CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 aprile 2022, n. 13179
Rapporto di lavoro – Dipendente ministeriale – Retribuzione – Rimborso della trattenuta previdenziale obbligatoria – Domanda
Premesso che
1. Con sentenza n. 539/2016, pubblicata il 19 maggio 2016, la Corte di appello di Salerno, in riforma della sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore, ha rigettato la domanda di E. M., dipendente del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, volta ad ottenere il rimborso della trattenuta previdenziale obbligatoria del 2,5% sull’80% della retribuzione prevista dall’art. 11 della l. n. 152/1968 e dall’art. 37 d.P.R. n. 1032/1973, trattenuta che assumeva essere stata illegittimamente operata dal datore di lavoro.
1.1. La Corte di appello ha rilevato a sostegno della propria decisione che per i lavoratori – come l’attore – assunti in epoca successiva al 31 dicembre 2000, le fonti regolatrici (art. 2, commi 5, 6 e 7, l. n. 335/1995; art. 26, comma 19, l. n. 448/1998; art. 6 A.C.N. del 29 luglio 1999; art. 1, commi 2, 3 e 4, D.P.C.M. 20 dicembre 1999) avevano disposto la soppressione della trattenuta del 2,5% e nel contempo introdotto un meccanismo contabile (basato non già su di una trattenuta, bensì sulla riduzione della retribuzione lorda accompagnata da misure di recupero) tale da garantire l’invarianza della retribuzione netta e di quella utile a fini previdenziali.
1.2. Ha, quindi, rilevato che tale regime era legittimo in quanto non aveva comportato una modifica peggiorativa del trattamento goduto e tantomeno riduzione della retribuzione; che era legittimo anche per coloro che avevano preferito transitare nel regime di T.F.R., trattandosi di scelta volontaria; che, inoltre, il predetto meccanismo di calcolo era stato ritenuto legittimo dalla Corte cost. con sentenza n. 244/2014; che del resto, ove non operasse l’invarianza della retribuzione complessiva netta, alla quale il meccanismo contabile è finalizzato, si avrebbe una sostanziale disparità di trattamento retributivo tra i dipendenti pubblici rimasti con il T.F.S. in contrasto con il principio di uniformità del trattamento retributivo.
1.3. Ha osservato, infine, che l’attore non poteva dolersi della disparità di trattamento nei confronti dei dipendenti privati in quanto la contrattualizzazione dell’impiego pubblico aveva costituito solo un avvicinamento tra le discipline rimaste sotto molti profili distinte.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il M., affidandosi a due motivi.
3. Il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ha resistito con controricorso.
Rilevato che
4. Il ricorrente deduce come primo motivo in via pregiudiziale la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 19, della legge n. 448 del 1998, per violazione degli articoli 3 e 36 della Costituzione: sostiene che tale disposizione, dalla quale è promanato il D.P.C.M. del 20/12/1999 – che stabilisce, all’art. 1, c. 3, che per assicurare l’invarianza della retribuzione netta complessiva e di quella utile ai fini previdenziali dei dipendenti, nei confronti dei quali si applica quanto disposto dal c. 2, la retribuzione lorda viene ridotta in misura pari al contributo previdenziale obbligatorio soppresso e contestualmente viene stabilito un recupero in misura pari alla riduzione attraverso un corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali – confliggerebbe con i richiamati precetti costituzionali.
5. Come secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione e dell’art. 2120 c.c., lamentando che la Corte abbia ritenuto legittima l’applicazione di una norma contenuta in un provvedimento di natura regolamentare, che riproduce il contenuto della legge oggetto della pronuncia di incostituzionalità contenuta nella sentenza n. 223 del 2012.
Ritenuto che
6. Il ricorso non può essere accolto.
7. La problematica posta con i due motivi dedotti, che, pertanto, possono essere trattati congiuntamente, è stata esaminata dalla Corte cost. nella sentenza n. 213 del 22 novembre 2018.
7.1. Con essa la Corte ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 19, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, per violazione degli artt. 3 e 36 Costituzione, nella parte in cui, nel disciplinare il passaggio dei lavoratori alle dipendenze delle PP.AA. dal trattamento di fine servizio al trattamento di fine rapporto, ha demandato a un D.P.C.M. il compito di definire – ferma restando l’invarianza della retribuzione complessiva netta e di quella utile ai fini pensionistici – gli adeguamenti della struttura retributiva e contributiva conseguenti all’applicazione del trattamento di fine rapporto.
7.2. La Corte costituzionale ha, in particolare, rilevato che il principio dell’invarianza della retribuzione netta, con i meccanismi perequativi tratteggiati in sede negoziale, mira proprio a garantire la parità di trattamento, nell’ambito di un disegno graduale di armonizzazione, e non contrasta, pertanto, con il principio di eguaglianza, né determina la violazione del diritto a una retribuzione sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, in ragione del trattamento complessivo previsto e non già della ponderazione di una sua singola componente.
8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
9. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, l. n. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 -quater all’art. 13 D.P.R. n. 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Sez. U n. 4315/2020).
P.Q.M.
respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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