CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 aprile 2020, n. 8085
Tributi – Imposta di registro – Decreto ingiuntivo per restituzione delle somme pagate all’amministrazione finanziaria in virtù della garanzia rilasciata – Applicazione imposta proporzionale
Fatti di causa
1. La società H. Compagnia Svizzera di assicurazione impugnava l’avviso di liquidazione della maggiore imposta principale di registro pari ad euro 6.673,00 dovuta in relazione al decreto ingiuntivo n. 1415/2011 con cui il Tribunale di Milano ingiungeva alla S. srl in liquidazione di pagare alla compagnia la somma di euro 218.408,22 oltre interessi e spese, chiedendone l’annullamento, in quanto l’amministrazione finanziaria aveva applicato erroneamente l’imposta proporzionale del 3%, mentre il d.i. riferendosi ad una fideiussione prestata dalla compagnia a garanzia dell’esatto adempimento da parte del debitore principale delle obbligazioni assunte nei confronti del creditore beneficiario con la stipulazione della polizza.
Riteneva la contribuente che trovasse applicazione il principio di alternatività tra Iva e registro di cui agli artt. 5 e 40 del d.p.r. n. 131/1986, con la conseguente applicazione dell’imposta fissa in quanto l’operazione rientrava nell’ambito applicativo dell’Iva.
La CTP di Milano accoglieva il ricorso e compensava le spese di lite, con sentenza appellata dalla società H…
La CTR della Lombardia accoglieva l’appello, affermando che l’ingiunzione dovesse scontare l’imposta fissa di registro, per il principio di alternatività tra Iva ed imposta di registro.
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della CRT della Lombardia svolgendo un unico motivo.
La compagnia assicurativa resiste con controricorso.
Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso per cassazione.
Ragioni della decisione
2. Con il primo motivo, che lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 8 co.1 lett. b) della Tariffa parte I allegata al DPR n. 131/1986 nonché degli artt. 37 e 40 del medesimo DPR e dell’art. 1936 c.c, la ricorrente deduce che soggetta a tassazione non era la prestazione garantita dalla polizza fideiussoria, ma la richiesta di restituzione delle somme che la società H. aveva dovuto versare all’amministrazione finanziaria in virtù della garanzia rilasciata.
3. Prima di esaminare il merito della questione, vanno vagliate le eccezioni preliminari di inammissibilità del ricorso sollevate dalla controricorrente, la quale ne ha eccepito l’inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c, in quanto la decisione impugnata sarebbe conforme alla giurisprudenza di legittimità.
Esse vanno disattese, sussistendo al tempo dell’introduzione dell’odierno ricorso un contrasto giurisprudenziale in merito all’applicabilità del principio di alternatività a detta ipotesi, non potendo dunque trovare applicazione l’invocato disposto dell’art. 360 bis c.p.c. né quello dell’art. 375 n. 5 c.p.c.
4. L’unico motivo di ricorso è fondato.
Le S.U. n. 18520/2019 hanno esaminato e risolto la questione concernente la determinazione della misura, proporzionale al valore della condanna, o fissa, dell’imposta di registro da applicare al decreto ingiuntivo ottenuto dal garante nei confronti del debitore principale inadempiente per il recupero delle somme pagate al creditore principale in virtù di polizza fideiussoria. Secondo il giudice d’appello la condanna oggetto del decreto ingiuntivo della registrazione del quale si discute si riferisce pur sempre al “negozio fideiussorio”, soggetto a Iva, in virtù dell’art. 10, comma 1, n. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui sono operazioni esenti dall’imposta -e, quindi, a essa soggette- «l’assunzione di fideiussioni e di altre garanzie e la gestione di garanzie di crediti da parte dei concedenti» (sulla soggezione a Iva delle operazioni esenti vedi l’art. 5, comma 2, del d.P.R. n. 131/86, nonché, in particolare, Corte cost. 14 dicembre 2014, n. 279 e 13 luglio 2017, n. 177). Il principio di alternatività mira difatti a evitare interferenze tra Iva e imposta di registro in relazione alla medesima operazione e a scongiurare fenomeni di doppia imposizione; di modo che è esclusa l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale, qualora la condanna sia volta ad assicurare l’adempimento di obbligazioni scaturenti da operazioni soggette a Iva.
In giurisprudenza prima dell’intervento delle S.U. si contrapponevano due tesi contrapposte: la tesi che propugnava la registrazione a tassa fissa del decreto ingiuntivo ottenuto dal garante, quando l’obbligazione principale è relativa a operazione soggetta a imposta sul valore aggiunto (Cass. 19 giugno 2014, n. 14000 nonché 15 luglio 2014, n. 16192; 16 luglio 2014, nn. 16306, 16307 e 16308; 24 luglio 2014, nn. 16975, 16976 e 16977; 11 dicembre 2015, n. 24997 e, da ultimo, 20 luglio 2018, n. 19365); di contro, altro orientamento, che ha escluso l’unitarietà e inscindibilità dell’operazione complessiva, facendo leva sul fatto che il titolo da cui deriva il debito principale è distinto dalla polizza fideiussoria, dalla quale trae origine la prestazione di garanzia, e che assume la configurazione di contratto autonomo di garanzia.
Sicché il decreto ingiuntivo ottenuto dal primo nei confronti del secondo, al quale non sarebbe applicabile il principio di alternatività, sconterebbe l’imposta di registro con aliquota proporzionale al valore della condanna (Cass. 9 ottobre 2015, nn. 20260, 20261, 20262, 20263, 20264 e 20265; 14 ottobre 2015, nn. 20665, 20666, 20667, 20668 e 20669; 21 dicembre 2015, n. 25702; 16 maggio 2017, n. 12221; 19 gennaio 2018, nn. 1339 e 1341 e, da ultimo, 2 febbraio 2018, n. 2551).
Secondo la soluzione delle Sezioni Unite, non è possibile configurare alcuna operazione complessiva e inscindibile. E ciò perché la polizza fideiussoria non mira a garantire l’adempimento dell’obbligazione principale, bensì a indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore: la prestazione che ne è oggetto è quindi qualitativamente altra rispetto a quella oggetto dell’obbligazione principale. Di qui l’autonomia della garanzia, che risponde appunto a funzione indennitaria e non satisfattoria, perché è volta al trasferimento da un soggetto a un altro del rischio economico derivante dalla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale oppure dall’insussistenza dei presupposti per ottenere il rimborso dell’Iva (Cass., sez. un., 18 febbraio 2010, n. 3947, nonché, tra varie, 9 maggio 2019, n. 12228). Si era già coerentemente sottolineato, d’altronde, quanto alla polizza fideiussoria prevista dall’art. 38-bis del d.P.R. n. 633/72, che la ratio di essa non sta nella sostituzione e garanzia del versamento dell’imposta, bensì nel rimettere le parti nella posizione anteriore al rimborso (Cass., sez. un., 15 aprile 1994, n. 3519; sez. un., 10 ottobre 1996, n. 8592; sez. un., 15 ottobre 1998, n. 10188. Sulla natura di contratto autonomo di garanzia, tra varie, Cass. 28 marzo 2017, n. 7884; 31 agosto 2017, n. 20657; 20 aprile 2018, n. 9826). 6.- V’è quindi autonomia di titoli e di conseguenti rapporti, che non riescono a configurare un’operazione unitaria e inscindibile, in quanto danno vita a prestazioni diverse, non sempre equivalenti e non necessariamente corrispondenti.
Privo di fondamento risulta altresì il riferimento alla surrogazione che, ad avviso di compagnia, il garante esercita a seguito del pagamento, e che comporterebbe la novazione meramente soggettiva dell’obbligazione originaria, la quale, dunque, permarrebbe oggettivamente identica, anche sul piano tributario.
E ciò perché non ricorre l’istituto della surrogazione, prevista per il pagamento della somma che forma oggetto dell’obbligazione o da parte di un soggetto diverso dall’obbligato (artt. 1201, 1203 c.c.) o da parte dello stesso obbligato, ma con danaro altrui (art. 1202 c.c.).
In virtù del contratto autonomo di garanzia incorporato nella polizza fideiussoria, difatti, il garante non è tenuto con altri, ma neanche per altri al pagamento dei debito, ovviamente, altrui, perché è tenuto per sé all’adempimento dell’obbligazione che scaturisce dal contratto stipulato e che ha contenuto diverso rispetto a quella originaria del debitore principale.
Il rapporto autonomo di garanzia, a differenza della fideiussione, non sorge tra garante e creditore, ma tra garante e debitore, e ha oggetto diverso da quello del debito principale; laddove il creditore, che non è parte, né in senso sostanziale, né in senso formale della convenzione, si limita a beneficiarne degli effetti. Sicché, si è coerentemente stabilito, il debitore principale ha diritto di ripetere dal creditore l’eccedenza che sia stata versata dal garante solo se quest’ultimo abbia proposto azione di rivalsa nei suoi confronti, non avendo altrimenti legittimazione sostanziale a richiedere al terzo creditore quanto egli abbia indebitamente percepito non da lui, ma da altro soggetto (Cass. 27 settembre 2016, n. 18995).
Né ricorre la surrogazione per volontà del creditore prevista dall’art. 1201 c.c., pure evocata in controricorso. Quella che la società qualifica come “surroga convenzionale per volontà del creditore” è un’azione di rivalsa che il garante esercita nei confronti della propria controparte, ossia del debitore, per ottenere la restituzione di quanto versato. La disposizione al riguardo richiamata che si assume contenuta nelle condizioni generali di polizza, difatti, afferisce pur sempre al rapporto contrattuale garante/debitore, al quale, si è visto, il creditore, denominato “beneficiario”, resta estraneo.
Quando il garante chiede l’emissione del decreto ingiuntivo per ottenere dal debitore principale quanto ha versato al creditore, non fa affatto valere il credito da corrispettivo per la prestazione resa al debitore, in seno al rapporto che a lui lo lega, ossia, come si esprime l’art. 8 della l. n. 212/00, il costo della garanzia, ma si limita, a ristorarsi di guanto versato, mediante l’esercizio di azione di rivalsa nei confronti del debitore. Sicché il titolo giudiziario ottenuto dal garante, concernendo la somma già da lui versata, non ha ad oggetto il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto: non dispone una prestazione soggetta a Iva, ossia quella di garanzia, già eseguita e verosimilmente remunerata col premio; per conseguenza, non ne riguarda il corrispettivo, ossia il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente (giusta, tra varie, Corte giust. 10 novembre 2016, causa C-432/15, Bastovà).
Non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti di fatto, il giudizio va deciso nel merito, col rigetto dell’impugnazione originariamente proposta. La sussistenza del contrasto giurisprudenziale e la composizione dello stesso ad opera delle S.U., successivamente alla introduzione del ricorso per cassazione, comporta la compensazione delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione originariamente proposta. Compensa le spese dell’intero processo.
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