CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 37932 depositata il 31 dicembre 2020
Reati tributari – Utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per versamento di oneri contributivi relativi ai lavoratori subordinati – Reato di indebita compensazione ex art. 10-quater del D.Lgs. n. 74 del 2000
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Brescia, in esito a giudizio abbreviato, in parziale riforma (solo quanto al trattamento sanzionatorio di A.P.D.) della sentenza del GUP del Tribunale di Bergamo del 22 novembre 2018, confermava la responsabilità dei ricorrenti per i reati di associazione per delinquere, violazioni fiscali ex artt. 2, 8 e 10 quater D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, trasferimento fraudolento di valori ed autoriciclaggio.
Secondo l’imputazione, i ricorrenti ed altri indagati avevano costituito una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie di reati fiscali il cui provento era investito in società estere, servendosi anche di prestanome.
2. Ricorrono per cassazione gli imputati, con distinti atti.
2.1. D.M. deduce, con unico motivo, violazione di legge in ordine al reato di cui al capo 4 (già in esso assorbiti i reati di cui ai capi 7 e 9), avente ad oggetto il delitto di cui all’art. 10-quater del D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, per non avere versato le somme dovute per oneri contributivi relativi ai lavoratori subordinati assunti utilizzando in compensazione crediti inesistenti.
Il ricorrente, riferendosi ad una pronuncia di legittimità (la n. 38042 del 2019), sostiene che il reato non sarebbe configurabile quando l’omesso versamento riguardi contributi previdenziali.
Ne conseguirebbe l’eliminazione del segmento di pena inflitto in continuazione per tale reato.
2.2. A.P.D. deduce, con unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato di autoriciclaggio di cui al capo 5.
La sentenza impugnata farebbe laconico rinvio alla sentenza del Tribunale, senza tenere conto di quanto dedotto con l’atto di appello, laddove si censurava la mancanza degli elementi costitutivi del reato di autoriciclaggio, costituiti dal reimpiego delle somme di provenienza illecita in attività imprenditoriali (posto che le società slovene erano inesistenti) e dalle modalità della condotta, mancanti del requisito della concretezza quanto all’attività volta ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni, posto che il ricorrente si sarebbe limitato al versamento di parte del danaro di illecita provenienza su conti correnti sloveni attuando una semplice “monetizzazione” del danaro medesimo.
Considerato in diritto
1. Il ricorso di D.M. è inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen., in quanto con esso si deduce una violazione di legge che non aveva formato oggetto dell’atto di appello, fermo restando che l’orientamento giurisprudenziale di legittimità citato dal ricorrente a conforto delle sue ragioni (Sez. 1, n. 38042 del 10/05/2019, Santoro, Rv. 278825), risulta minoritario e consapevolmente superato con convincenti motivazioni da altre anche più recenti decisioni di questa Corte (Sez. 3, n. 13149 del 03/03/2020, Bonelli, Rv. 279118: La compensazione di cui al reato ex art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ricomprende sia quella c.d. verticale, riguardante crediti e debiti per tributi di natura omogenea, sia quella c.d. orizzontale, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, anche non afferenti alle imposte dirette od all’IVA. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’art.10-quater, d.lgs. n.74 del 2000, richiamando espressamente l’art.17, d.lgs. 9 luglio 1997, n.241, risulta applicabile anche alle ipotesi di indebita compensazione tra crediti risultanti da dichiarazioni fiscali ed altre imposte, contributi previdenziali ed assistenziali, premi Inail ed altre somme dovute allo Stato, alle Regioni, agli enti locali od altri enti. Massime precedenti Conformi: N. 8689 del 2019 Rv. 275015, N. 5934 del 2019 Rv. 275833, N. 42462 del 2010 Rv. 248754).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
2. Il ricorso di A.P.D. è infondato.
2.1. La condotta del ricorrente integra il reato di autoriciclaggio contestato al capo 5).
Al di là della ammissione di tutti gli addebiti da parte dell’imputato, è stato provato che egli ed altri correi appartenenti ad una associazione criminale, avessero costituito in Slovenia delle società in favore delle quali avevano effettuato bonifici con somme di danaro provenienti dai numerosi reati di violazione fiscale oggetto di imputazione e di condanna.
Dopo il bonifico sui conti correnti di dette società, il ricorrente ed altri soci si recavano in Slovenia, prelevavano ingenti somme di danaro dai conti correnti delle medesime società e rientravano in Italia con il contante così ripulito.
Tale condotta, ad avviso del Collegio, è penalmente rilevante ex art. 648.ter.1 cod.pen. sotto il primo profilo oggetto di censura da parte del ricorrente.
La norma incriminatrice punisce, infatti, l’impiego, la sostituzione, il trasferimento di danaro, beni o altre utilità di provenienza illecita in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative.
Nell’indicare le attività verso le quali si dirige il reimpiego di cose di provenienza illecita, il legislatore ha volutamente utilizzato termini assai generici, che risultano limitati, in negativo, solo dalla “mera utilizzazione” o dal “godimento personale” di detti beni da parte dell’autore del reato presupposto, secondo quanto prevede l’eccezione di cui al comma 4 della medesima norma.
Nel novero delle attività finanziarie o comunque di rilevanza economica, deve annoverarsi anche la costituzione di un conto corrente bancario da parte di una società, poiché da questa operazione scaturiscono evidenti effetti economici per il contraente, sol che si consideri la percezione di interessi sulle somme depositate sul conto corrente.
Inoltre, la società, per sua stessa natura, è un soggetto giuridico che viene costituito al fine di svolgere un’attività economica, secondo la nozione generale di cui all’art. 2247 cod. civ. ed il ricorrente non ha documentato né dedotto che tale nozione non fosse riferibile anche alle società slovene di cui si discute.
Trattandosi di soggetto giuridico diverso dalle persone fisiche che la compongono o la rappresentano, le attività economiche o finanziarie da essa svolte – in ipotesi anche la mera tenuta di conti correnti bancari con la gestione dei relativi utili – non potrebbero giammai essere qualificate come “mera utilizzazione” o “godimento personale” del soggetto fisico autore del reato presupposto.
Il bonifico di danaro verso i conti correnti di una società realizza, pertanto, di per sé, una operazione di rilevanza economica e finanziaria, indipendentemente dalla circostanza che la società fosse o meno operativa nel ramo imprenditoriale costituente il suo oggetto sociale, accertamento che non si rivela necessario ai fini della integrazione del reato.
2.2. Nella condotta così individuata deve rinvenirsi anche l’oggettiva capacità, consapevolmente tenuta in conto dall’imputato e consorti, di porre concreto ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa del danaro.
Per il riconoscimento di siffatto elemento costitutivo del reato di autoriciclaggio – della cui sussistenza il ricorrente a torto dubita – occorre effettuare, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, una valutazione ex ante in tema di autoriciclaggio, il criterio da seguire ai fini dell’individuazione della condotta dissimulatoria è quello della idoneità “ex ante”, sulla base degli elementi di fatto sussistenti nel momento della sua realizzazione, ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, senza che il successivo disvelamento dell’illecito per effetto degli accertamenti compiuti (nella specie, grazie alla tracciabilità delle operazioni poste in essere fra diverse società), determini automaticamente una condizione di inidoneità dell’azione per difetto di concreta capacità decettiva (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Fabbri, Rv. 279407. Massime precedenti Conformi: N. 16908 del 2019 Rv. 276419).
In quella stessa decisione, la Corte di cassazione ha analizzato un caso concreto non dissimile, sotto il profilo che qui rileva, da quello all’esame, posto che è stato stabilito il principio secondo il quale, in tema di autoriciclaggio, è configurabile una condotta dissimulatoria allorché, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso la sua intestazione ad un terzo, persona fisica ovvero società di persone o capitali, poiché, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento.
E ciò, a maggior ragione, deve ritenersi laddove le società si trovino all’estero.
La decisione è in linea con l’assunto, tratto dalla formulazione letterale della fattispecie incriminatrice, secondo cui l’operazione è illecitamente connotata quando si limiti anche solo ad “ostacolare” (e non necessariamente ad impedire del tutto) l’identificazione della provenienza delittuosa del bene (cfr., in questo senso, Sez. 2, n. 36121 del 24/05/2019, Draebing, Rv. 276974, che riguardava un caso che presenta anch’esso analogie rispetto a quello in esame).
Pressoché sovrapponibile a quella di interesse era la vicenda esaminata nella sentenza di questa Corte (Sez. 2, n. 16908 del 05/03/2019, Ventola, Rv. 276419), nella quale, come si evince dalla motivazione, l’autore dell’autoriciclaggio trasferiva ingenti somme di danaro ad una costellazione di società estere, con successivo nuovo trasferimento di somme ad altre società a lui riconducibili.
Che nel caso in esame il secondo trasferimento fosse avvenuto attraverso il prelievo di contanti dai conti correnti delle società slovene anziché attraverso altri bonifici ad ulteriori società, non muta la sostanza della questione; al contrario, la condotta del ricorrente rendeva ancora più semplice e diretta l’operazione di ripulitura del danaro di provenienza delittuosa, non più identificabile come tale dopo il prelievo del contante ad opera dell’interessato o dei correi, che avevano così raggiunto il loro scopo illecito.
Nel che, il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di A.P.D. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso D.M., e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
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