CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 dicembre 2019, n. 32699
Licenziamento – Diritto alla qualifica superiore – C.c.n.l. settore Turismo alberghi – Capo ricevimento – Mansioni in concreto svolte
Rilevato che
1. Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto respingeva la domanda tesa al riconoscimento del diritto alla qualifica superiore ed al compenso per lavoro straordinario, nonchè l’impugnativa di licenziamento, in quanto non tempestiva, proposte da N.A.T. e condannava il datore di lavoro, S.D.P., al pagamento della somma di € 6826,05 a titolo di differenze retributive per il maggior orario di lavoro espletato rispetto a quello indicato nelle buste paga, a titolo di 13.a e 14.a mensilità, indennità sostitutiva di ferie e T.F.R.;
2. la Corte d’appello di Messina, in parziale riforma della decisione di primo grado, condannava il D.P., quale titolare della ditta Hotel G.V., a corrispondere al T. la complessiva somma di € 24.652,08, determinata al lordo delle ritenute erariali e previdenziali, sul presupposto che la qualifica da riconoscere era quella di Capo ricevimento, corrispondente al secondo livello della declaratoria contrattuale, atteso che le deposizioni più convincenti erano risultate quelle rese dai testi F.M. e P.G. e che a supporto di tale prova vi era stata la dichiarazione di credenziali rilasciata proprio dal titolare dell’azienda, nella quale era specificato che le mansioni attribuite erano state quelle di capo ricevimento;
3. per il resto, riteneva corretto l’orario di lavoro al quale ragguagliare le retribuzioni accertato dal primo giudice e conforme a quanto dichiarato dai testi; la doglianza relativa al mancato riconoscimento della illegittimità del licenziamento era respinta in ragione della mancata impugnativa del recesso nel termine di cui all’art. 6 I. 604/66;
4. di tale decisione domanda la cassazione il D.P., affidando l’impugnazione ad unico motivo; il T. è rimasto intimato.
Considerato che
1. si denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 2095, 2103, 1362 e ss. 2070, 2077, e 2375 c.c., nonché degli artt. 45, 178 e 49 c.c.n.l. settore Turismo – alberghi del 22.1.1999, motivazione radicalmente erronea ed illogica e quindi sostanzialmente omessa o “apparente”, ex art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., sostenendosi che la conduzione del procedimento logico giuridico volto all’accertamento delle attività in concreto svolte, all’individuazione delle qualifiche e dei livelli previsti dal c.c.n.l. ed al raffronto tra il risultato della prima indagine e le declaratorie contrattuali debba ritenersi viziata, per essere stato il riconoscimento della qualifica superiore fondato su considerazioni che avevano omesso ogni raffronto comparativo tra l’attività lavorativa concretamente accertata e le declaratorie contrattuali;
2. si assume che l’omessa individuazione della norma contrattuale applicabile impedisca ogni controllo sull’esattezza dell’inquadramento nel secondo livello contrattuale, che, ai sensi dell’art. 45 e dell’art. 178 CCNL di settore, è applicabile ai lavoratori che “svolgono mansioni che comportano sia iniziativa che autonomia operativa nell’ambito ed in applicazione delle direttive generali ricevute, con funzioni di coordinamento e controllo o ispettive di impianti, reparti o uffici, per le quali è richiesta una particolare competenza professionale”, ciò che non era dato rilevare dal contenuto della sentenza;
3. peraltro, alcuni dei criteri distintivi dell’attività svolta dal T. rilevati non erano propri esclusivamente della declaratoria ritenuta applicabile, essendo l’autonomia nell’ambito delle norme richiamate comune ad altri livelli, senza considerare che l’attività di addetto al ricevimento era svolta saltuariamente (“e anche di addetto al ricevimento, quando necessario”), laddove era necessaria una valutazione di prevalenza interamente omessa;
4. neanche la lettera di credenziali sottoscritta dal D.P. poteva, secondo il ricorrente, considerasi idonea a fondare l’attribuzione della qualifica rivendicata, sia perché relativa solo alle mansioni di capo ricevimento, sia perché non era pacifica la corrispondenza della espressione impropriamente utilizzata dal datore con quella contenuta nella declaratoria contrattuale, ed anzi tale corrispondenza doveva escludersi anche sulla base delle dichiarazioni rese dai testi, che si erano riferiti solo all’accoglienza dei clienti, al prelevamento ed accompagnamento degli stessi in camera, ciò che non era sufficiente a dimostrare che il T. avesse autonomia decisionale; in particolare, era emerso che per i problemi più complessi ogni decisione, secondo quanto riferito dai testi escussi, era demandata al titolare dell’azienda;
5. non era stata compiuta, sempre a dire del ricorrente, la valutazione di prevalenza delle mansioni qualificanti la categoria di inquadramento richiesta, tanto più necessaria essendo il lavoratore adibito a più mansioni e, peraltro, il rilascio delle credenziali era relativo ad un periodo in cui lo stesso datore in modo contraddittorio aveva adibito il lavoratore al quinto livello funzionale ed il documento era funzionale a rendere più agevole la collocazione del predetto presso altri datori di lavoro; lo stesso integrava una confessione stragiudiziale fatta ad un terzo, come tale priva del valore di prova legale, a differenza di quella fatta alla parte, con possibilità dunque di essere apprezzata liberamente in concorso con altri elementi, che nella specie erano insussistenti essendo le dichiarazioni dei testi richiamate in sentenza riferite all’anno 2002, in cui il T. era pacificamente alle dipendenze di altra struttura recettiva;
6. il ricorso è fondato, posto che è correttamente evidenziato come la sentenza sia errata in diritto laddove la Corte del merito ha omesso ogni riferimento alle declaratorie contrattuali ed ha fondato la decisione sulle prove che avevano condotto all’individuazione del ruolo di capo ricevimento assegnato al T., peraltro svolto occasionalmente (pag. 3 della sentenza: “svolgeva in autonomia i lavori di manutenzione ed anche di addetto al ricevimento, quando necessario”), la qual cosa contrasta con i principi che devono governare il giudizio di corrispondenza delle mansioni accertate come svolte con le declaratorie contrattuali del diverso inquadramento rivendicato;
7. al fine di stabilire il diritto del lavoratore ad ottenere la attribuzione della qualifica superiore ex art. 2103 cod. civ., qualora lo stesso, oltre a mansioni proprie della categoria di appartenenza svolga anche altre mansioni definite dalla contrattazione collettiva come proprie della categoria superiore rivendicata, il giudice del merito deve attenersi al criterio della prevalenza e quindi deve aver riguardo al contenuto della mansione primaria e caratterizzante la posizione di lavoro;
8. tale valutazione non è censurabile in sede di legittimità se non per vizi di motivazione o per violazione dei principi e delle norme che disciplinano i criteri generali ed astratti in tema di inquadramento dei lavoratori nella qualifica corrispondente alle mansioni svolte;
9. pacifici i principi circa il procedimento di indagine tendente alla corretta individuazione dell’inquadramento in relazione alle mansioni in concreto svolte, principi nella specie per quanto detto disattesi (cfr., tra le tante, Cass. 27.9.2016 n. 18943, Cass. 28.4.2015 n. 8589, Cass. 27.9.2010 n. 20272, Cass. 30.10.2008 n. 26234), deve anche richiamarsi l’ulteriore orientamento espresso da questa Corte secondo cui: “Quando la disciplina collettiva, in caso di svolgimento da parte del lavoratore di mansioni di diverse categorie, prevede l’attribuzione della categoria corrispondente alla mansione superiore, sempreché essa abbia carattere di prevalenza o almeno di equivalenza di tempo, il giudice deve compiere una rigorosa e penetrante indagine quanto alla continuità, alla rilevanza e all’impegno temporale giornaliero delle mansioni, delle diverse categorie, espletate dal lavoratore. Nel caso in cui sia assolutamente impossibile comparare le rispettive mansioni secondo il criterio dettato dal contratto collettivo, si deve fare ricorso ai criteri validi per l’ipotesi di assenza di una disciplina collettiva in materia. In tal caso, se il lavoratore svolge nella sua interezza la mansione, il cui espletamento è attributivo della categoria superiore, spetta tale categoria (senza che il contemporaneo esercizio della funzione inferiore, qualunque ne sia la quantità, abbia alcun rilievo ostativo);
se, invece, detto criterio non soccorre, assume, se possibile, carattere assorbente quello della quantità delle energie lavorative profuse nelle singole mansioni del lavoratore, nel senso che deve ritenersi caratterizzante una mansione che – anche se esercitata con scarsa frequenza e continuatività – richieda un alto grado di specializzazione e rilevante profusione di impegno intellettivo e materiale; gradatamente può costituire, anche da sola, fattore di normalità la frequenza nell’espletamento di determinate funzioni, ai fini dell’inquadramento nella relativa categoria; in ultima analisi operano il criterio della comparazione qualitativa e quantitativa oraria, con prevalenza della seconda, se concorrente con la prima” (cfr. Cass. 13.9.2000 n. 12125, conf. Cass. 7.4.2004 n. 6843);
10. la Corte ha compiuto l’accertamento in questione senza uniformarsi ai criteri indicati e tanto è sufficiente per concludere che la sentenza merita le censure prospettate;
11. il ricorso va pertanto accolto e la sentenza deve essere cassata nei termini precisati, con rinvio alla Corte di appello indicata in dispositivo, che provvederà a nuovo esame in conformità ai principi richiamati, oltre che alla determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Catania, cui demanda di provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
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