CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 gennaio 2019, n. 69
Licenziamento – Illegittimità – Tutela risarcitoria ex art. 8, L. n. 604/1966 – Sussistenza del prescritto requisito dimensionale
Rilevato che
1. il Tribunale di Ravenna, in parziale accoglimento del ricorso proposto da C.E.F.M., dichiarava l’illegittimità del licenziamento a lei intimato da C. s.r.l. in data 9/2/2011 e disponeva in suo favore la tutela risarcitoria ex art. 8 della I. n. 604 del 1966 commisurata a due mensilità e mezzo della retribuzione globale di fatto.
2. La Corte d’appello di Bologna, in parziale accoglimento dell’ appello promosso dalla C., condannava C. s.r.l. alle conseguenze per l’illegittimo licenziamento del 9.2.2011 previste dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970, ritenendo la sussistenza del prescritto requisito dimensionale.
3. Per la cassazione della sentenza C. s.r.l. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso E.F.M.C., che ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., con richiesta notificata alla controparte di liquidazione delle spese processuali del procedimento incidentale ex art. 373 c.p.c., promosso da C. s.r.l. di fronte alla Corte d’appello di Bologna, conclusosi con ordinanza di rigetto del 12.12.2017.
Rilevato che
1. come primo motivo la società deduce omesso esame di un fatto decisivo della controversia e lamenta che la Corte d’appello, pur confermando la sentenza di primo grado che aveva disatteso la tesi della ricorrente in ordine alla presunta unicità sotto il profilo giuridico e amministrativo delle società C. s.n.c. e C. s.r.I., abbia tuttavia ritenuto l’illegittimità del licenziamento intimato in data 9.2.2011 da C. s.r.l. (statuizione che conseguiva all’asserita simulazione di precedente licenziamento intimato da C. s.n.c.).
2. Come secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c., dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966 e dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 e lamenta che la Corte d’appello abbia applicato la tutela reale quando il numero dei dipendenti in forza alla C. s.r.l. alla data del licenziamento era pari a n. 14,55, come si ricaverebbe dalla documentazione agli atti prodotta in primo grado e dal LUL prodotto in grado d’appello e come risulterebbe dallo schema relativo ai rapporti di lavoro che produce.
3. Il primo motivo è inammissibile, non essendo confutata la ratio decidendi della Corte di merito che ha argomentato che la società, limitandosi in grado d’appello a chiedere la conferma della sentenza di primo grado, aveva prestato acquiescenza alla declaratoria d’illegittimità del licenziamento intimato il 9.2.2011, sicché su tale capo della sentenza del Tribunale era sceso il giudicato.
4. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
Occorre premettere che la produzione di nuovi documenti in sede di legittimità è preclusa ex ex art. 372 comma 1 c.p.c., e dunque che non può essere esaminato il prodotto schema relativo ai rapporti di lavoro al momento del licenziamento.
Il motivo non esplicita quale sarebbe l’errore di diritto compiuto dalla Corte d’appello nel computo dei dipendenti quali risultanti dalla documentazione già acquisita in sede di merito, ma chiede una nuova e diversa valutazione delle medesime risultanze che la Corte territoriale in accoglimento dell’appello ha esaminato, sulla base delle quali ha ritenuto superata la soglia dei quindici dipendenti per l’applicazione della tutela reale. Esso dunque, al di là della rubrica utilizzata, chiede un controllo sulla motivazione assunta nella lettura della documentazione, di cui non specifica né ritrascrive il contenuto, né indica la collocazione in atti.
Risultano pertanto violati i principi affermati da questa Corte in tema di controllo sulla motivazione ( v. Cass, S.U. 07/04/2014, n. 8053 e 8054) che ha chiarito che l’art. 360 c.p.c., n. 5, così come riformulato a seguito della novella legislativa, configura un vizio specifico denunciabile per cassazione, costituito dall’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (e cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente è tenuto ad indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività.
5. Per tali ragioni, condividendo il Collegio la proposta del relatore notificata ex art. 380 bis c.p.c., il ricorso va dichiarato inammissibile con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 1, n. 1, cod. proc. civ..
6. Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, tenendosi anche conto di quelle relative al procedimento incidentale ex art. 373 bis c.p.c. (così come chiarito da Cass. n. 21198 del 2015).
7. Sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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