CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 maggio 2018, n. 13979
Licenziamento per giusta causa – Addebito di atti osceni in occasione di un meeting di lavoro – Erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito – Non sussiste – Ipotesi di decisione sulla base di prove non dedotte dalle parti, disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, valutazione secondo apprezzamento di prove invece legali – Ricorso inammissibile
Rilevato
che con sentenza in data 30 marzo 2016, la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello proposto da V.P. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto le domande di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli il 25 marzo 2011 dalla datrice M.P.I. s.p.a. (ora C.I. s.p.a. unipers.) e conseguenti reintegratoria e risarcitoria;
che avverso tale sentenza il lavoratore ricorreva per cassazione con unico motivo, cui la società resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;
Considerato
che il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 113, 115, 116 c.p.c., 5 I. 604/1966, per difetto di prova dell’addebito di atti osceni in danno della collega F.S. in occasione di un meeting di lavoro, alla base del licenziamento intimatogli per giusta causa, per inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla predetta, denunciante il fatto circa un mese dopo e costituitasi parte civile nel processo penale a suo carico: dichiarazioni pure prive di elementi sicuri di riscontro, per la loro natura essenzialmente de relato, elaborate dalla Corte territoriale con un ragionamento probatorio in via meramente congetturale (unico motivo);
che il collegio ritiene che il motivo sia inammissibile;
che non sussistenza la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., che si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia gravata secondo le regole dettate da quella norma; non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. 5 dicembre 2006, n. 19064; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107);
che neppure gli artt. 115 e 116 c.p.c. possono ritenersi violati per una erronea valutazione, come quella prospettata con il mezzo in esame, del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma rispettivamente solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000);
che la censura si risolve piuttosto in un’inammissibile contestazione dell’accertamento in fatto e della valutazione probatoria della Corte territoriale, pure sorretti da un ragionamento argomentativo corretto (per le ragioni esposte dal secondo capoverso di pg. 6 al primo di pg. 7 della sentenza), nella sottesa ma evidente sollecitazione di un riesame del merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), tanto più nei rigorosi limiti devolutivi prescritti dal novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis;
che essi sono ampiamente travalicati, nell’inconfigurabilità di un tale vizio, non avendo il ricorrente indicato il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”; fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (come appunto nel caso di specie, per la valutazione, ancorchè non condivisa, delle risultanze istruttorie): con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), neppure più essendo apprezzabile l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, salva la sua risultanza come apparente, perplessa o obiettivamente incomprensibile (come non si verifica nel caso di specie);
che pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna V.P. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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