COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Roma sentenza n. 5378 sez. 22 del 21 settembre 2016
ISPEZIONE PRESSO SEDE CONTRIBUENTE – PERMANENZA OLTRE I 30 GIORNI – EFFETTI – ACCERTAMENTO ILLEGITTIMO – ESCLUSIONE
Svolgimento del processo
La società D. spa in liquidazione impugnava l’avviso di accertamento n. … con cui era stato rettificato il reddito dichiarato per il 2006, a seguito di processo verbale di constatazione del 22.12.2008. La società eccepiva la illegittimità dell’atto, rilevando le irregolarità commesse dai verificatori, la carenza di motivazione e la violazione delle norme che disciplinano la ricostruzione delle operazioni da sottoporre a tassazione.
Costituitasi l’Agenzia, che chiedeva il rigetto del ricorso, la CTP, con la sentenza n. 16160/06/14, dichiarava inammissibile il ricorso con compensazione delle spese.
La CTP riteneva infatti vi fosse la violazione dell’art. 22 del d.lgs. 546/92, perché mancava la prova della notifica del ricorso, che non poteva essere sanata dal deposito, in sede di udienza di copia della raccomandata.
Avverso detta sentenza la società propone appello con memoria e l’Agenzia ha presentato controdeduzioni.
Motivi della decisione
1. La società eccepisce in primo luogo la illegittimità della sentenza impugnata per avere dichiarato inammissibile il ricorso affermando che mancava la prova della sua notifica, mentre risultava dagli atti che questo era stato ritualmente notificato.
La censura è fondata, in quanto il ricorso introduttivo venne consegnato direttamente all’Ufficio il 17.10.2011 e quindi depositato presso la CTP il 25.10.2011.
Il ricorso era quindi ammissibile.
Con l’appello la società ripropone i motivi di impugnazione avverso l’avviso originario, che sono i seguenti:
2. Illegittimità dell’avviso, perché nell’ordine di accesso della Guardia di Finanza non erano stati indicati i motivi da cui aveva tratto origine la verifica, e ciò contrasterebbe con la previsione dell’art. 12 legge 212/2000.
La censura è infondata.
In primo luogo nel pvc a pag. 2 si specifica che i militari rendevano edotta la parte, che ha firmato il verbale, delle esigenze effettive di indagine sul luogo che rendevano necessaria l’effettuazione dell’accesso. In ogni caso l’art. 33 del dpr 600/73 al terzo comma prevede che la G.d.f. coopera con gli uffici imposte dirette procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli uffici.
Peraltro la disamina dei documenti non è avvenuta presso i locali dell’azienda, ma nella sede operativa della I. srl, società depositaria delle scritture con l’assistenza dell’amministratore e di un dipendente della società.
3. Illegittimità dell’avviso di accertamento per mancato rispetto da parte dei verificatori del termine stabilito dall’art. 12 quinto comma legge 212/2000, giacché la verifica era iniziata il 9 ottobre 2008 e terminata il 2 dicembre successivo.
Anche questo motivo è infondato, giacché al protrarsi delle operazioni di verifica oltre i 30 giorni la legge non ricollega né la inutilizzabilità delle prove, né la nullità degli accertamenti (cfr. Cass. n. 19338/2011 in motivazione).
4. Si eccepisce ancora la illegittimità dell’avviso perché l’accertamento sarebbe stato praticato senza prima concludere il contraddittorio instaurato a richiesta dello stesso Ufficio, così violando la giurisprudenza della Corte di giustizia UE.
Anche questo motivo è infondato.
Non vi è infatti alcuna norma la quale preveda che, in mancanza di un verbale finale, si debba annullare l’accertamento e quindi l’avviso. Inoltre nella specie il contraddittorio è stato pienamente osservato, dal momento che la società ha prodotto documentazione che è stata esaminata dai verificatori.
5. Con ulteriore mezzo si censura l’avviso in quanto basato su verbale redatto da reparto di Guardia di Finanza incompetente. La società aveva infatti sede legale a Roma e il reparto della Guardia di Finanza che aveva redatto il pvc era di Cosenza.
Anche questo motivo è infondato, considerando che nessuna norma prevede una ripartizione per competenza del potere ispettivo della Guardia di Finanza, peraltro il controllo era avvenuto presso la società I. srl, depositaria della documentazione della società, con sede a Cosenza.
6. Con il primo motivo di merito, con articolate deduzioni, si sostiene la illegittimità dell’avviso per mancanza di prova sul recupero a tassazione dei maggiori compensi positivi di reddito, ai fini Ires, di maggior volume d’affari ai fini Iva e di maggior imponibile ai fini Irap.
Neppure questo motivo merita accoglimento. Giacché il maggior reddito è stato desunto dalle vendite effettuate, anti economicamente, sotto costo.
È infatti ben spiegato nel pvc e nell’avviso (e non contestato in ricorso) che il 28.12.2006 la D. acquistò l’immobile sito in Rende dalla A.I.; al prezzo di 5.225.000 euro, il giorno stesso lo rivendette alla (omissis) spa al prezzo di 4.800.000 euro.
Ed ancora il 28 dicembre 2006 la D. acquista da G.C. altro immobile in Rossano al prezzo di 2.179,647, così era iscritto il bilancio, e nello stesso giorno lo rivendette alla M.L. spa a 2.000.000 di euro.
Da queste operazioni in sottocosto si è desunta la mancata dichiarazione di ricavi per euro 2.316.819.
Poiché la società acquirente dei due immobili, ossia la M.L. spa aveva concesso in locazione i due immobili alla G. spa, la società appellante sostiene in ricorso che dette cessioni sottocosto sarebbero state giustificate dalla acquisizione dei contemporanei contratti di appalto stipulati, per il completamento degli immobili, tra essa D. e la (omissis), utilizzatore finale degli stessi.
Sostiene cioè che la perdita conseguente alle vendite sottocosto sarebbe stata ampiamente compensata dalla acquisizione dei contratti di appalto.
La tesi è infondata e, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, la pretesa tributaria è basata su presunzioni, gravi, precise e concordanti.
Si consideri infatti la peculiarità delle operazioni, per cui nello stesso giorno i due immobili vennero acquistati e immediatamente rivenduti, a prezzo notevolmente inferiore a quello dell’acquisto e i tempi conducono ad escludere ogni ipotesi di deprezzamento.
Si consideri ancora che la differenza del prezzo in perdita è troppo rilevante per essere giustificata dai futuri guadagni derivanti dai contratti di appalto.
Si consideri poi che in entrambi i contratti di vendita alla M.L. (punto 5), la D. si obbligava a ultimare gli immobili venduti a sua cura e spese, quindi si assumeva impegni onerosi non compensati dalla acquisizione dei successivi appalti.
Peraltro non è stato neppure dedotto che la società contribuente aveva interesse ad affermarsi sul mercato come esordiente.
Si consideri infine che nell’esercizio 2006, come risulta al foglio 11 del pvc, la appellante aveva avuto una forte impennata dei ricavi, onde appare chiara la finalità delle vendite sottocosto.
7. Parimenti infondate sono le censure relative alla indebita deduzione di costi per euro 32.00,63.
La somma di 20.000 euro di costo viene giustificata nella transazione tra D. e S.A. Di tale contratto non è stata reperita traccia e altrettanto indimostrata è la tesi sostenuta in ricorso per cui quella somma si riferirebbe a costi sostenuti dopo l’acquisto di terreni dalla S. spa, relativi ad un sovraprezzo richiesto dal S.
Sulla seconda voce di costo per euro 450.000 non si muovono in ricorso precise contestazioni.
La terza voce riguarda costi per “compensi ad organi sociali” per euro 11.550,63 (pvc fogli 15 e 16) relativi a costi di competenza del 2004 e costi di competenza del 2007, relativi alla stesura del bilancio del 2007. Invero le fatture emesse nell’anno 2007 non recano precise indicazioni sull’ambito temporale di riferimento, onde anche questo motivo va rigettato.
8. In definitiva il ricorso, contrariamente a quanto deciso dalla CTP, è ammissibile, ma si rivela infondato, onde l’appello della società va rigettato.
Le spese del grado seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Commissione rigetta l’appello della società e la condanna alla rifusione delle spese liquidate in euro settemila.
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