CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 ottobre 2018, n. 25532
Licenziamento – Procedura di riduzione di personale – Violazione dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto – Quantificazione del risarcimento del danno
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che, accertata I’illegittimità del licenziamento intimato in data 29 ottobre 2010 dalla I. s.p.a. a M.G., ne aveva ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro condannando la società al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 e ss. mm.
2. Il giudice di appello, per quanto ancora interessa, ha rammentato che le parti avevano convenuto che il rapporto di lavoro con la società I. – la cui funzionalità era stata sospesa ad ogni effetto legale e contrattuale per la durata del rapporto con il Consorzio C. prima e col Consorzio Torre – sarebbe stato ripristinato, successivamente alla risoluzione di quello con il Consorzio, sempre che la stessa non fosse imputabile al lavoratore, perché dimessosi o licenziato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Ha poi evidenziato che il Consorzio Torre, in data 30 giugno 2010, nell’ambito della procedura di riduzione di personale avviata il 6 maggio 2010, lo aveva licenziato e che la I. s.p.a., chiamata a ricostituire il rapporto in adempimento dell’obbligo convenzionalmente assunto, in data 29 ottobre 2010 ne aveva disposto la riammissione in servizio a far data dal successivo 31 ottobre e, contestualmente, dalla stessa data, lo aveva licenziato per giustificato motivo oggettivo, disponendo il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.
2.1. Tanto premesso la Corte di merito ha accertato che la società I. era rimasta inadempiente all’obbligo, convenzionalmente assunto, di ripristinare il rapporto di lavoro con il G. successivamente alla cessazione di quello intercorso con il Consorzio Torre. Il giudice di secondo grado, in tal modo confermando la decisione del Tribunale, ha evidenziato che al ripristino del rapporto di lavoro era seguita, contestualmente, la sua cessazione ed in tal modo era stata annullata in radice la reale efficacia della ricostituzione e ne era derivata l’illegittimità del licenziamento. In particolare il giudice di appello ha ritenuto che la condotta tenuta dalla datrice di lavoro fosse in contrasto con i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto. Osservava che l’interpretazione dell’accordo intercorso tra le parti suggerita dalla società finiva per rendere lo stesso privo di significato. Conseguentemente ha ritenuto che solo dopo un suo effettivo ripristino, e per effetto di fatti insorti successivamente, si sarebbe potuto ravvisare un genuino giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
2.2. Quanto alla misura della retribuzione da prendere a parametro per la quantificazione del risarcimento del danno, la Corte di merito ha ritenuto che, stante il mancato ripristino del rapporto con la I. s.p.a., l’ultima retribuzione percepita dal lavoratore era quella corrispostagli dal Consorzio Torre. Ha poi ritenuto illegittima la clausola che prevedeva che il rapporto con la società sarebbe ripreso alle condizioni esistenti all’atto della sua sospensione (rapporto sospeso nel 2002 e in ipotesi ripreso nel 2010), perché in contrasto con le disposizioni imperative poste a garanzia della intangibilità della retribuzione acquisita.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre la S. I. s.p.a. (già I. s.p.a.) con tre motivi. Resiste Matteo G. con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e degli artt. 1218 e 2118 cod. civ. e dell’art. 18 della legge n. 300 del 20 maggio 1970.
4.1. Sostiene la ricorrente che la sentenza sarebbe viziata nella parte in cui dopo aver ravvisato l’inadempimento della S. I. s.p.a. all’obbligo di ripristinare il rapporto di lavoro, ha poi accordato la tutela dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Osserva infatti che una volta escluso il ripristino del rapporto non sarebbe configurabile un licenziamento ma piuttosto un inadempimento all’obbligo convenzionalmente assunto cui consegue, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., il solo risarcimento del danno.
5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 41 Cost., dell’ art. 3 della legge n. 604 del 15 luglio 1966 e dell’art. 1775 cod. civ. oltre che I’ omesso esame di un fatto decisivo della controversia.
5.1. Ad avviso della società ricorrente , quand’anche si dovesse ritenere che il rapporto si sia ricostituito e sia contestualmente cessato per effetto di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la Corte di merito avrebbe dovuto dare ingresso alla prova, ritualmente articolata, con riguardo alla impossibilità per la società di impiegare altrimenti il lavoratore ed esaminare la documentazione prodotta dalla quale emergeva che la società si era attivata anche presso le sue consociate per trovare una diversa collocazione al G..
6. Con il terzo motivo di ricorso viene censurata la sentenza per avere violato gli artt. 2099 e 1372 cod. civ. e l’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300.
6.1. Secondo la società ricorrente, poiché ai sensi dell’ art. 1372 cod. civ. il contratto concluso tra il lavoratore ed il Consorzio non produce effetti nei confronti di terzi, erroneamente la Corte territoriale ha utilizzato quale parametro per la liquidazione del risarcimento del danno la retribuzione convenuta tra il G. ed il Consorzio Torre. Sostiene la I. S. s.p.a. che in giudizio non si è mai neppure discusso dell’esistenza di un unico centro di imputazione di interessi, coinvolgente la I. ed i Consorzi e sottolinea che, solo in presenza di un accertato collegamento negoziale, si sarebbe potuto fare riferimento alla retribuzione erogata dal Consorzio per liquidare il risarcimento ai sensi dell’art. 18 dello Statuto. In mancanza di una tale allegazione e tenuto conto della documentazione prodotta in giudizio, invece, la retribuzione da prendere a riferimento era semmai quella erogata dalla I. prima della sospensione concordata del rapporto di lavoro.
7. I primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei termini di seguito esposti.
7.1. Osserva il Collegio che la sentenza della Corte territoriale muove dal presupposto che la società I. (oggi I. S. s.p.a.) sia rimasta inadempiente all’obbligo, convenzionalmente assunto con il lavoratore all’atto della sospensione concordata del rapporto di lavoro per consentire a quest’ultimo di prestare la propria attività presso un terzo, di procedere al ripristino del rapporto stesso al momento in cui fosse cessato il diverso rapporto di lavoro. Ritiene infatti che la contestualità tra ripristino del rapporto e licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo (sia il telegramma di ripristino del rapporto che la comunicazione del licenziamento sono stati inviati il 29 ottobre 2010 per avere efficacia entrambi dal 31 ottobre successivo) farebbe venir meno la reale efficacia del primo e renderebbe illegittimo il secondo. Alla violazione dell’obbligo di riassunzione, poi, la sentenza fa conseguire l’applicazione della tutela reale prevista dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
7.2. Ritiene il Collegio che la ricostruzione della Corte di appello sia inficiata da una insanabile contraddittorietà. Delle due l’una. Se si ritiene che il rapporto di lavoro tra la I. s.p.a. e il G. – concordemente sospeso tra le parti per consentire al lavoratore di prestare la sua attività presso terzi – sia automaticamente rivissuto alla cessazione del rapporto presso il Consorzio, per causa non imputabile al lavoratore, e dunque questo, per effetto del venir meno della condizione sospensiva concordata, sia proseguito con l’originaria datrice di lavoro, allora si può ritenere che il datore di lavoro ben potesse intimare già al momento in cui si è verificata la condizione un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, salvo l’obbligo di provare l’impossibilità di collocare altrimenti il lavoratore in posizioni utili esistenti in azienda. Ove si accerti l’illegittimità di quel recesso troverebbe applicazione l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, nel testo antecedente le modifiche apportate dalla legge 28 giugno 2012 n. 92 atteso che il licenziamento è stato intimato quando questa legge ancora non era entrata in vigore. Diverso il caso in cui si configuri nella condotta datoriale, complessivamente valutata (riassunzione e contestuale recesso) un inadempimento all’obbligo convenzionalmente assunto di riassumere il lavoratore. Tale qualificazione presuppone che per il ripristino del rapporto di lavoro richieda con l’originaria datrice sia necessario che quest’ultima si attivi, con un comportamento positivo, dando esecuzione all’obbligazione assunta nei confronti del lavoratore all’atto della sospensione. In tal caso l’inadempimento trova rimedio comune in quanto disposto dall’art. 1218 cod. civ. e non si applica l’art. 18 dello Statuto. La mancata ricostituzione del rapporto di lavoro non consente di configurare la condotta tenuta come un licenziamento.
7.3. La Corte di merito, sovrapponendo i piani distinti entro i quali può essere inquadrata la fattispecie, ha accertato un inadempimento all’obbligo di riassumere il lavoratore applicando, contraddittoriamente l’art. 18 dello Statuto, incorrendo, così, nella denunciata violazione di legge. Ed ulteriormente ha errato poi nel ritenere che non fosse necessario indagare sull’avvenuto rispetto dell’obbligo di repechage. Se si qualifica come inadempimento all’obbligo di riassunzione la condotta tenuta allora non c’è spazio per applicare l’art. 18 citato. Se invece si qualifica come licenziamento per giustificato motivo oggettivo il recesso, allora per accertarne la illegittimità occorre verificare che non ne sussistevano i presupposti. Conseguentemente la Corte avrebbe dovuto accertare sia l’insussistenza delle ragioni poste a fondamento del licenziamento che la mancanza di altre posizioni lavorative disponibili in cui ricollocare il dipendente.
Come è noto, infatti, “ai fini del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’art. 3 della l. n. 604 del 1966 richiede: a) la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso; b) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali – insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati – diretti ad incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività; c) l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore. L’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili” (cfr. Cass. 20/10/2017 n. 24882, 13/06/2016 n. 12101, 22/03/2016 n. 5592).
8. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, devono essere accolti il primo ed il secondo motivo di ricorso mentre resta assorbito l’esame del terzo motivo che attiene al parametro retributivo da adottare per liquidare il risarcimento ai sensi dell’art. 18 dello Statuto. Per l’effetto la sentenza deve essere cassata e la causa rinviata alla Corte di appello di Milano che, in diversa composizione, in esito ad un nuovo esame dell’accordo intercorso tra le parti e delle successive comunicazioni, verificherà se sia configurabile un inadempimento all’obbligo di ricostituire il rapporto di lavoro ovvero se, nella costanza di un rapporto di lavoro temporaneamente sospeso e quindi proseguito, sia stato intimato un licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, in caso affermativo, se vi sia stata o meno una violazione dell’obbligo di repechage. Alla Corte del rinvio è poi rimessa la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbito l’esame del terzo motivo. Cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 marzo 2021, n. 6497 - Il lavoratore divenuto inabile alle mansioni specifiche possa essere assegnato anche a mansioni equivalenti o inferiori, che nell'inciso "ove possibile" si contempera "il conflitto tra diritto…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 maggio 2022, n. 14961 - Qualora il contratto collettivo non abbia un predeterminato termine di efficacia, non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 13492 depositata il 17 maggio 2023 - Nel procedimento disciplinare, sebbene l’art. 7 della legge n. 300 del 1970 non preveda un obbligo per il datore di lavoro di mettere spontaneamente a disposizione del lavoratore,…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 23420 depositata il 1° agosto 2023 - Nell’ambito del procedimento di contestazione disciplinare, regolamentato dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970, ove il lavoratore, pur dopo la scadenza del termine di cinque…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 novembre 2022, n. 32810 - In tema di licenziamento individuale per giusta causa, l'insussistenza del fatto contestato, che rende applicabile la tutela reintegratoria ai sensi dell'art. 18, comma 4, St. lav., come…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 29760 depositata il 26 ottobre 2023 - In tema di dirigenza medica del settore sanitario pubblico, la P.A. è tenuta a dare inizio e a completare, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il procedimento per…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Autoriciclaggio: in tema di sequestro preventivo s
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 10663 depositata il 1…
- La prova rigorosa del pagamento della retribuzione
La prova rigorosa del pagamento della retribuzione spetta al datore di lavoro, i…
- Imposta di registro: non va applicata sulle clauso
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 3466 depositata i…
- Le perdite su crediti derivanti da accordi transat
Le perdite su crediti derivanti da accordi transattivi sono deducibili anche se…
- L’art. 7 L. n. 604/1966 consente al datore d
L’art. 7 L. n. 604/1966 consente al datore di lavoro di comunicare il licenziame…