L. n. 223 del 1991 e dell’art. 2112 c.c. in relazione alla nozione di impresa in senso oggettivo, e non sollecitano, come pretende parte ricorrente, un nuovo esame del merito.
4. Il ricorso dell’Inps è anche pertinente rispetto alla motivazione adottata dalla Corte territoriale. Quest’ultima ha respinto l’appello in base alla duplice argomentazione della non configurabilità, nella fattispecie esaminata, di un trasferimento di azienda e, comunque, dell’operare della deroga all’art. 2112 c.c. dettata dall’art. 47, L. n. 428 del 1990.
Entrambi tali profili sono censurati da parte dell’Istituto, attraverso sia la argomentata successione dell’attuale contro ricorrente alla società sottoposta a procedura concorsuale nella gestione della stessa azienda e sia quanto alla inoperatività della deroga di cui all’art. 47 citato.
5. Quanto al merito, occorre considerare che questa Corte, con la sentenza n. 10428 del 2017, ha deciso il ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova, n. 49 del 16.2.2010, intervenuta sulla medesima fattispecie oggetto di causa. Come precisato nella sentenza impugnata, la società O. s.r.l. aveva portato in detrazione nei modelli DM 10 le somme relative agli sgravi contributi e poi ne aveva chiesto la ripetizione. A fronte di ciò, erano state emesse due cartelle di pagamento per la medesima voce, oggetto di due distinti procedimenti di opposizione.
6. Questo collegio condivide e fa propria la motivazione adottata nella sentenza n. 10428 del 2017.
7. In base alle circostanze di fatto desumibili dalla sentenza impugnata, risulta: che i lavoratori assunti dalla società odierna contro ricorrente erano dipendenti della C., poi dichiarata fallita; che con decreto del 5.11.2001 il giudice delegato aveva trasferito alla società Q.F. s.r.l., poi O. s.r.l., aggiudicataria, l’unità locale dell’azienda fallita denominata M.; che con l’accordo sindacale del 6.11.2001 l’aggiudicataria si era obbligata ad assumere dal giorno 10.11.2001 tutti dipendenti indicati nell’elenco allegato all’accordo; che in data 9.11.2001 i lavoratori dipendenti C. erano stati licenziati e si erano iscritti nelle liste di mobilità e il giorno successivo, cioè il 10.11.2001, erano stati assunti dalla Q.F. s.r.l..
8. Questa Corte si è più volte pronunciata sulle disposizioni di cui all’art. 8, commi 4 e 4 bis, L. n. 223 del 1991, e ha chiarito che il legislatore ha individuato specifiche circostanze ostative (tempo di durata della mobilità, rapporti tra imprese consistenti in assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, o in rapporti di collegamento o controllo tra imprese) impeditive degli indicati benefici, perché ritenute capaci di concretizzare comportamenti elusivi e fraudolenti. Ha quindi precisato che il riconoscimento dei benefici contributivi in questione presuppone che venga accertato che la situazione di esubero del personale posto in mobilità sia effettivamente sussistente e che l’assunzione a tempo pieno ed indeterminato di detto personale da parte di una nuova impresa risponda a reali esigenze economiche e non concretizzi invece condotte elusive degli scopi legislativi, finalizzate al solo godimento degli incentivi, mediante fittizie e preordinate interruzioni dei rapporti lavorativi (in tal senso, Cass. n. 8800 del 2001; Cass. n. 2407 del 2004; Cass. n. 17071 del 2007; Cass. n. 18402 del 2016).
9. Si è poi precisato che i benefici in esame non possono essere riconosciuti ove tra due imprese sia intervenuto un trasferimento di azienda che, ai sensi dell’art. 2112 c.c., importa la continuazione dei rapporti di lavoro con l’acquirente: in tale ipotesi, non ha rilievo il disposto dell’art. 47, comma 5, della L. n. 428 del 1990, che, nell’escludere l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. in caso di trasferimento di azienda in crisi, disciplina la posizione contrattuale dei lavoratori nel passaggio alla nuova impresa, senza aver riguardo agli aspetti contributivi (Cass. n. 17838 del 2015; Cass. n. 26873 del 2011; Cass. n. 8069 del 2011). Tale esclusione discende dal fatto che la finalità delle agevolazioni è quella di favorire l’occupazione dei lavoratori effettivamente espulsi dal mercato del lavoro, laddove, a norma dell’art. 2112, primo comma, cod. civ., in caso di trasferimento di un’azienda (o di un suo ramo), il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il trasferimento non costituisce di per sé motivo di licenziamento; la sussistenza di un obbligo di assunzione da parte del cessionario, ostativo alla percezione dei benefici, viene dunque riferita al medesimo complesso produttivo che ha collocato i lavoratori in mobilità, senza che ne rilevi la diversa titolarità. Una formalizzazione di un negozio traslativo che rivesta i caratteri oggettivi della cessione d’azienda non può quindi comunque determinare elusione della normativa previdenziale, non disponibile dalle parti per effetto delle sue ripercussioni sulla finanza pubblica.
10. Ne consegue che ove l’azienda – intesa come complesso organizzato non solo di mezzi ma anche di lavoratori stabilmente addetti ad essa – abbia continuato o riprenda ad operare (non rilevando ne se titolare sia lo stesso imprenditore o altro subentrante né lo strumento negoziale attraverso cui si sia verificata la cessione totale o parziale di azienda), la prosecuzione o la riattivazione del rapporto di lavoro presso il nuovo datore di lavoro costituiscono non la manifestazione di una libera opzione del datore di lavoro, ma l’effetto di un preciso obbligo previsto dalla legge (art. 2112 c.c., come modificato dall’art. 47 L. n. 428 del 1990 e dal D.lg. n. 18 del 2001) il cui adempimento non giustifica l’attribuzione dei benefici contributivi in argomento non traducendosi in un reale incremento occupazionale; non assume rilievo, in contrario, l’eventuale raggiungimento di un accordo tra impresa e sindacati in ordine alle modalità attuative del trasferimento di azienda in quanto simile accordo può derogare agli effetti voluti dal citato art. 2112 c.c. soltanto nella particolare ipotesi prevista dal comma 5 dell’art. 47, L. n. 428 del 1990 cit. (Cass. n. 2407 del 2004).
11. In questa stessa ottica si è affermato che, ai fini di ottenere l’applicazione dei benefici contributivi, qualora sia stata accertata la presenza di significativi elementi di permanenza della preesistente struttura aziendale, quali lavoratori ed oggetto sociale, è onere dell’azienda dare dimostrazione degli elementi di novità intervenuti nella struttura (cfr. al riguardo Cass. n. 12589 del 1999 e Cass. n. 8800 del 2001) e, si aggiunge, delle significative integrazioni apportate al complesso originario per consentire al complesso ceduto di svolgere autonomamente la propria funzione produttiva (v. da ultimo sul tema Cass. n. 9682 del 2016).
12. Così ricostruita la fattispecie normativa, nell’interpretazione che pacificamente ne dà questa Corte, emerge evidente l’erroneità della sentenza, la quale, per un verso, ha dato rilievo ad elementi non significativi ai fini del riconoscimento del diritto agli sgravi, che richiede l’accertamento della obiettiva diversità della società subentrante rispetto alla cedente, e quindi l’effettiva creazione di nuovi posti di lavoro e, per altro verso, non ha giustificato in modo adeguato e coerente con le risultanze istruttorie le ragioni per le quali ha ritenuto che oggetto del decreto di trasferimento fossero solo alcuni beni specificamente individuati (insegna e contratto di locazione dei locali in cui si svolgeva l’attività) e non piuttosto l’intero complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’impresa.
13. Al riguardo deve rimarcarsi che:
a) la circostanza che il passaggio dei beni sia avvenuto nell’ambito di una procedura fallimentare è del tutto irrilevante, giacché irrilevanti sono le finalità perseguite dal cedente, siano esse quelle dell’incremento dell’attivo fallimentare o della continuazione dell’attività di impresa. Ciò che rileva è che il fallimento della società non determina di per sé il venir meno del bene giuridico «azienda» inteso come complesso di elementi materiali e giuridici organizzati al fine dell’esercizio dell’impresa, e dunque la possibilità di una sua cessione nell’ambito di un regolare contratto di vendita o affitto di azienda (Cass. n. 8621 del 2001);
b) è onere della parte che intende valersi degli sgravi fornire la prova dei presupposti per la sussistenza del beneficio, poiché il diritto può essere riconosciuto solo ove si accerti che in concreto sussista una diversità oggettiva tra le due imprese: la ritenuta mancanza di prova in ordine al «passaggio dei beni ulteriori rispetto all’insegna e al contratto di locazione dei locali dove si svolgeva l’attività di impresa» non può ridondare in danno dell’Istituto previdenziale, essendo piuttosto onere dell’impresa cessionaria dimostrare gli elementi di novità intervenuti nella struttura (così Cass. n. 8800 del 2001, cit., e Cass. n. 12589 del 1999, cit.), in presenza di significativi elementi di permanenza della preesistente struttura aziendale;
c) a tal riguardo, nell’indagine di fatto diretta ad accertare se, nella fattispecie concreta, vi sia stato trasferimento di un complesso aziendale o di singoli beni aziendali, non può non essere oggetto di valutazione il nomen iuris che le parti hanno dato all’atto di trasferimento, espressamente denominato come trasferimento di azienda per l’esercizio di attività di ristorazione, bar, servizio per mense aziendali, denominazione che si ritrova anche nell’accordo sindacale sottoscritto dalla stessa società, odierna contro ricorrente;
d) oggetto dell’accertamento della valutazione del giudice deve essere anche la natura delle attività svolte dalla parte cedente e della cessionaria e la sua eventuale identità, il numero dei lavoratori già alle dipendenze dell’impresa avente causa, e dunque l’effettiva necessità che l’assunzione a tempo pieno ed indeterminato del personale già dipendente della società dante causa risponda a reali esigenze economiche dell’impresa;
e) infine, oggetto di considerazione deve essere anche il fattore temporale, ossia la successione nel tempo degli eventi che precedono l’assunzione di lavoratori in mobilità (Cass., n. 15789 del 2008, cit.; Cass., n. 2443 del 2000).
14. Alla luce di queste considerazioni, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata con rinvio, affinché il nuovo giudice proceda ad una nuova valutazione della fattispecie, sulla base dei principi sopra enunciati. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
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