Corte di Cassazione sentenza n. 16106 depositata il 19 maggio 2022
provvigioni ad agenti – periodo di competenza
FATTI DI CAUSA
1. C. Italia r.l. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 274/29/11, depositata il 16/11/2011, che aveva accolto l’appello erariale contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, la quale aveva accolto il ricorso della predetta società avverso l’avviso d’accertamento relativo all’Irpeg, all’Irap ed all’Iva di cui all’anno d’imposta 2003.
Per quanto qui si controverte, l’atto impositivo aveva per oggetto due rilievi, entrambi in tema di illegittima detrazione di costi:
quelli corrisposti al fornitore estero C. Prod, poiché il contratto sul quale si fondava il rapporto tra le parti non comprendeva anche le prestazioni di <<consulenza ed assistenza per l’importazione di materie prime e prodotti ausiliari in Romania e per successiva riesportazione del prodotto finito in Italia», alle quali si riferivano i corrispettivi addebitati come costi e disconosciuti;
quelli costituiti da provvigioni da corrispondere agli agenti della società, che quest’ultima aveva imputato all’imponibile dell’anno d’imposta 2003, nel corso del quale essa aveva incassato i corrispettivi contrattuali dovuti dai clienti che le avevano procacciato gli agenti, mentre secondo l’Ufficio avrebbe dovuto, per competenza, dedurli al momento di conclusione del contratto con i clienti procacciati.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
Il Ministero dell’economia e delle finanze è rimasto intimato. La contribuente ha prodotto memoria.
1.1 Con ordinanza interlocutoria del 15 novembre 2016 questa Corte ha disposto l’acquisizione del fascicolo del giudizio d’appello che, nonostante il sollecito proveniente dalla cancelleria, non è stato trasmesso dall’ufficio di merito.
1.2 Con successiva ulteriore ordinanza interlocutoria del 16 marzo 2021, questa Corte ha ribadito che l’acquisizione del fascicolo del giudizio di merito (del quale la ricorrente aveva chiesto la trasmissione con l’istanza di cui all’art. 369, ult. co., cod. proc. civ.), ed in particolare dell’atto d’appello erariale; era necessaria ai fini della decisione del primo motivo, dando altresì atto che, sollecitata più volte dalla cancelleria, la segreteria della CTR di Roma ha infine risposto che il fascicolo in questione è stato sottoposto a scarto d’archivio e quindi distrutto.
A fronte dell’accertata distruzione del fascicolo d’ufficio, non imputabile alle parti, il Collegio ha quindi ritenuto che sussistesse la necessità di procedere alla ricostituzione dell’atto processuale in questione.
Relativamente alle modalità con le quali procedere al relativo incombente, la predetta ordinanza ha rilevato che « In materia, questa Corte ha già affermato che “In assenza di previsione di uno specifico procedimento nella disciplina del processo civile, è possibile, per procedere alla ricostituzione di atti giudiziari, applicare analogicamente le specifiche norme di cui agli artt. 112 e 113 cod. proc. pen. . L’applicazione analogica di tale disciplina, estensibile anche al giudizio di cassazione, si lascia preferire a quella dettata da altre disposizioni dell’ordinamento in generale per la ricostituzione di atti e documenti, ivi compresi quelli giudiziari, come il r.d.l. 15 novembre 1925, n. 2071, atteso che esso si riferisce ad eventi eccezionali di natura generale.” (Cass. 19/04/2010, n. 9269, in fattispecie relativa alla ricostituzione di una sentenza della Corte di cassazione andata smarrita; cfr. altresì Cass. 21/01/2019, n. 1524).».
Pertanto è stato concesso termine alla parte interessata per la produzione di copia dell’atto d’appello erariale, al quale era finalizzata l’acquisizione del fascicolo d’ufficio di merito distrutto.
Attesa poi l’esigenza di garantire il contraddittorio al pubblico ministero ed a tutte le parti (alle quali la distruzione sopravvenuta del fascicolo, con la conseguente necessità della ricostituzione, non era già nota), è stato concesso un ulteriore e successivo termine, per osservazioni sulla copia dell’atto eventualmente prodotta per la ricostituzione, utilizzando all’uopo lo strumento processuale di cui all’art. 384, terzo comma, cod. proc. civ.
1.3. Alla scadenza dei termini concessi, risulta che parte ricorrente ha prodotto copia dell’atto d’appello erariale, senza contestazioni della controparte e senza osservazioni del Procuratore Generale.
L’atto in questione, di natura processuale, è stato quindi ricostituito e può essere utilizzato ai fini della decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va dichiarato inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze. Infatti « In tema di contenzioso tributario, a seguito del trasferimento alle agenzie fiscali, da parte dell’art. 57; comma 1, del d.tgs. n. 300 del 1999, di tutti i “rapporti giuridici”, i “poteri” e le “competenze” facenti capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze, a partire dal primo gennaio 2001 (giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza dell’art. 1 del d.m. 28 dicembre 2000), unico soggetto passivamente legittimato è l’Agenzia delle Entrate, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione promosso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.» (Cass. 23/01/2020, n. 1462). Nulla sulle spese, essendo rimasto intimato il Ministero.
2. Con il primo motivo di ricorso la contribuente lamenta, ai sensi dell’art.360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2909 cod. civ.
Assume infatti la ricorrente che l’appello erariale non aveva attinto l’accoglimento del ricorso introduttivo anche in ordine al rilievo relativo ai costi, non inerenti, corrisposti al fornitore estero C. Prod.
Pertanto, sul relativo punto doveva ritenersi ormai conseguito il giudicato interno, che la società appellata aveva dedotto e che, comunque, la CTR avrebbe dovuto rilevare. Viceversa, accogliendo integralmente l’appello e caducando integralmente la sentenza di primo grado favorevole al contribuente, la sentenza impugnata aveva violato l’art. 2909 cod. civ.
Il motivo denuncia invero un errore in procedendo, per aver pronunciato la CTR ultra petita, accogliendo l’appello erariale con una formula senza riserve e tale da caducare integralmente la sentenza impugnata, nonostante l’Amministrazione non avesse appellato la statuizione della CTP nella parte in cui quest’ultima aveva ritenuto fondato il ricorso introduttivo della contribuente relativamente al rilievo sui corrispettivi pagati al fornitore estero C. Prod.
La natura processuale della censura consente alla Corte di esaminare il contenuto dell’appello erariale, già richiamato dalla contribuente nel ricorso e nella successiva memoria, ed infine acquisito all’esito della ricostituzione dello stesso atto, di cui si è già detto.
Tanto premesso, il motivo è fondato.
Infatti, la lettura dell’appello erariale evidenzia come i motivi dell’impugnazione di merito si siano concentrati sul rilievo attinente i costi rappresentati dalle provvigioni da corrispondere agli agenti della contribuente.
Viceversa, il dispositivo della sentenza d’appello, coordinato con la relativa motivazione (nella quale si fa riferimento all’importo complessivo ed unitario dei costi oggetto di ambedue i rilievi, senza distinzioni tra le due componenti negative), accredita la tesi di una riforma totale della decisione di primo grado, che è quindi stata resa ultra petita ed in violazione del giudicato interno (peraltro rilevabile d’ufficio a prescindere dalle controdeduzioni dell’appellata contribuente: ex p/urimis Cass. 03/04/2017, n. 8607).
In parte qua, quindi, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ex art. 382, terzo comma, ultimo periodo, cod. proc. civ., giacché, sul rilievo in questione, il giudizio non avrebbe dovuto proseguire in appello, essendo passata in giudicato la decisione di primo grado favorevole alla contribuente.
3. Con il secondo motivo di ricorso la contribuente lamenta, ai sensi dell’art.360, primo comma, 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 109, secondo comma, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Assume infatti la ricorrente che nell’imputare all’anno d’imposta accertato il costo relativo alle provvigioni spettanti agli agenti della società, disconosciuto dall’Amministrazione per violazione del principio di competenza, essa si è attenuta al principio, riconosciuto anche dalla prassi amministrativa, secondo cui sarebbe determinante il momento nel quale va a buon fine l’affare procacciato, ovvero quando il preponente esegua la prestazione di cui al contratto procacciato dall’agente.
Il motivo è fondato.
Invero la stessa Agenzia, nella Risoluzione del 12/07/2006 n. 91 (citata dalla ricorrente), con riguardo all’esatta individuazione, in capo all’impresa preponente, del periodo di competenza delle provvigioni passive corrisposte nell’ambito di un contratto di agenzia di cui agli articoli 1742 e ss. del codice civile, ricorda che la precedente risoluzione n. 115/E del 2005 (richiamata dalla controricorrente), secondo cui l’impresa preponente può procedere alla deduzione del costo a tale titolo sostenuto nell’esercizio di stipula del contratto promosso dall’agente, era sì fondata sull’art. 109, comma 2, lettera b), d.P.R. n. 917 del 1986, ed individuava, con riferimento al momento della relativa ultimazione della prestazione dell’agente (che faceva appunto coincidere con quello della stipula negoziale tra preponente e cliente procacciato), anche il periodo d’imposta di competenza nel quale le provvigioni passive concorrono, quali componenti negativi, alla formazione del reddito imponibile del mandante.
Tuttavia, aggiunge la risoluzione del 2006, tale affermazione è esaustiva solo nell’eventualità in cui il periodo d’imposta nel quale si verifica la conclusione del contratto promosso dall’agente coincida con il periodo d’imposta in cui il preponente, adempiendo la propria prestazione, imputi a conto economico il relativo ricavo.
Pertanto, tale criterio non può assumere una valenza generale, « atteso che il generale principio della competenza di cui all’articolo 109, comma 2 del TUIR, deve essere applicato in combinazione con il corollario della correlazione, secondo cui i costi devono essere correlati con i ricavi dell’esercizio. Come riconosciuto dai corretti principi contabili, detta correlazione vale ad affermare la necessità che ai ricavi dell’esercizio siano contrapposti i relativi costi ».
Pertanto, è stata affermata la necessità di individua.re, in via preliminare, la competenza dei ricavi per poi permettere la deduzione, nello stesso periodo di imposta, dei costi ad essi relativi (cfr. Risoluzione n. 5/E del 10 gennaio 2002), poiché, essendo il principio di correlazione intrinseco in quello di competenza, al fine di individuare correttamente il principio di competenza fiscale di cui al citato articolo 109, non si può prescindere dal concetto di correlazione civilistico-contabile tra produzione del reddito e costi correlati.
Conclude quindi la Risoluzione n. 91 del 12/07/2006 che «le provvigioni passive, corrisposte dall’impresa preponente in dipendenza di un contratto di agenzia, sono di competenza del medesimo esercizio in cui rilevano i ricavi per cui le medesime provvigioni sono dovute. Una volta verificata la corretta correlazione civilistica, il costo relativo alle provvigioni passive avrà il medesimo trattamento anche dal punto di vista fiscale, sempre che, ovviamente, siano rispettati gli ulteriori criteri che il legislatore fiscale ha il legislatore · fiscale ha ritenuto opportuno individuare espressamente: ci si riferisce, in particolare, ai requisiti della certezza e della determinabilità in modo obiettivo di cui al più volte citato articolo 109, comma 1, TUIR.».
Nella sostanza, quindi, il contribuente può dedurre fiscalmente il costo delle provvigioni passive nel periodo d’imposta (o nei periodi d’imposta) di iscrizione dei ricavi “procurati” dall’agente, sempre che, naturalmente, in tale esercizio siano rispettati i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità di cui al predetto art. 109, primo comma, d.p.r. n. 917 del 1986.
In questo senso si è pronunciata anche la giurisprudenza di legittimità, secondo cui le provvigioni spettanti all’agente sono deducibili, in capo al preponente, nel periodo d’imposta in cui il contratto promosso dall’agente viene eseguito ( o avrebbe dovuto essere eseguito) da parte del preponente (Cass. 15.10.2013, n. 23321, in motivazione, al punto 1.1.,·che richiama Cass. 29/04/2011, n.9539, secondo cui non è possibile invocare il collegamento tra nascita del diritto alla provvigione in capo all’agente e diritto del preponente a dedurre il costo della provvigione, che va invece collegato con l’esecuzione, o l’obbligo di esecuzione, del contratto).
La specificità del contratto di agenzia – nel quale, ex art. 1748, quarto comma, cod. civ., salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo- evidenzia come la soluzione appena prospettata sia solo apparentemente diversa, in termini di competenza fiscale, rispetto a quella recentemente adottata da questa Corte a proposito della provvigione spettante all’ “intermediario”.
E’ stato infatti ritenuto che «In tema di determinazione del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 109 (già art. 75) T.U.I.R. “le spese di acquisizione dei servizi” sono da imputare e si considerano sostenute nell’esercizio nel quale la prestazione di servizi “è ultimata” sicché, nel caso di conclusione di un contratto “a effetti obbligatori” (nella specie, preliminare di compravendita immobiliare), il costo corrisposto all’ intermediario, in assenza di clausole sospensive della debenza della provvigione rilevante fiscalmente, deve essere imputato secondo il criterio di competenza, da individuarsi nel momento in cui lo stesso, essendo stato stipulato il preliminare, possa ritenersi certo e determinato, avendo il mediatore ultimato la propria attività.» (Cass. 23/07/2020, n. 15752, citata dalle conclusioni del Procuratore generale).
Invero, il condizionamento della debenza della provvigione, che nel caso. dell’ultimo arresto giurisprudenziale citato costituiva una mera eventualità, nel contratto tipico d’agenzia costituisce invece un effetto naturale (il c.d. salvo buon fine) ex art. 1748, quarto comma, cod. civ., certamente derogabile, ma che nella fattispecie sub iudice non è stato allegato sia stato derogato. Per effetto del ridetto art. 1748, quarto comma, cod. civ., e del principio di correlazione (corollario del principio di competenza, che impone di stabilire innanzitutto la competenza dei ricavi e poi quella dei costi ad essi direttamente afferenti), la provvigione può quindi essere dedotta nello stesso periodo d’imposta nel quale i relativi ricavi concorrono a formare il reddito d’impresa del preponente, giacché è in quel momento che essa ha lo stesso grado di certezza, nell’ an e nel quantum, che caratterizza i ricavi.
Pertanto il motivo va accolto e la sentenza impugnata va cassata, in parte qua con rinvio al giudice d’appello che provvederà ai necessari accertamenti in fatto, applicando il principio di diritto secondo cui
<< In materia di determinazione del reddito d’impresa, il preponente può dedurre fiscalmente il costo delle provvigioni passive nel periodo d’imposta in cui i ricavi “procurati” dall’agente concorrono a formare il reddito del medesimo preponente, sempre che in tale esercizio siano rispettati i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità di cui ali’ art. 109, primo comma, d.P.R. n. 917 del 1986 ».
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze; accoglie il ricorso nei confronti dell’Agenzia delle entrate e cassa la sentenza impugnata, rinviando, nei limiti di cui in motivazione, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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