CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 novembre 2018, n. 30278
Licenziamento per giusta causa – Condotta grave – Compromissione del vincolo fiduciario – Proporzionalità della sanzione espulsiva – Accertamento
Rilevato
1. Che la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di C.R. intesa all’accertamento della illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in data 8.7.2011 dalla datrice di lavoro G.A. s.r.l.;
1.1. che il giudice di appello, premesso che era provata e non contestata la condotta addebitata al dipendente consistita nella sottrazione di uno psicofarmaco di proprietà di un paziente ricoverato presso la struttura nella quale il R. prestava servizio quale infermiere OTA, che tale condotta era stata posta in essere non sulla base di un ordine impartito dalla Direzione sanitaria, unico organo gerarchicamente sovraordinato, ma su richiesta di altro dipendente deputato allo svolgimento di mansioni amministrative, ha ritenuto che il fatto ascritto presentava connotati di gravità tale sotto il profilo oggettivo e soggettivo da giustificare la definitiva compromissione del vincolo fiduciario e quindi l’irrogazione della sanzione espulsiva ;
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C.R. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso illustrato con memoria depositata ai sensi dell’art. 380 – bis. 1. cod. proc. civ.;
Considerato
1. Che con il primo motivo di ricorso si deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti rappresentato : a) dalle funzioni gestionali di “direttore ” e di ” uomo di fiducia” della proprietà, svolte, quanto meno di fatto, dal C. (la persona che aveva dato al R. la disposizione relativa al prelievo del farmaco, ndr); b) dal contesto di necessità ed urgenza umanitaria alla base della condotta del lavoratore; c) dalla restituzione della medesima quantità di farmaco nei giorni successivi al prelievo; si argomenta, inoltre, che non vi era prova in concreto dell’uso improprio del farmaco e che neppure sussisteva il rischio che il paziente, al quale erano stati sottratti i farmaci, rimanesse privo degli stessi;
2. che con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, in relazione agli artt. 1175, 1176, 1375, 2104 e 2119 cod. civ. e all’art. 40 c.c.n.l. . Si censura la decisione impugnata essenzialmente sul rilievo della mancata considerazione di tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi destinati a qualificare la condotta in concreto posta in essere dal R. al fine della verifica della definitiva lesione del vincolo fiduciario;
3. che il primo motivo di ricorso è infondato. La sentenza impugnata ha accertato che la richiesta di prelievo del farmaco non proveniva dalla Direzione sanitaria, unico organo gerarchicamente sovraordinato al R., ma da altro dipendente della società deputato allo svolgimento di mansioni amministrative; in tal modo il giudice di appello ha dimostrato espressamente di prendere in considerazioni la posizione che nell’ambito della compagine societaria rivestiva il soggetto che aveva effettuato la richiesta di prelievo escludendone la legittimazione ad impartire al dipendente licenziato direttive vincolanti in punto di corretta utilizzazione dei farmaci. A tanto consegue che con riferimento all’asserito ruolo “di fatto” delle funzioni gestionali di Direttore rivestite dal C., non è prospettabile alcun omesso esame di un fatto storico nel senso chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento al vizio denunziabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. nel testo attualmente vigente applicabile ratione temporis (v. Cass. Sez Un. 07/04/2014 n., 8053); le ulteriori circostanze richiamate, delle quali si denunzia omesso esame, sono già in astratto inidonee ad inficiare l’accertamento del giudice di merito in quanto prive del carattere di decisività, implicando le stesse non un giudizio di certezza ma di mera probabilità rispetto all’astratta possibilità di una diversa soluzione (Cass. 19/02/2018 n. 3960; Cass. 14/11/2013 n. 25608; Cass. 28/06/2006 n. 14973);
4. che il secondo motivo è inammissibile con riguardo alla denunziata violazione della norma collettiva avendo parte ricorrente, in violazione del precetto di cui all’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., omesso la riproduzione del relativo testo nel corpo del ricorso per cassazione e, prima ancora, di indicare la sede di relativa produzione della norma pattizia nell’ambito del giudizio di merito (Cass. 11/01/2016 n. 195; Cass. 12/12/2014 n. 26174; Cass. 24/10/2014 n. 22607);
4.1. che le ulteriori censure articolate in punto di omessa considerazione e valorizzazione di tutte le circostanze del caso concreto destinate, in tesi, a connotare la condotta ascritta sotto il profilo oggettivo e soggettivo sono parimenti inammissibili alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale i concetti di giusta causa di licenziamento e di proporzionalità della sanzione disciplinare costituiscono clausole generali, vale a dire disposizioni di limitato contenuto, che richiedono di essere concretizzate dall’interprete tramite valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, a condizione però che la contestazione in tale sede contenga una specifica denuncia di incoerenza del giudizio rispetto agli “standards” esistenti nella realtà sociale e non si traduca in una richiesta di accertamento della concreta ricorrenza degli elementi fattuali che integrano il parametro normativo, accertamento che è riservato ai giudici di merito (Cass. 26/03/2018 n. 7426; Cass. 13/12/2010 n. 25144). Invero parte ricorrente, senza evidenziare il contrasto della decisione assunta con riferimento a specifici parametri, espressione degli “standards ” esistenti nella realtà sociale, si limita a richiedere una diversa e più favorevole valutazione della condotta addebitata sulla base di elementi dei quali, peraltro, in violazione del disposto di cui all’art. 366, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., non è ricostruita la modalità di acquisizione al giudizio di merito;
5. che al rigetto del ricorso consegue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;
6. che sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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