CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 giugno 2018, n. 14572
Tributi – Accertamento – Omessa dichiarazione dei redditi – Omesso versamento IVA – Violazioni
Fatti di causa
La Società A. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, propose ricorso avverso l’avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle Entrate di Roma aveva rettificato la dichiarazione relativa all’anno di imposta 2004, procedendo al recupero di maggiori imposte a titolo IRES, IVA ed IRAP, oltre interessi.
La Commissione Tributaria Provinciale accolse il ricorso con decisione integralmente confermata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione Tributaria Regionale.
In particolare, il Giudice di appello -rilevato che l’avviso di accertamento era stato emesso dall’Agenzia delle Entrate, sul presupposto della contestata simulazione di un contratto di leasing (volto a dissimulare un sottostante contratto di compravendita)- riteneva, condividendo la motivazione della sentenza di primo grado, che la pretesa tributaria era infondata giacchè, anche a volere riconoscere come esistente la simulazione, le conseguenze non sarebbero state diverse dalla definizione del leasing ovvero dalla sottoscrizione di un contratto di compravendita sulla scorta di un preliminare sottoscritto dalle parti.
Avverso la sentenza l’ Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione, su tre motivi.
La Società resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si deduce insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. laddove la C.T.R. si era limitata a fondare la decisione su argomentazioni del tutto incongruenti rispetto all’esatto contenuto della ripresa a tassazione (ovvero la ripresa d’iva, perché indebitamente detratta, e delle imposte dirette per indeducibilità dei costi) effettuata in ragione dell’esistenza di un intento fraudolento sotteso alla stipulazione di un contratto di leasing finanziario. In particolare, secondo la prospettazione difensiva, l’Ufficio, a prescindere dalla qualificazione giuridica della prospettazione, aveva prospettato una serie di elementi presuntivi, non debitamente tenuti in conto dal Giudice di merito, dai quali aveva fatto derivare l’esistenza di un “gruppo informale” di Società e l’intento fraudolento perseguito interponendo, nell’operazione di cessione dell’immobile, un soggetto terzo (ovvero la società di locazione finanziaria L. s.p.a.).
2. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 comma 1 e 54 comma 2 d.p.r. 26.10.1972, dell’art. 109 de4I d.p.r. n. 917/1986 e degli artt. 5, comma 1 d.lgs. 446/1997 e 2425 c.c., nonché dei principi indicati nelle sentenze della Corte di Giustizia della Comunità europea 12.1.2006 (cause C-354/03, 355/03 e 484/03) e 6.7.2006 (cause C-439/04 e 440/04) e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3.
3. Le censure, esaminate congiuntamente siccome vertenti sulla stessa questione, sono infondate.
3.1. Va, subito, rilevato, con riguardo al primo motivo di ricorso, che non ricorre la dedotta insufficienza motivazionale della sentenza impugnata. La C.T.R., infatti, ha espressamente ed integralmente richiamato, condividendole, le argomentazioni svolte, in fatto e in diritto, dal Giudice di prime cure il quale, per come si evince dalla motivazione di quella sentenza (integralmente riportata in ricorso), ha tenuto nel debito conto tutti gli elementi su cui si era fondato l’accertamento dell’Ufficio ivi compresi quelli su cui viene appuntata l’insufficienza motivazionale (ovvero il collegamento tra A.B. S.r.l. ed A. S.r.l.; il trasferimento all’estero di A.B. S.r.l.; l’omessa dichiarazione dei redditi e l’omesso versamento dell’IVA sulle fatture emesse), per poi giungere alla conclusione per la quale, a prescindere dalla qualificazione giuridica dell’operazione, le fatture oggetto di contestazione (ovvero quelle emesse dalla Società finanziaria a favore della Società utilizzatrice l’immobile) non potevano, in mancanza di idonea prova, essere ritenute inesistenti. Ma, ancora di più, il primo Giudice (con accertamento in fatto ed argomentazione integralmente condivisi dalla C.T.R.), nel rilevare che l’avviso di accertamento, emesso ai sensi dell’art. 39 d.p.r. 600/1973, era stato motivato unicamente in relazione all’esistenza della presunta simulazione del contratto di leasing, ha, poi, comunque, argomentato che, anche qualora si fosse voluto ritenere che la motivazione dell’atto impositivo fosse costituita dalla supposta inesistenza del contratto di leasing in quanto posto in essere al sol scopo di frodare la legge, nessuna prova idonea era stata fornita all’uopo.
3.2. Ciò posto, non solo non si apprezza rispetto al decisum la decisività, nell’accezione rilevante di cui all’art.360 n.5 cod.proc.civ., dei fatti indicati nel motivo di ricorso, ma, ancor prima il mezzo si appalesa inammissibile alla luce del principio costantemente ribadito da questa Corte per cui «la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione» (cfr., tra le altre di recente, Cass. n.19547 del 04/08/2017 con la quale è stato ritenuto inammissibile il prospettato motivo di ricorso, evidenziando che i ricorrenti non avevano indicato alcun “fatto”, dedotto e non adeguatamente valutato nella sentenza impugnata, idoneo a giustificare una decisione diversa da quella assunta, limitandosi a denunciare in blocco la valutazione compiuta dai giudice e a proporne una diversa).
3.3. Fermo, pertanto, l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito in ordine alla mancata ricorrenza, nella specie, dell’ipotesi di fatture “inesistenti”, non merita accoglimento neppure il secondo motivo prospettante violazione di legge.
Nella specie, per come è pacifico, l’Ufficio -deducendo, sin dall’avviso di accertamento, la simulazione del contratto di locazione finanziaria intervenuto tra L. s.p.a. e l’odierna controricorrente (dissimulante un contratto di vendita tra quest’ultima e la A.C. s.r.l. entrambe facenti parti di un gruppo informale di società) stipulato, con intento fraudolento, a sol fine di consentire indebite detrazioni di Iva e di costi indeducibili- ha, nella sostanza, ritenuto “inesistenza” delle fatture di pagamento dei canoni del leasing, disconoscendone il costo e la detraibilità dell’IVA, ma non ha mai prospettato che la Società di locazione finanziaria fosse stata parte dell’accordo fraudolento né, tanto meno, che il contratto di locazione finanziario fosse fittizio. In tale contesto, in assenza di emissioni di fatture per operazioni soggettivamente o oggettivamente inesistenti, non sussistono, certamente, i presupposti per l’applicabilità, al caso in specie, dei principi dettati in tema di “frodi carosello” come invocati dalla ricorrente. E ciò anche a prescindere dall’ulteriore considerazione di erroneità della tesi in diritto prospettata (per cui il Giudice di appello avrebbe dovuto, d’ufficio, ritenere il contratto di locazione finanziaria, e le relative fatture, inopponibili all’Amministrazione finanziaria siccome operazione elusiva ex art.37 bis d.p.r. n.600/1973) laddove la causa petendi delle riprese a tassazione, come prospettata nell’avviso di accertamento, era, come sopra già esposto, altra.
4. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. laddove la C.T.R. aveva omesso di pronunciare su altri due rilievi portati dall’avviso di accertamento e la cui legittimità aveva formato oggetto di specifici motivi di appello.
4.1.La censura è fondata. Malgrado la proposizione in appello di specifici motivi concernenti l’omessa autofatturazione di operazioni imponibili (con riguardo alla caparre confirmatoria) ed il recupero dei canoni di locazione (riscossi dalla Prefettura di Latina) la C.T.R. ha omesso ogni pronuncia sul punto. Né può ritenersi, come prospettato in controricorso, idonea motivazione la mera condivisione, da parte del Giudice di appello, della motivazione della sentenza di primo grado. Mancando qualsiasi specificazione in ordine al contenuto della condivisione non si è, infatti, in grado di individuare il percorso logico giuridico seguito dal Giudice di merito per giungere a pronunciare il rigetto dei motivi di impugnazione.
5. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, rigettati il primo ed il secondo motivo di ricorso, in accoglimento del terzo, la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e va disposto il rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, affinchè proceda all’esame dei motivi di appello pretermessi e regoli le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
Rigettati il primo ed il secondo motivo di ricorso, in accoglimento del terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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