Corte di Cassazione ordinanza n. 16518 depositata il 23 maggio 2022
disapplicazione delle sanzioni – divieto di introdurre una domanda nuova in appello
RILEVATO CHE:
1. L’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi contro la società Costruzioni generali Sycic p.A., che resiste con controricorso, avverso la sentenza n.6038/35/14, pronunciata il 24/9/2014, depositata in data 10/10/2014, con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto l’appello della contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa della cartella di pagamento per Irap 2006, oltre interessi e sanzioni.
2. Con la sentenza impugnata, la C.t.r. riteneva che ricorresse nel caso di specie un’oggettiva situazione di incertezza normativa, in relazione alla compatibilità con il diritto comunitario della normativa “introduttiva” dell’Irap; pertanto alla contribuente, che aveva ritardato il pagamento, non dovevano essere applicate le sanzioni.
La C.t.r. riteneva, inoltre, assorbite le altre questioni, relative alla legittimità costituzionale dell’art.1, comma 3, d.l. n. 106/2005, nonché quelle sulla spettanza dei benefici della riduzione delle sanzioni.
3. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 21 aprile 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
CONSIDERATO CHE:
1.1 Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt.57 lgs. 31 dicembre 1992,n. 546, 345 cod. proc. civ. e dei principi in tema di ultrapetizione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
Secondo la ricorrente, la C.t. r. si sarebbe pronunciata sull’applicazione dell’esimente senza rilevare che la relativa domanda era stata avanzata dalla contribuente per la prima volta in appello.
Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt.6, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997 n.472, 10,
comma 3, I. 27 luglio 2000 n.212, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
La ricorrente ha rilevato che <<la C.t. r. ha deciso la causa considerando tamguam non esset la parte della norma che prescrive un rapporto di causalità tra l’incertezza normativa e la violazione commessa, applicando pertanto falsamente la norma dell’art. 10 dello statuto del contribuente a situazioni in cui l’incertezza non è riferita alla norma presidiata dalla sanzione amministrativa>>.
Invero, a detta dell’Agenzia, il caso di specie non dovrebbe essere sussunto nella fattispecie di cui all’art. 10 citato, in quanto <<la condotta sanzionata è la violazione del termine di pagamento dell’Irap, mentre della debenza dell’imposta la contribuente non ha dubitato in concreto, tentando anzi il ravvedimento operoso ( … ) > >, sicché <<l’incertezza sulla debenza dell’Irap, affermata dalla C.t.r., non ha alcun rilievo sulla violazione poiché l’ipotizzato errore del contribuente non andrebbe a cadere sulla disciplina del tributo, ma su quella del termine di pagamento>>.
Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt.6, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997 n.472, 10, comma 3, I. 27 luglio 2000 n.212, 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
La ricorrente, invero, lamenta che la CTR abbia ritenuto applicabile al caso in esame l’esimente nella ricorrenza delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e l’ambito di applicazione della norma, derivanti dalla pendenza dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nel corso del termine per effettuare l’adempimento dell’imposta, della causa relativa alla compatibilità dell’Irap con le norme ed i principi comunitari, nonché dal fatto che due Avvocati Generali della stessa Corte avessero rassegnato conclusioni sfavorevoli alla compatibilità di tale imposta con la VI Direttiva Iva ed infine dal fatto che dottrina e giurisprudenza avessero assunto posizioni discordanti sul punto.
1.2 Il primo ed il terzo motivo sono fondati, con conseguente assorbimento del secondo.
Con riferimento al primo motivo si osserva che <<in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme fiscali, il potere del giudice tributario di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni, per errore sulla norma tributaria, in caso di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della stessa, presuppone una domanda del contribuente formulata nei modi e nei termini processuali appropriati, che non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello>> (Cass. n. 15406/2021).
Secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, l’accertamento della sussistenza della oggettiva incertezza dell’interpretazione normativa, ai fini della disapplicazione delle sanzioni, può essere operata dal giudice tributario solo in presenza di domanda del contribuente, la quale non può, pertanto, essere formulata per la prima volta in sede di appello o in sede di legittimità (cfr. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14402 del 14/07/2016 e, in passato, Cass. nn. 22890/2006; Cass. 25676 del 2008; Cass. 7502/2009; Cass. 8823 e 4031 del 2012; Cass. 24060 del 2014; Cass. 440 e 9335 del 2015).
Nella fattispecie, detta richiesta è stata pacificamente formulata, per la prima volta, in appello dalla società contribuente, pertanto il giudice di merito non poteva tenerne conto.
Sul punto, va richiamato il consolidato principio, in virtù del quale, all’inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova in appello (o un’eccezione nuova non rilevabile d’ufficio), ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. e, per il giudizio tributario, dell’art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992, corrisponde l’obbligo del giudice di secondo grado di non esaminare nel merito tale domanda (l’inosservanza di tale obbligo, peraltro, è rilevabile d’ufficio in sede di legittimità, poiché costituisce una preclusione all’esercizio della giurisdizione, che può essere verificata nel giudizio di cassazione, anche d’ufficio, non rilevando in contrario neppure che l’appellato abbia accettato il contraddittorio sulla domanda anzidetta -Cass. nn. 11202 del 2003, 12417 e 19605 del 2004, 28302 del 2005).
Questa Corte, superando il remoto orientamento contrario (Cass. 4053/2001), ha statuito che la disapplicazione da parte del giudice delle sanzioni per violazioni di norme tributarie, qualora abbia accertato che le stesse sono state commesse in presenza ed in connessione con una situazione di oggettiva incertezza nell’interpretazione normativa, è possibile, anche in sede di legittimità, solo se domandata dal contribuente nei modi e nei termini processuali appropriati (Cass. n. 25676 del 2008; cfr. anche Cass. n. 24060 del 2014 ed altre pronunce sopra citate).
Deve, quindi, ribadirsi il principio secondo cui, anche in materia di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, il contribuente che, a sua esimente, alleghi di essersi solo conformato alle indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria, è tenuto a dedurre tempestivamente la relativa questione nel giudizio, la quale non può essere proposta per la prima volta in appello in quanto soggetta all’ordinario principio della domanda e non rilevabile d’ufficio (cfr. Cass. n. 1570 del 28/01/2015).
In conclusione, il primo motivo di ricorso va accolto, assorbiti il secondo ed il terzo, la sentenza impugnata va cassata, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, il ricorso originario del contribuente va rigettato.
Invero, le ulteriori eccezioni della contribuente, relative alla spettanza dei benefici e ritenute assorbite dal giudice di appello, sono state affrontate e risolte con ordinanza di questo collegio, che nell’odierna camera di consiglio ha deciso analoga questione pendente tra le stesse parti (ricorso n.4100/2014 R.G.).
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del doppio grado del giudizio di merito, atteso il consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale citato solo successivamente alla proposizione del ricorso introduttivo.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente;
compensa le spese del doppio grado del giudizio di merito;
condanna la società contribuente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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