CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 giugno 2018, n. 16260
Invalidità dei contratti – Art. 2113 c.c – Risoluzione per inadempimento del datore di lavoro – Esodo volontario – Conseguimento della pensione di anzianità
Fatto
Con sentenza 28 aprile 2010, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da P.F. avverso la sentenza di primo grado, che gli aveva respinto l’opposizione al decreto, con il quale era stato ingiunto dallo stesso Tribunale il pagamento, in favore di C.A. s.r.l. a titolo restitutorio, della somma di € 42.000,00, oltre che le domande di accertamento di invalidità a norma dell’art. 2113 c.c. o, in gradato subordine, di rescissione per “pericolo derivante da stato di bisogno” o di risoluzione per inadempimento, dei contratti sottoscritti tra le parti il 28 luglio 2004 e il 27 maggio 2005.
A motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva la sussistenza di diritti indisponibili negli accordi suindicati (di agevolazione della società datrice all’esodo volontario, in vista del conseguimento della pensione di anzianità, del dipendente, che, ricevuta la predetta somma a titolo incentivante, aveva revocato le dimissioni cui si era obbligato), così negando l’invalidità dei due contratti denunciati. Ed essa escludeva anche i requisiti prescritti per la loro rescissione (in via alternativa per stato di pericolo o per lesione a causa di stato di bisogno) e per la risoluzione per inadempimento della società datrice, invece adempiente ai propri obblighi (di regolarizzazione contributiva con l’Inps e di corresponsione di somme al lavoratore), al contrario di quest’ultimo, inadempiente ai propri. Sicchè, la Corte capitolina negava la natura di obbligazione naturale della somma ricevuta da P.F., da restituire essendone venuta meno la ragione giustificativa.
Con atto notificato il 28 aprile (3 maggio) 2011 il lavoratore ricorreva per cassazione con sei motivi, cui resisteva C.A. s.r.l. con controricorso.
La causa, una prima volta fissata all’udienza dell’8 novembre 2016, era rinviata a nuovo ruolo per la necessità di acquisire il fascicolo d’ufficio della Corte d’appello, comprensivo dei verbali di udienza e quindi rifissata all’odierna udienza per la discussione, in vista della quale la controricorrente comunicava memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., in correlazione con gli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1371 c.c., per mancata considerazione, alla luce delle scrutinate clausole dell’accordo preliminare 28 luglio 2004 (immodificato nella forma dall’accordo 27 maggio 2005), del contesto negoziale e temporale, tale da coartarne la libera volontà di pensionamento, pure condizionata alla condizione di integrale sanatoria datoriale (non ancora compiuta) della posizione contributiva, integrante diritto indisponibile dalle parti.
2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1347 e 1448 c.c., in correlazione con gli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1371 c.c. e insufficiente motivazione, per erronea esclusione della rescindibilità del contratto, a fronte della documentazione fiscale delibata dalla Corte territoriale in sede di procedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado e della mancata ammissione delle istanze istruttorie formulate.
3. Con il terzo, il ricorrente deduce omessa e insufficiente motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1371 c.c. sul fatto decisivo dell’erroneamente ritenuta integrale copertura datoriale della posizione contributiva, sulla base di una non corretta applicazione atomistica dei criteri ermeneutici denunciati.
4. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e vizio di motivazione, per difetto di prova dell’effettiva presentazione delle dimissioni (e ancor meno della loro revoca) e giustificazione della dazione della somma corrisposta per benevolenza o ristoro del danno previdenziale ai sensi dell’art. 2116 c.c.; senza alcuna pronuncia sulla domanda di annullamento per metus, solo oggetto di un laconico passaggio argomentativo.
5. Con il quinto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 355 c.p.c. e vizio di motivazione, per la ritenuta irrilevanza della querela di falso sporta, finalizzata a fondare la prova dell’estorsione patita.
6. Con il sesto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 435 c.p.c., anche come error in procedendo, per difetto di regolare costituzione del collegio decidente nella persona del presidente e dei due consiglieri, non risultanti formalmente nominati, alla luce della pregressa nomina di relatore per la fase interinale di sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado.
7. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., in correlazione con gli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1371 c.c., per mancata considerazione, alla luce delle scrutinate clausole dell’accordo preliminare 28 luglio 2004, del contesto negoziale e temporale, tale da coartare la libera volontà di pensionamento del lavoratore, è inammissibile.
7.1. In tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può, infatti, investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891).
7.2. Nel caso di specie, il mezzo neppure contiene una specifica illustrazione della violazione dei canoni interpretativi, solo genericamente richiamati, quanto piuttosto una sostanziale sollecitazione alla revisione del merito, discendente dalla contrapposizione di una interpretazione dei fatti propria della parte a quella della Corte territoriale: a fronte dell’accertamento in fatto del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, qualora sorretto da congrua motivazione, esente da vizi logici né giuridici (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), come appunto nel caso di specie (per le condivisibili ragioni illustrate dall’ultimo capoverso di pg. 2 al terzo di pg. 4 della sentenza).
8. Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 1447 e 1448 c.c., in correlazione con gli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1371 c.c. e insufficiente motivazione, per erronea esclusione della rescindibilità del contratto, è pure inammissibile.
8.1. Esso confuta genericamente (persino in termini interrogativi) le argomentate ragioni (dal quart’ultimo capoverso di pg. 4 al quarto di pg. 5 della sentenza) della Corte territoriale, sicchè viola la prescrizione di specificità dell’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c. (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).
8.2. Né ricorre la violazione di legge denunciata, in difetto degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).
8.3. Infine, esso viola ancora la prescrizione di specificità dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., sotto il profilo di violazione del principio di autosufficienza, in assenza di trascrizione della documentazione fiscale genericamente richiamata (neppure di questa specificamente indicata la sede di produzione), né delle prove orali di cui è stata richiesta l’ammissione (Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 30 luglio 2010, n. 17915).
9. Il terzo motivo, relativo ad omessa e insufficiente motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1371 c.c. sul fatto decisivo dell’integrale copertura datoriale della posizione contributiva del lavoratore, è parimenti inammissibile.
9.1. Sul punto vi è un accertamento in fatto della Corte di merito (al quinto e sesto capoverso di p. 5 della sentenza) insindacabile in sede di legittimità, laddove, come nel caso di specie, la censura sia essenzialmente intesa ad una revisione del merito (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), sulla base di una generica prospettazione di violazione di canoni ermeneutici, già ritenuta inammissibile per le ragioni illustrate in riferimento allo scrutinio del primo motivo.
10. Il quarto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e vizio di motivazione, per difetto di prova dell’effettiva presentazione delle dimissioni e giustificazione della dazione della somma corrisposta per benevolenza o ristoro del danno previdenziale, è inammissibile.
10.1. Esso contiene una confutazione assolutamente generica, a fronte del corretto ed esauriente ragionamento argomentativo (dal settimo al penultimo capoverso di pg. 5 e dal secondo al quarto capoverso di pg. 6 della sentenza), con profili addirittura di novità, in relazione ad una asserita domanda di annullamento per metus, non trattandone la sentenza, né avendo il ricorrente indicato specificamente, né tanto meno trascritto gli atti nei quali egli l’avrebbe posta nei gradi di merito: con riflesso sulla genericità dei motivi, per inosservanza del principio di autosufficienza del ricorso (Cass. 17 ottobre 2013, n. 23675; 11 gennaio 2007, n. 324).
10.2. Né infine sussiste la violazione di legge denunciata, per mancanza dei suoi requisiti propri (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).
11. Il quinto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 355 c.p.c. e vizio di motivazione per la ritenuta irrilevanza della querela di falso sporta, finalizzata a fondare la prova dell’estorsione patita dal lavoratore, è ancora inammissibile.
11.1. Ed infatti, non è sindacabile in sede di legittimità la valutazione di rilevanza o meno compiuta dalla Corte d’appello dei documenti in ordine ai quali sia stata proposta querela di falso, ai sensi dell’art. 355 c.p.c., se congruamente motivata (Cass. 13 marzo 1980, n. 1683; Cass. 24 maggio 2017, n. 13001), come appunto nel caso di specie (per le ragioni esposte all’ultimo capoverso di pg. 5 e ai primi due di pg. 6 della sentenza).
12. Il sesto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 435 c.p.c., per difetto di regolare costituzione del collegio decidente nella persona del presidente e dei due consiglieri, non formalmente nominati, è infondato.
12.1. Occorre premettere che, anche nell’ipotesi di censura per error in procedendo, come nel caso presente per la deduzione di un vizio di attività, il quale legittima questa Corte, siccome giudice del fatto processuale all’esame diretto dell’atto (nel caso di specie: verbale di udienza 18 marzo 2010), il principio di autosufficienza del ricorso deve sempre essere osservato (Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077): ed è stato qui rispettato, per la sufficiente trascrizione e la individuazione del verbale di udienza suddetto (a pgg. 22 e 23 del ricorso), con la conseguente idoneità della richiesta (depositata come indicato sub 2 in calce al ricorso) alla cancelleria di trasmissione dei fascicoli d’ufficio (Cass. s.u. 3 novembre 2011, n. 22726; Cass. 10 gennaio 2016, n. 195).
12.2. Nel merito della questione, è noto che il principio di immutabilità del giudice stabilito dall’art. 276 c.p.c., secondo il quale alla decisione della causa possono partecipare solo i giudici che abbiano assistito alla discussione, non si estende alle udienze svolte in precedenza, di mero rinvio o, nel giudizio di appello, di decisione sull’istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza impugnata (Cass. 18 giugno 2010, n. 14781; Cass. 11 aprile 2001, n. 5443).
Sicché, entro questi limiti, l’eventuale mancanza di un formale decreto di nomina del presidente del tribunale che incarichi un giudice di presiedere il collegio che decide le cause di lavoro per una particolare udienza costituisce una semplice irregolarità formale, relativa ad un atto interno, non determinando alcun vizio della sentenza, neppure se il presidente del collegio eserciti il potere di designare se stesso quale relatore della causa ed estensore della sentenza (Cass. 12 maggio 2005, n. 9968). Ed è proprio ciò che si è verificato nel caso in esame: risultando con chiarezza, ancorché con correzioni ed integrazioni a penna (interlineato il Dr. G.F.M. come presidente, invece tale, per indicazione con freccia, il Dr. C.F.; inserito a penna il nominativo del Dr. D.S., invariata invece l’indicazione dattiloscritta del Dr. M.M.), dal diretto riscontro del verbale di udienza di discussione del 18 marzo 2010 l’identità di composizione del collegio decidente (come indicato nell’epigrafe della sentenza) con quello davanti al quale si è svolta la discussione finale. E tanto basta ad escludere la fondatezza del vizio denunciato.
13. Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso e la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna P.F. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
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