CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 dicembre 2018, n. 33371
Contratto di lavoro somministrato – Illegittimità – Prova dell’effettività della causale giustificatrice – Sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato
Rilevato che
Il Tribunale di Milano, con sentenza nr. 5120 del 2010, accoglieva la domanda proposta da K.G. nei confronti di M.F. Spa (di seguito: M.) e dichiarava l’illegittimità del contratto di lavoro somministrato, in relazione al periodo 18.5.2006-18.11.2006, riconoscendo la sussistenza, tra le parti, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
la Corte di Appello di Milano, con sentenza nr. 1092 del 2014, respingeva il gravame: per quanto di rilievo nella presente sede, osservava che M. non aveva offerto adeguata dimostrazione dell’esistenza in capo alla società somministrante dell’autorizzazione di cui agli artt. 4 e 5 della legge nr. 276 del 2003 (a tale riguardo, infatti, le prove offerte erano generiche ) nonché dell’effettività della causale giustificatrice del ricorso al lavoro somministrato (anche a tal fine era generica la prova per testi come articolata); ne conseguiva, pertanto, la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con la società utilizzatrice;
ha proposto ricorso per cassazione M., affidato a tre motivi; ha resistito con controricorso, il lavoratore; entrambe le parti hanno depositato memoria;
Considerato che
con il primo motivo, la società deduce – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 210, 244, 421 cod.proc.civ. nonché degli artt. 4, 5, 20, 27 del D.lgs nr. 276 del 2003 ( è censurata la sentenza nella parte in cui ha considerato «insufficienti le prove offerte da M. in ordine al possesso della prescritta autorizzazione in capo alla società somministrante» ed inoltre per non aver esercitato i poteri istruttori d’ufficio); il motivo è inammissibile;
la deduzione delle violazioni di legge contenuta nella rubrica del motivo scherma in realtà deduzione di vizi di motivazione;
la valutazione dei mezzi di prova costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, insindacabile in questa sede se non nei limiti dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ., tempo per tempo vigente;
non rileva, infatti, la censura prospettata con il richiamo alla violazione delle regole stabilite dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. che può porsi solo allorché si alleghi che il giudice di merito: a) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposto di ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; b) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione;
nessuna di tali situazioni viene prospettata dalla ricorrente che, nella sostanza, richiede una (ormai del tutto inammissibile) rivisitazione di fatti e circostanze come valutati in sede di merito;
quanto, poi, al mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 cod.proc.civ., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, occorre osservare come la società non abbia neppure specificato di averne sollecitato l’esercizio (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 17704 del 2015; nr. 22534 del 2014; nr. 6023 del 2009) e tanto meno indicato i mezzi istruttori che, ove ammessi e/o esaminati, avrebbero condotto, in termini di certezza e non di mera probabilità, ad altro esito della lite;
con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 20, 4 comma, 27, 3 comma, del D.lgs. nr. 276 del 2003 e dell’art. 41 Cost. nonché degli artt. 115,116, 244 e 421 cod.proc.civ. (la censura riguarda la statuizione di genericità della prova per testi come articolata in ordine alla effettività della causale giustificatrice; la società si duole della statuizione secondo cui il contenuto dei capitoli di prova non avrebbe consentito una adeguata \ dimostrazione circa l’effettiva sussistenza delle esigenze sottese alla stipulazione del contratto di somministrazione);
il motivo è inammissibile;
alle considerazioni già esposte in relazione al primo motivo, si osserva anche che avendo la sentenza impugnata accolto la domanda del lavoratore sulla base di più rationes decidendi (a. il difetto di autorizzazione in capo alla società somministrante; b. l’assenza di effettività della causale giustificatrice del ricorso al lavoro somministrato) e non essendo più censurabile, per quanto argomentato in ordine al primo motivo di ricorso, in questa sede di legittimità, la prima delle due ragioni che sorreggono la decisione, il secondo motivo (id est l’esame del secondo motivo) difetta di interesse, giacché dal suo eventuale accoglimento non potrebbe comunque derivare la cassazione della sentenza;
con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27, 1 e 2 co, del D.lgs. nr. 276 del 2003 (la censura riguarda la statuizione in ordine alle conseguenze derivanti dalla accertata nullità; secondo la parte ricorrente i giudici di merito avrebbero errato nel dichiarare la sussistenza di un contratto a tempo indeterminato con l’utilizzatore, dovendo piuttosto riconoscere, tra il lavoratore e l’utilizzatore, la sussistenza di un contratto di lavoro a tempo determinato, come concluso con il somministrante);
il motivo è infondato alla luce della costante giurisprudenza di legittimità secondo cui il contratto che si viene ad instaurare con l’utilizzatore della prestazione non può, che essere a tempo indeterminato (Cass. nr. 15610 del 2011 e, tra le successive, Cass. nr. 6933 del 2012; di recente, in motivazione, Cass. Nn. 6933-10901 – 13417- 17669 del 2018); ciò sulla scorta e del dato letterale di cui al D.Lgs. nr. 276 del 2003, art. 27, comma 1, – il quale stabilisce espressamente che, in ipotesi di somministrazione avvenuta al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli art. 20 e art. 21, comma 1, lett. a), b), e), d) ed e), il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 cod.proc.civ., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione – e del rilievo che, diversamente opinando, verrebbe ad essere facilmente aggirata la disciplina limitativa del contratto a termine;
il ricorso va, dunque, complessivamente respinto;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. nr. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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