CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 febbraio 2019, n. 3053
Accisa – Gas naturale – Coltivazione idrocarburi – Agevolazioni fiscali – Aliquota ridotta – Presupposti
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Dogane propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, depositata il 6 febbraio 2014, che, in accoglimento dell’appello proposto dall’E. s.p.a., ha dichiarato dovuto il rimborso chiesto dalla contribuente per l’indebito versamento dell’accisa sul gas naturale impiegato per la coltivazione di idrocarburi.
2. La sentenza dà atto che la Commissione provinciale aveva respinto il ricorso della contribuente sul fondamento dell’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’imposta con aliquota ridotta (o per l’esenzione dall’imposta medesima), in quanto, nel caso in esame, si sarebbe in presenza di un caso di estrazione del gas naturale e non di fabbricazione dello stesso.
2.1. Il giudice di appello ha riformato la decisione gravata, evidenziando, da un lato, che l’attività di estrazione del gas rientrava nel più ampio genere delle operazioni di fabbricazione dello stesso, dall’altro, che l’art. 21, terzo comma, della direttiva CEE 2003/96/CEE prevedeva l’esenzione dalla tassazione per il consumo di prodotti energetici all’interno di uno stabilimento che produce prodotti energetici.
3. Il ricorso è affidato a tre motivi.
4. Resiste con controricorso l’E. s.p.a., la quale deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso proposto l’Agenzia delle Dogane denuncia la violazione degli artt. 112 c.p.c. e 1, secondo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per aver la sentenza impugnata omesso di pronunciarsi in ordine all’eccezione di inammissibilità dell’istanza di rimborso per omessa trasmissione della stessa all’Agenzia delle Entrate.
1.1. Il motivo è infondato.
La ricorrente allega di aver sollevato, in sede di appello, l’eccezione di inammissibilità dell’istanza di rimborso e che la Commissione regionale non si sarebbe pronunciata sul punto.
Orbene, benché la sentenza impugnata non abbia affrontato espressamente la questione, deve ritenersi che abbia implicitamente disatteso tale eccezione, affidando la sua motivazione all’illustrazione delle ragioni per cui l’istanza fosse fondata, per cui non ricorre il vizio prospettato (cfr. Cass., ord., 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass. 11 settembre 2015, n. 17956).
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 29, quarto comma, I. 29 dicembre 1990, n. 428, per aver il giudice di appello ritenuto sussistente il diritto al rimborso della contribuente nonostante che la relativa istanza non fosse stata comunicata all’Agenzia delle entrate.
2.1. Il motivo è fondato.
L’art. 29, quarto comma, l. n. 428 del 1990, stabilisce che «La domanda di rimborso dei diritti e delle imposte di cui ai commi 2 e 3, quando la relativa spesa ha concorso a formare il reddito d’impresa, deve essere comunicata, a pena di inammissibilità, anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell’esercizio di competenza».
I richiamati commi del medesimo articolo fanno riferimento ai diritti doganali all’importazione, alle imposte di fabbricazione, alle imposte di consumo, al sovrapprezzo dello zucchero e ai diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie.
Il giudice di appello dà atto che l’istanza di rimborso era fondata sulla incompatibilità della disposizione nazionale che prevede l’accisa sul gas metano utilizzato per la produzione di energia elettrica con l’art. 14, n. 1, lett. a), direttiva del Consiglio del 27 ottobre 2003, n. 2003/96/CE, la quale prevede l’esenzione dalla tassazione per i prodotti energetici e per l’elettricità utilizzati per produrre elettricità e l’elettricità utilizzata per mantenere la capacità di produrre l’elettricità stessa.
Può, dunque, ritenersi che il caso in esame rientri nell’ambito di operatività delle disposizioni richiamate.
2.2. Orbene, questa sezione ha affermato che l’obbligo di comunicazione della domanda di rimborso, a pena d’inammissibilità, anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell’esercizio di competenza non può considerarsi – come, invece, sostenuto dalla ricorrente – implicitamente abrogato, per incompatibilità logica e giuridica, dal sopravvenuto art. 14, d.lgs. n. 504 del 1995, atteso che il precetto di tale ultimo articolo, nella parte in cui stabilisce che «il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento» non contrasta con quello secondo cui «la domanda di rimborso … deve essere comunicata, a pena di inammissibilità, anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi» (cfr. Cass. 19 aprile 2013, n. 9560; Cass. 25 luglio 2012, n. 13087).
Si tratta, infatti, secondo tale orientamento di una mera integrazione dei due precetti per «le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie», funzionale all’esigenza di rendere edotta l’Agenzia delle entrate della presentazione di istanze di rimborso, in relazione a possibili effetti sui redditi dichiarati dell’esercizio di competenza.
2.3. Questo collegio non ravvisa elementi per cui discostarsi dai richiamati principi che vanno, dunque, mantenuti e applicabili al caso in esame.
Evidenzia, in proposito, che, diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente, una siffatta interpretazione del dato normativo non si pone in contrasto con il diritto unionale, come sottolineato dalla Corte di Giustizia che, proprio esaminando la portata dell’art. 29, quarto comma, l. n. 428 del 1990, ha riconosciuto che l’obbligo di comunicazione dell’istanza non ha per conseguenza né per effetto di privare gli interessati della possibilità di fruire dell’applicazione effettiva del diritto comunitario, né di porli in una situazione meno favorevole di quella in cui si troverebbero se domandassero il rimborso di diritti o imposizioni contrari al diritto interno» (cfr. Corte Giust., 9 febbraio 1999, Dilexport).
2.4. Ciò posto, per effetto del richiamato quarto comma dell’art. 29, l. n. 428 del 1990, l’onere della comunicazione della istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate non opera indiscriminatamente, ma solo «quando la relativa spesa ha concorso a formare il reddito d’impresa».
Nel caso in esame, l’accisa versata in eccesso ha costituito un costo sostenuto per la produzione del reddito e, dunque, ha assunto rilevanza ai fini della formazione del reddito d’impresa.
3. All’accoglimento del secondo motivo di ricorso segue l’assorbimento del terzo, con cui la ricorrente si duole della violazione degli artt. 22, 24 e 26, nonché del punto 10 della Tabella A, d.lgs. n. 504 del 1995, e 21, secondo e terzo comma, della Direttiva CE 27 ottobre 2003, n. 96, per aver la sentenza impugnata riconosciuto all’impiego di gas naturale nelle operazioni di campo per la coltivazione di idrocarburi l’esenzione dall’imposta, anziché la sua applicazione con aliquota agevolata.
4. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, che provvederà anche al regolamento delle spese.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione.
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