CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 settembre 2021, n. 25900
Rapporto di lavoro – Contratto a tempo determinato – Docente – Svolgimento di attività professionale forense – Autorizzazione – Contestazione disciplinare
Fatti di causa
1. Con sentenza in data 17 febbraio 2015 nr. 53 la Corte d’Appello di Lecce confermava la sentenza del Tribunale di Taranto, che aveva accolto la impugnazione proposta da A.A. – dipendente a termine del MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ’ E DELLA RICERCA (in prosieguo: MIUR) nel settore ATA – avverso la sanzione disciplinare del rimprovero scritto.
2. La Corte territoriale respingeva la eccezione pregiudiziale di nullità del ricorso introduttivo del giudizio per difetto di rappresentanza tecnica, opposta dal MIUR sul rilievo che il difensore della lavoratrice, avvocato B., era in posizione di incompatibilità, in quanto dipendente della amministrazione scolastica (docente a tempo indeterminato).
3. Osservava che la eccezione era stata rinunciata dal dirigente dell’ufficio scolastico convenuto e che, comunque, l’avvocato B. era stato autorizzato dal proprio dirigente a svolgere l’attività professionale forense.
4. Nel merito, pur a voler ritenere che l’errata indicazione del termine a difesa nella contestazione disciplinare fosse frutto di un errore materiale, emendato con rettifica dell’11 luglio 2008, la domanda della lavoratrice andava accolta per difetto della prova, il cui onere cadeva a carico della amministrazione, dei fatti che avevano dato luogo alla sanzione disciplinare, specificamente contestati.
5. La richiesta di prova non era stata coltivata dal MIUR nel corso del giudizio; né vi erano elementi per ritenere dimostrata la versione dei fatti fornita dalla amministrazione.
6. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il MIUR, affidato a sei motivi di censura, cui A.A. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
7. Il PM ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso il MIUR ha denunciato- ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.- violazione dell’articolo 1, comma 56- bis L. nr. 662/1996, censurando la sentenza per avere affermato la esistenza dello ius postularteli dell’ avv. M.B., dipendente del MIUR, in violazione della norma, a tenore della quale i dipendenti pubblici iscritti in albi professionali e che esercitano l’attività professionale non possono assumere il patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione.
2. Ha dedotto che, trattandosi di disposizione imperativa, non aveva rilievo, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, la rinuncia del dirigente scolastico ad avvalersi della eccezione; inoltre, l’autorizzazione a svolgere l’attività professionale di avvocato non faceva venire meno il divieto di assumere il patrocinio in cause di cui fosse parte una pubblica amministrazione.
3. Con il secondo mezzo si assume- ai sensi dell’articolo 360 nr. 4 cod.proc.civ.- violazione dell’articolo 1, comma 56-bis, L. nr. 662/1996 in combinato disposto con l’articolo 82, comma tre, cod.proc.civ., parimenti censurando il rigetto dell’ eccezione relativa al difetto dello ius postularteli del difensore della lavoratrice.
4. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.
5. A prescindere dalla specialità del regime di incompatibilità previsto per l’esercizio della professione forense da parte dei dipendenti pubblici disciplinato dalla legge 25 novembre 2003 nr. 339, articolo 1 e dalla legge nr. 247/2012, articolo 19- appare in limine decisivo il rilievo che eventuali situazioni d’incompatibilità con l’esercizio della professione forense, quali quelle discendenti dalla qualità di pubblico dipendente, non incidono sulla validità dell’atto posto in essere dal difensore, iscritto, come nella specie, all’albo e munito di procura; tali incompatibilità, sanzionabili sul piano disciplinare, non privano della legittimazione alla professione medesima, fino a che persista detta iscrizione ( Cass. SU 11 marzo 2004 nr. 5035).
6. L’impugnato rigetto dell’eccezione opposta dal MIUR è dunque conforme al diritto, dovendosi emendare la motivazione della sentenza nei sensi sopra esposti, ai sensi dell’articolo 384, ultimo comma, cod.proc.civ.
7. Con la terza critica il MIUR ha dedotto- ai sensi dell’articolo 360 nr. 4 cod.proc.civ.- violazione dell’articolo 115 cod.proc.civ.
8. La censura coglie la statuizione secondo cui mancava la prova, di cui era onerato il MIUR, dei fatti oggetto di addebito disciplinare, specificamente contestati dalla lavoratrice. Il MIUR ha dedotto che le contestazioni mosse dalla lavoratrice non riguardavano la materialità dell’addebito- consistente nel rifiuto di eseguire un compito assegnato dal dirigente- ma la diversa questione della legittimità del rifiuto opposto, in quanto il compito non rientrava nelle sue competenze; il fatto materiale non avrebbe dovuto essere provato dal MIUR, in quanto non contestato.
9. Con il quarto motivo viene denunciata – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod. proc. civ.- la violazione dell’articolo 2697 cod.civ., per avere la Corte territoriale posto a carico del MIUR l’onere di provare un fatto ( il rifiuto della lavoratrice di adempiere alle disposizioni ricevute) che non era stato contestato.
10. Con la quinta critica si impugna la medesima statuizione sotto il profilo della violazione dell’articolo 132, comma 2 nr. 4, cod.proc.civ., per avere la Corte di merito affermato che i fatti posti a base della sanzione disciplinare erano stati «specificamente contestati» senza indicare le specifiche contestazioni mosse in giudizio.
11. La sesta censura è proposta – ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ.- per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ancora una volta consistente nelle ( asserite) contestazioni dedotte in giudizio rispetto al fatto disciplinare.
12. I motivi dal terzo al sesto, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.
13. Quanto alla censura di violazione dell’articolo 115 cod.proc.civ., va precisato che, trattandosi di giudizio di impugnazione di sanzione disciplinare, la motivazione posta a base della decisione attiene, piuttosto che alla contestazione dei fatti allegati in causa dalla controparte, alla interpretazione della domanda ed, in specie, alla individuazione delle ragioni di impugnazione allegate dalla stessa lavoratrice nell’atto introduttivo del giudizio.
14. Questa Corte ha già affermato che la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito, sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360 cod.proc.civ., comma 1, n. 4; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del petitum, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., comma 1, n. 4; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la «qualificazione giuridica» dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un «fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo», ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in iudicando, in base all’art. 360 cod.proc.civ., comma 1, n. 3, o al vizio di error facti, nei limiti consentiti dall’art. 360 cod.proc.civ., comma 1, n. 5 (Cassazione civile sez. lav., 16/12/2020, n.28815; Cass. 10/06/2020 n. 11103).
15. Resta comunque fermo il principio di specificità del ricorso per cassazione, che comporta la necessità di riportare il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio, elemento imprescindibile per poter stabilire se la Corte territoriale abbia o meno errato nel ritenere che la materialità dei fatti oggetto di addebito era oggetto della impugnazione; detto onere non è stato assolto.
16. Non è pertinente la deduzione della violazione dell’articolo 2697 cod.civ., avendo la Corte territoriale correttamente posto a carico del datore di lavoro l’onere di provare la sussistenza del fatto disciplinare; il contenuto della censura, piuttosto che contestare la distribuzione dell’onere probatorio, attiene al preliminare accertamento di merito sul contenuto della domanda.
17. Allo stesso modo nel dedurre il vizio della motivazione, sotto il profilo della assenza di motivazione nonché dell’omesso esame di un fatto decisivo, il MIUR non lamenta la incomprensibilità o la non controllabilità del ragionamento decisorio né allega specificamente un fatto processuale non esaminato ma, piuttosto, contesta l’esito dell’attività di interpretazione della domanda compiuta dal giudice del merito.
18. Il ricorso deve essere pertanto nel complesso respinto.
19. Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
20. Il giudice dell’impugnazione, ove pronunci l’integrale rigetto o l’inammissibilità o la improcedibilità dell’impugnazione, può esimersi dalla attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo del contributo unificato quando la debenza del contributo unificato iniziale sia esclusa dalla legge in modo assoluto e definitivo (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315). L’ Amministrazione dello Stato, a tenore del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per esborsi ed € 5.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con attribuzione.
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