CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 21353 depositata il 17 luglio 2020
Rimborso di somme dovute a titolo di indennità ad una propria dipendente – Falsa comunicazione all’ente previdenziale dell’avvenuta corresponsione – Compensazione con propri debiti – Profitto del reato – Condotta riparatoria posta in essere volontariamente dal reo
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Massa, su concorde richiesta delle parti, ha applicato la pena di sei mesi di reclusione a P.M., per il reato di cui agli artt. 81, comma 2, e 316-ter, cod. pen., per avere ottenuto dall’I.N.P.S., mediante compensazione con propri debiti, il rimborso di somme dovute a titolo di indennità ad una propria dipendente, avendone falsamente comunicato all’ente previdenziale l’avvenuta corresponsione, in realtà non avvenuta.
Con la medesima sentenza, quel giudice ha altresì disposto la confisca del profitto del reato, a norma dell’art. 322-ter, comma 1, cod. pen., nella misura delle somme oggetto d’indebita compensazione.
2. Ricorre per cassazione l’imputato, con atto del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza nella parte In cui è stata disposta la confisca, per violazione del citato art. 322-ter, comma 1, poiché, avendo successivamente corrisposto all’avente diritto le somme dovutele, egli non avrebbe conseguito alcun profitto dal reato.
3. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, con la quale chiede l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza in parte qua, senza rinvio.
Considerato in diritto
1. Il ricorso, anzitutto, è ammissibile.
In tema di applicazione di pena su richiesta delle parti, la doglianza relativa alla mancata motivazione della confisca può essere oggetto di ricorso per cassazione, anche se la sentenza sia stata emessa dopo l’introduzione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., ad opera dell’art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, trattandosi di un’ipotesi di “illegalità della misura di sicurezza”, perciò rilevante come violazione di legge, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., e comunque riguardando un aspetto della decisione estraneo all’accordo sull’applicazione della pena (Sez. 3, n. 15525 del 15/02/2019, Bozzi, Rv. 275862; Sez. 3, n. 30064 del 23/05/2018, Lika, Rv. 273830; nel medesimo senso, secondo la notizia di decisione diffusa, pure Sez. U, sentenza del 26 settembre 2019, proc. n. 20381/18, ric. Savin, non ancora pubblicata).
2. L’impugnazione, inoltre, è fondata.
2.1. S’intende per “profitto del reato” – almeno nella nozione che rileva ai fini del presente ricorso – il “vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito” (per tutte, Sez. U, 26/06/2015, n. 31617, Lucci, Rv. 264436; Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, non massimata sul punto).
Nello specifico, esso va quindi individuato nel mancato esborso, per effetto dell’indebita compensazione ottenuta, delle somme che l’imputato avrebbe dovuto versare alla propria dipendente a titolo di prestazione previdenziale.
Trattandosi, perciò, di un risparmio di spesa, detto profitto è rappresentato direttamente dal denaro non versato.
Tanto rileva ai fini dell’individuazione della natura della misura ablativa disposta: se, cioè, si tratti di una confisca diretta, e quindi di una misura di sicurezza, oppure di una confisca di valore, nella specie c.d. “per equivalente”, che invece rappresenta una pena in rem (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255037; Sez. 6, n. 16103 del 19/02/2020, De Grandi, Rv. 278961).
A tal fine, il mero riferimento all’art. 322-ter, cod. pen., non soccorre, poiché tale norma prevede entrambe le fattispecie di confisca. Decisiva, invece, è la specie della res staggita, in relazione alla tipologia del reato: per cui – così come precisato dalle già ricordate sentenze Lucci e Gubert – laddove il profitto sia rappresentato da denaro, la relativa confisca dev’essere qualificata come diretta, indipendentemente dalla derivazione immediata o meno dal reato.
2.2. Si versa, dunque, nella fattispecie oggetto di giudizio, in un’ipotesi di confisca diretta e, quindi, di misura di sicurezza.
La ragione giustificatrice delle misure di sicurezza è di natura tipicamente preventiva. Tanto vale, ovviamente, per quelle di tipo personale, quanto per la confisca, attraverso la quale l’ordinamento mira a sottrarre al circuito economico-sociale legale le cose ricollegabili all’attività criminale e, come tali, a vario titolo, potenzialmente criminogene.
Se questa, però, almeno nei suoi estremi essenziali, è la ratio delle misure di sicurezza, se ne deve coerentemente desumere che, qualora il profitto conseguito attraverso il reato venga meno, successivamente a questo, per una condotta riparatola posta in essere volontariamente dal reo, la cosa pericolosa esce dal circuito dell’economia legale e non v’è, perciò, alcuna ragione che giustifichi l’ablazione.
Seppur con riferimento a diverse tipologie di reato, si collocano in questo solco interpretativo Sez. 2, n. 36444 del 26/05/2015, Ottonello, Rv. 264525, secondo la quale l’utilità economica ricavata dalla consumazione di una truffa non può essere confiscata come profitto del reato, nemmeno per equivalente, quando la stessa sia stata già restituita al soggetto danneggiato; ma, ancor prima, le numerose sentenze in materia di reati tributari, che hanno affermato la necessità della progressiva riduzione del sequestro in ragione della misura dei tributi successivamente versati dall’imputato in adempimento dell’accordo eventualmente perfezionato con l’Amministrazione finanziaria: altrimenti, si è argomentato, verrebbe a determinarsi un’inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito attraverso l’azione delittuosa (tra varie altre, Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263409).
3. Poiché, dunque, è pacifico, in fatto, che il ricorrente, successivamente al perfezionamento del reato, abbia versato alla propria dipendente le somme alla stessa spettanti, è conseguentemente venuto meno il corrispondente vantaggio economico, da lui ottenuto mediante la compensazione del relativo credito verso l’ente previdenziale con i suoi debiti nei confronti del medesimo. Nessun “profitto”, perciò, è a lui residuato, in ragione di una sua condotta riparatoria volontaria; e, di conseguenza, nessuna confisca di tali somme poteva essere disposta.
La sentenza impugnata dev’essere perciò annullata senza rinvio in parte qua, a norma dell’art. 620, lett. d), cod. proc. pen..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla confisca del denaro.
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