CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2019, n. 16991
Rapporto di lavoro dirigenziale – Accertamento della natura subordinata – Eterodirezione caratterizzante la subordinazione – Prova
Rilevato che
Con decreto n. 308 del 2017 il Tribunale di Torino, in sede di procedimento di opposizione allo stato passivo ai sensi dell’art.99 della legge Fallimentare, ha rigettato l’opposizione di L. S. diretta a far accertare la natura subordinata dirigenziale del rapporto di lavoro intercorso con la società B. spa, poi dichiarata fallita, a far tempo dal 2.5.1999 alla data del fallimento, con conseguente ammissione al passivo del fallimento del credito ammontante ad euro 1.091.184,13, accertando altresì l’omesso versamento dei contributi;
il Tribunale ha ritenuto che l’attività lavorativa svolta dallo S., risultante anche dalla copiosa documentazione allegata, era astrattamente compatibile anche con la funzione di amministratore di fatto o con un rapporto di collaborazione di diversa natura e che non emergevano dalle allegazioni svolte dall’opponente in ricorso elementi fondamentali, in particolare l’eterodirezione caratterizzante la subordinazione ed essendo anche inammissibili i capitoli di prova, che deducevano fatti compatibili con diverse tipologie di lavoro, oppure aventi contenuto generico, nessuna rilevanza avendo infine la qualificazione data dal curatore fallimentare dell’attività svolta dallo S.;
avverso il decreto a proposto ricorso per cassazione L.S. affidato a due motivi, poi illustrati da memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., a cui ha opposto difese il Fallimento B. spa ;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della decisione e del provvedimento emesso dal tribunale, ai sensi dell’art.132 c.p.c. e 98 e 99 legge fallimentare, per errata indicazione della denominazione del provvedimento che è stato comunicato dalla cancelleria come ordinanza e non come decreto, senza neanche l’indicazione dei difensori costituiti, così inducendo in errore il destinatario della comunicazione circa la esatta natura dell’atto ai fini dell’impugnazione;
con il secondo motivo il ricorrente lamenta che la corte d’Appello non abbia correttamente esaminato i documenti prodotti ritenendoli inidonei a provare la subordinazione e non abbia ammesso le prove testimoniali a conferma degli stessi, che in particolare poi abbia omesso l’esame di un documento decisivo, la relazione del Curatore fallimentare ex art. 33 legge fall., laddove si precisa espressamente che “non vi erano elementi di comprova che la figura dell’ing. S., soggetto di spicco all’interno del gruppo B., abbia rivestito incarichi diversi dall’ambito esclusivamente tecnico”. Con tale dichiarazione infatti, a dire del ricorrente, si confermano i due elementi determinanti per la qualificazione del rapporto come di natura tecnica e dirigenziale;
nell’ambito del secondo motivo il ricorrente formula un’ulteriore censura di violazione dell’art. 92 comma 2 c.p.c., atteso che il Tribunale pur seguendo il principio della soccombenza, non avrebbe tenuto conto che il comma 2 dell’articolo ammette la compensazione delle spese in ipotesi di istruttoria particolarmente problematica, caratterizzata da cd complessità in fatto o in caso di orientamenti giurisprudenziali oscillanti e che pertanto, avendo il tribunale quantomeno riconosciuto l’ambivalenza delle risultanze probatorie e dunque una verosimiglianza delle doglianze del ricorrente, avrebbe dovuto contenere l’importo delle spese;
il ricorso è inammissibile;
il primo motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza con riferimento all’art. 366 c. 1 n. 6 c.p.c: il documento – la comunicazione di cancelleria – dal cui errore di comunicazione deriverebbe la pretesa nullità del procedimento, non è stato trascritto nel ricorso di legittimità e neanche risulta se e dove lo stesso sia stato prodotto, con ciò impedendosi il suo esame diretto da parte di questa Corte (cfr per tutte da ultimo Cass. n.195/2016, Cass. n. 21554/2017);
il secondo motivo è egualmente inammissibile, in primo luogo per difetto del principio di autosufficienza, perché anche in tal caso il ricorrente ha omesso del tutto di trascrivere i capitoli di prova che il Tribunale non ha ammesso ritenendoli inammissibili in quanto generici e non decisivi, ed ha fatto riferimento a documenti ritenuti decisivi – come la relazione del curatore fallimentare – che non soltanto non sono stati trascritti nella parte rilevante, ma di cui non è stato indicato se e dove fossero stati depositati, con violazione del principio di autosufficienza, come già rilevato in precedenza, con ciò impedendo il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto di ricorso, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr per tutte Cass. 15751/2003, Cass. n. 19985/2017);
ma il motivo è altresì inammissibile perché censura di fatto la valutazione negativa che il Tribunale ha dato tanto delle prove documentali fornite dal ricorrente, quanto di quelle testimoniali richieste, correlate ai documenti prodotti, tendendo così a richiedere una nuova valutazione del merito che è preclusa in questa sede;
Egualmente inammissibile deve ritenersi la censura sulla statuizione relativa alla condanna alle spese di lite nella misura statuita dalla corte; si tratta invero di una censura generica e priva di specificità, perché il ricorrente sembrerebbe dolersi di una mancata parziale compensazione delle spese da parte del Tribunale, invocando una soccombenza ” attenuata”; tuttavia rimangono del tutto assenti deduzioni precise a supporto di una tale censura, dovendosi peraltro rilevare che questa corte ha più volte precisato (cfr cass. SU n. 14989/2005 e da ultimo Cass. n. 11329/2019) che in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione;
Va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente, soccombente, alla rifusione delle spese di lite liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore della causa;
P.Q.M.
dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 7000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.
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