CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 settembre 2018, n. 22665
Inps – Individuazione della corretta categoria di appartenenza dei datori di lavoro – Aliquota da applicare per gli assegni familiari – Rimborso dei maggiori contributi versati
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto dall’agenzia C.V. di C.P. e c. SAS in persona del legale rappresentante pro tempore avverso la sentenza che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti dell’Inps avente ad oggetto l’accertamento del suo diritto ad applicare l’aliquota contributiva ridotta prevista dall’articolo 20, n. 1) del decreto-legge 30/1974 per il periodo 1 aprile 2002 – 31 dicembre 2007, e di conseguenza ottenere la condanna dell’Inps alla restituzione delle somme indebitamente versate maggiorate dagli interessi.
A fondamento della decisione la Corte rilevava che l’art. 20 citato, che prevede l’aliquota del 5,15% per il contributo dovuto alla Cassa unica per gli assegni familiari dai commercianti iscritti negli elenchi nominativi per l’assicurazione di malattia di cui alla legge 27 novembre 1960 n. 1397, in un primo tempo interpretata dalla Corte di Cassazione nel senso che fosse applicabile anche agli agenti di assicurazioni, non potesse essere più intesa nello stesso senso dopo l’emanazione del decreto-legge 9 ottobre 1989 n. 338 convertito con modificazioni nella legge n. 389/1989 che all’articolo 2, comma 16 prevede che la norma in questione deve essere intesa nel senso che il beneficio previsto per i datori di lavoro iscritti negli elenchi nominativi degli esercenti attività commerciali di cui alla legge 1397/1960 non si applica agli agenti di assicurazione; e tale norma aveva superato il vaglio di costituzionalità come da sentenza della Corte Cost. n. 586 del 1990.
Pertanto, dalla stessa evoluzione legislativa doveva desumersi la correttezza del criterio interpretativo accolto dalla sentenza di primo grado, atteso che le indicazioni del legislatore prima e della Corte costituzionale poi, costituivano argomenti a sfavore della tesi dell’appellante deducendosi dalle stesse che il criterio interpretativo dovesse essere letterale e restrittivo competendo solo al legislatore l’estensione della sfera soggettiva dei destinatari dell’agevolazione, così come avvenuto nel 2008.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’agenzia C.V. di C.P. e C. S.a.S. con un unico motivo, al quale ha resistito l’Inps con controricorso.
Ragioni della decisione
1. – Con l’unico motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.l. 2 marzo 1974 n. 30 in quanto il giudice lo ha interpretato come se fosse da riferire ai soli datori di lavoro commercianti in senso stretto intermediari di beni, in tal modo escludendo la ricorrente dal novero dei soggetti di cui al n. 1 e per l’effetto considerando legittimo il rigetto dell’istanza di rimborso dei maggiori contributi versati; laddove, invece, sulla base di una più corretta interpretazione, la norma doveva essere intesa nel senso che tra i soggetti indicati nel n. 1 rientrassero tutti i datori di lavoro del settore terziario; dunque anche gli intermediari di servizi come la società ricorrente e che di conseguenza fosse fondata la domanda di rimborso dei maggiori contributi versati.
1.1. Il motivo è fondato.
L’art. 20 d.l. 30/1974 convertito con mod. in I. n. 114/1974 stabilisce l’aliquota contributiva dovuta alla Cassa unica assegni familiari dai datori di lavoro e prevede; “A decorrere dal periodo di paga in corso al 1° gennaio 1974, l’aliquota del contributo dovuto alla Cassa unica per gli assegni familiari dai datori di lavoro di cui alle tabelle A), B) e C) allegate al testo unico delle norme sugli assegni familiari, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797, è fissata nelle seguenti misure della retribuzione lorda calcolata ai sensi dell’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153:
1) 5,15 per cento a carico dei datori di lavoro artigiani e commercianti iscritti nei relativi elenchi nominativi per l’assicurazione di malattia di cui rispettivamente, alle leggi 29 dicembre 1956, n. 1533, e 27 novembre 1960, n. 1397, e successive modificazioni ed integrazioni;
2) 5,15 per cento a carico dei datori di lavoro titolari di imprese agricole, salvo quelli indicati nel successivo punto 3);
3) 3,50 per cento a carico dei datori di lavoro titolari di imprese agricole iscritti negli elenchi nominativi per la assicurazione di malattia dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni di cui alla legge 22 novembre 1954, n. 1136, e successive modificazioni e integrazioni. Tale aliquota si applica altresì alle cooperative agricole e loro consorzi iscritti nei registri prefettizi o nello schedario generale – sezione agricola – ai sensi del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, ivi compresi quelli che provvedono alla trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici dei propri soci. La stessa aliquota si applica inoltre alle imprese di pesca di cui all’articolo 11 della legge 14 luglio 1965, n. 963, munite del permesso della pesca costiera locale o ravvicinata di cui all’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n. 1639, nonché ai pescatori di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250;
4) 5 per cento per le rimanenti cooperative e loro consorzi, qualunque sia l’attività esercitata, allorché le stesse risultino iscritte nei registri prefettizi o nello schedario generale delle cooperative ai sensi del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modifiche ed integrazioni;
5) 7,50 per cento a carico di tutti gli altri datori di lavoro.
Per i datori di lavoro titolari di aziende industriali ed artigiane tessili, fino alla scadenza prevista dall’art. 20, primo comma, della legge 1° dicembre 1971, n. 1101, l’aliquota del contributo è fissata nella misura del 4,85 per cento…”
2. Ciò posto, deve essere disattesa anzitutto l’obiezione dell’INPS secondo cui nel caso in esame non si potrebbe far luogo all’applicazione della previsione in oggetto in considerazione del fatto che il datore di lavoro, società, non sia iscritto alla gestione commercianti, mentre ai fini della riduzione dell’onere per cui è causa a nulla rileverebbe che uno dei soci della società, per il lavoro dallo stesso svolto all’interno della società medesima e non quale datore di lavoro, sia iscritto alla predetta gestione dei lavoratori autonomi.
2.1. In realtà allo scopo di individuare la corretta categoria di appartenenza dei “datori di lavoro”, da riferire all’aliquota da applicare per gli assegni familiari, per quanto riguarda le società di persone, la previsione di cui all’art. 20 d.l. 30/1974 cit. deve essere pur sempre correlata con le norme che, via via, hanno previsto prima l’iscrizione nei predetti elenchi nominativi ai fini dell’assicurazione di malattia ed in seguito l’iscrizione alla gestione commercianti ai fini dell’i.v.s. (ai sensi della l. 1397/1960, della I. 613/1966, I. 160/1075, l. 662/1996). Per quanto attiene ai soci delle stesse società, l’art. 3 della I. 28 febbraio 1986 n. 45, tuttora vigente, prevede: “Le disposizioni sull’iscrizione all’assicurazione contro le malattie contenute nell’articolo 1 della legge 27 novembre 1960, n. 1397, come sostituito dall’articolo 29 della legge 3 giugno 1975, n. 160, si applicano anche ai soci di società in nome collettivo o in accomandita semplice le quali esercitino le attività previste da tale articolo nel rispetto delle norme ad esse relative e gestiscano imprese organizzate prevalentemente con il lavoro dei soci e degli eventuali familiari coadiutori di cui all’articolo 2 della legge 22 luglio 1966, n. 613. I soci devono possedere i requisiti di cui alle lettere b) e c) del primo comma del citato articolo 1 della legge 27 novembre 1960, n. 1397, e per essi non sono richiesti l’iscrizione al registro di cui alla legge 11 giugno 1971, n. 426, e il possesso delle autorizzazioni o licenze che siano prescritte per l’esercizio dell’attività”.
Pertanto, in base alla legge, qualora sussistono i requisiti di cui al citato lett. b) e c) dell’art. 1 della legge 27 novembre 1960, n. 1397 (ovvero rispettivamente i soci abbiano la piena responsabilità della azienda ed assumano tutti gli oneri e i rischi inerenti alla sua direzione e alla sua gestione; e partecipino personalmente e materialmente al lavoro aziendale con carattere di continuità), i soci di una società in accomandita semplice devono essere iscritti alla gestione commercianti (Cass. 3835/2016). Ne discende che alle stesse società cui appartengono i soci predetti devono essere riferite le norme relative all’aliquota dei contributi dovuti in qualità di datori di lavoro alla Cassa unica per gli assegni familiari. E d’altra parte, qui si discute proprio in quali delle due categorie di “datori di lavoro” tali società devono essere ricomprese ovvero di stabilire se esse rientrino nel n. 1 o nel n. 5 dell’art. 20 ai fini dell’aliquota in discorso.
2.2. Non appare invece coerente sul piano normativo quanto afferma l’INPS: ovvero sostenere, in presenza dei relativi presupposti, l’iscrivibilità dei predetti soci di società di persone alla gestione commercianti in relazione al pagamento dei contributi; e poi negare rilevanza alla medesima iscrizione ai fini dell’aliquota dei contributi dovuti dalla società alla Cassa assegni familiari in qualità di datori di lavoro, e ciò proprio in conseguenza dell’esercizio di quegli stessi poteri che connota la conduzione dell’attività commerciale e la gestione dell’impresa e da cui deriva la loro iscrizione nella medesima gestione commercianti.
3. – Per quanto concerne poi l’individuazione della categoria dei “datori di lavoro commercianti iscritti nei relativi elenchi” vale l’interpretazione consolidata fornita da questa Corte di Cassazione (cfr. la sentenza n. 5732/1990) ed in base alla quale è sempre stato affermato che essa si riferiva a tutti gli iscritti nei predetti elenchi, tanto agli intermediari di beni quanto agli intermediari di servizi; tant’è che vi ricomprendeva anche gli agenti di assicurazione, atteso che, in virtù dell’art. 1 I. n. 1088/71, essi sono stati inclusi tra gli ausiliari del commercio e perciò iscritti nei suddetti elenchi nominativi (v. sentenze nn. 813/88, 3627/87, 1266/84). In particolare, è stato rilevato che l’espressione “datori di lavoro commercianti” di cui al n. 1 non può riferirsi ai soli soggetti che “professionalmente acquistano merci a nome e per conto proprio e le rivendono” secondo la definizione di commerciante contenuta nell’art. 1 della legge 11 giugno 1971 n. 426; e che, in mancanza di un esplicito rinvio alla legge del 1971, l’espressione deve essere interpretata con riferimento alla normativa richiamata dalla disposizione in esame e, cioè, il testo unico delle norme sugli assegni familiari e la legge n. 1397 del 1960 sulla assicurazione obbligatoria contro le malattie per gli esercenti attività commerciali; che, letta nel contesto della legislazione previdenziale sopra richiamata, l’espressione “datori di lavoro commercianti iscritti negli elenchi nominativi”, contenuta nell’art. 20 del D.L. n. 30 del 1974, è riferibile anche ai datori di lavoro, senza distinzione, qualificati ausiliari del commercio dalle leggi n. 1397 del 1960 e n. 1088 del 1971 e quindi anche agli agenti di commercio.
In conclusione secondo tale consolidata interpretazione, tuttora valida, il termine “commercianti” che compare nel citato d.l. 30/1974 rappresentava una formula abbreviata rispetto alla definizione integrale contenuta nella legge 27 novembre 1960, n. 1397 la quale si riferisce agli “esercenti piccole imprese commerciali e turistiche nonché ausiliari del commercio iscritti negli elenchi…”.
4. Né in contrario alla predetta conclusione rileva la previsione di cui alla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 2 del d.l. 9 ottobre 1989 n. 338 convertito con modificazioni nella legge n. 389/1989 il quale prevede che la norma in oggetto deve essere intesa nel senso che il beneficio previsto per i datori di lavoro iscritti negli elenchi nominativi degli esercenti attività commerciali di cui alla legge 1397/1960 non si applica agli agenti di assicurazione. Tale disposto, in conformità alla sua ratio ed alla sua natura di norma d’interpretazione autentica, appare di stretta interpretazione. Esso va quindi inteso, secondo il suo stesso tenore letterale, come riferito agli agenti di assicurazione; anche perché se il legislatore avesse voluto estendere tale disposto interpretativo a tutti gli ausiliari del commercio iscritti negli elenchi in questione lo avrebbe detto esplicitamente e non si sarebbe riferito soltanto agli agenti di assicurazione.
Tanto risulta anche in virtù delle peculiarità che contraddistinguono quest’ultima categoria di iscritti, in base a quanto si desume dalla stessa sentenza della Corte Cost. n. 586/1990 che ha riconosciuto la legittimità costituzionale della norma; ed inoltre in base al fatto che l’art. 20 del d.l. 30/1974 cit. rinvii all’articolo 33 del testo unico delle norme sugli assegni familiari approvato con d.p.r. 30 maggio 1955, n. 797 il quale alla tabella A) prevede le “aziende esercenti attività di natura commerciale” (tra le quali rientrano le aziende di servizi); laddove invece gli agenti di assicurazione rientrano nella diversa tabella B) relativa alle “aziende di esercenti attività di assicurazione”.
5. – Proprio per le stesse peculiarità deve ritenersi quindi che il legislatore sia intervenuto con una legge di interpretazione autentica al fine di sgomberare il campo dai dubbi creatisi in relazione alla specifica categoria degli agenti di assicurazione.
Mentre risulta contrario ai principi ritenere che un intervento normativo concepito per risolvere un caso specifico, che presenta caratteristiche peculiari, sia tale da estendersi a tutti gli altri differenti casi e possa essere utilizzato come criterio interpretativo di una norma generale. L’intervento legislativo non è stato infatti diretto a smentire l’interpretazione giurisprudenziale adottata con valenza di carattere generale e neppure la stessa prassi applicativa osservata dall’INPS: non essendo neppure contestato che, anche dopo l’entrata in vigore della legge interpretativa n. 389/1989, l’Istituto ha pur sempre ritenuto che l’agenzia C.V., come tutti gli altri non commercianti iscritti all’ivs, avessero diritto all’aliquota di cui si discute.
6. Sulla scorta delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata si rivela quindi erronea nell’interpretazione della normativa citata – alla quale ha attribuito una portata che essa non ha – e deve essere cassata.
La causa deve essere rimessa al giudice di rinvio indicato in dispositivo il quale, nella decisione della stessa, si atterrà al principio sopra formulato circa la riferibilità dell’art. 20 n. 1 del d.l. 2 marzo 1974 n. 30, in materia di aliquota contributiva dovuta dai datori di lavoro commercianti alla Cassa unica assegni familiari, anche agli intermediari di servizi; e provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.
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