CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 settembre 2018, n. 22767
Tributi – Riscossione – Condono per imposte – Agevolazione anticipata – Mancato pagamento delle rate successiva alla prima
Rilevato che
Con sentenza in data 7 novembre 2016 la Commissione tributaria regionale del Molise respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 201/2/11 della Commissione tributaria provinciale di Campobasso che aveva accolto il ricorso di S.M. contro il diniego di condono per imposte erariali 1994. La CTR osservava in particolare che l’atto impugnato era illegittimo poiché basato esclusivamente sul mancato pagamento delle rate successiva alla prima, non essendo tale forma di decadenza desumibile dalla disciplina normativa relativa, salva la debenza degli importi impagati.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.
L’intimato non si è difeso.
Considerato che
Con il primo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’agenzia fiscale ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione dell’art. 12, legge 289/2002, poiché la CTR ha affermato l’irrilevanza ai fini della definizione agevolata prevista da tale disposizione legislativa del mancato pagamento delle rate successive alla prima e quindi statuito la correttezza della sentenza appellata di accoglimento del ricorso introduttivo della lite.
Con il secondo motivo la ricorrente declina la prima censura anche quale violazione/falsa applicazione dell’art. 14, disp. prel. cod. civ., poiché la CTR ha attuato un’interpretazione analogica delle disposizioni condonistiche contenute nella legge 289/2002 non consentita dalla speciale natura delle medesime.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono fondate.
Va ribadito che «La sanatoria prevista dall’art. 12 della L. n. 289 del 2000 costituisce una forma di condono clemenziale applicabile anche in materia di IRAP, sicché, essendo pienamente certo il “quantum” da versarsi per definire favorevolmente la lite fiscale, l’efficacia della sanatoria è condizionata al pagamento dell’intero importo dovuto e l’omesso o ritardato versamento delle rate successive alla prima escludono il verificarsi della definizione della lite pendente, restando irrilevante l’eventuale buona fede del contribuente, che non è idonea ad impedire la decadenza» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 21416 del 24/10/2016, Rv. 641578 – 01).
In ogni caso e più radicalmente, per quanto riguarda l’IVA ne va ribadita la non condonabilità, secondo il consolidati principio che «In tema di condono fiscale, l’art. 12 della legge n. 289 del 2002, nella parte in cui consente di definire una cartella esattoriale con il pagamento del 25% dell’importo iscritto a ruolo, comporta una rinuncia definitiva dell’Amministrazione alla riscossione di un credito già definitivamente accertato, e va pertanto disapplicato, limitatamente ai crediti per IVA, per contrasto con la VI direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, alla stregua di un’interpretazione adeguatrice imposta dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C- 132/06, con cui, in esito ad una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, è stata dichiarata l’incompatibilità con il diritto comunitario (in particolare con gli artt. 2 e 22 della VI direttiva cit.) degli artt. 8 e 9 della medesima legge, nella parte in cui prevedono la condonabilità dell’IVA alle condizioni ivi indicate» (Sez. U, Sentenza n. 3674 del 17/02/2010, Rv. 611635 – 01).
Ciò rilevato in diritto e pacifico in fatto che il contribuente non ha versato le rate successive alla prima, la sentenza impugnata è palesemente difforme dai principi di diritto espressi nei citati arresti giurisprudenziali, risultando di contro pienamente legittimo il provvedimento di diniego della definizione agevolata de quo.
Il ricorso va dunque accolto, la sentenza impugnata cassata e, decidendosi nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va respinto il ricorso introduttivo della lite.
Stante l’esito alterno delle fasi processuali, le spese dei gradi di merito possono essere compensate tra le parti, mentre quelle del giudizio di legittimità devono invece essere tassate secondo il generale principio della soccombenza.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della lite; compensa le spese dei gradi di merito; condanna il contribuente intimato a pagare le spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 2.300 oltre spese prenotate a debito.
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