CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 luglio 2022, n. 22495
Rapporto di lavoro a tempo determinato – Operaio agricolo – Indennità di disoccupazione – CCP per gli operai agricoli e florovivaisti – Salario di riferimento – Importo comprensivo del c.d. terzo elemento
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 18 maggio 2015 A.S. ha adito il Tribunale di Palmi, esponendo di avere lavorato come operaio agricolo a tempo determinato per l’anno 2013 per 102 giornate e di avere percepito la somma di €1.747,58 a titolo di indennità di disoccupazione calcolata sul salario di riferimento per l’indicato anno 2013 pari ad €47,07.
Egli ha chiesto che gli fosse riconosciuto il diritto al pagamento dell’indennità di disoccupazione agricola per l’anno 2013 parametrata al salario minimo contrattuale previsto dal contratto provinciale di lavoro degli operai agricoli e florovivaisti della Provincia di Reggio Calabria del 14 marzo 2013, pari ad € 56,04, con condanna dell’INPS a versare in suo favore la somma dovuta, detratto quanto da lui ricevuto a titolo di disoccupazione agricola per l’anno 2013.
Il ricorrente ha domandato, altresì, che fosse accreditata sulla sua posizione assicurativa a titolo di contribuzione figurativa una somma pari a quella dovuta per la medesima prestazione, con condanna dell’INPS ad aggiornare la detta posizione assicurativa. Il Tribunale di Palmi, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1461 del 2017, ha respinto il ricorso, ritenendo che l’interpretazione del contratto collettivo provinciale di lavoro prospettata dal ricorrente fosse errata in quanto l’importo indicato era comprensivo del c.d. terzo elemento.
A.S. ha proposto appello che la Corte d’appello di Reggio Calabria, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 380/2019, ha respinto.
A.S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
L’INPS ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonché dell’art. 49 CCNL per gli operai agricoli e florovivaisti del 25 maggio 2010 e dell’art. 14 CCP per gli operai agricoli e florovivaisti della provincia di Reggio Calabria del 14 marzo 2013, per avere la Corte territoriale ritenuto che il salario contrattuale indicato dal contratto collettivo provinciale in esame non dovesse essere maggiorato del 30,44% a titolo di c.d. terzo elemento, in quanto il valore della retribuzione prevista dal medesimo contratto per gli operai agricoli a tempo determinato sarebbe già stato calcolato in modo comprensivo del terzo elemento stesso.
La doglianza è inammissibile.
Infatti, la corte territoriale ha ritenuto, sulla base di un’interpretazione complessiva condotta ex art. 1363 c.c. e fornendo una motivazione ampia, completa e logica, che la retribuzione indicata per gli operai agricoli a tempo determinato nell’art. 14 del contratto collettivo provinciale del 14 marzo 2013 fosse già comprensiva del terzo elemento, calcolato quale maggiorazione del 30,44% della retribuzione spettante agli operai a tempo indeterminato.
Pertanto, considerato che nell’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune ruolo preminente deve essere assegnato alla regola di cui all’art. 1363 c.c. citato, stante la natura complessa e particolare dell’iter formativo della contrattazione sindacale, la non agevole ricostruzione della comune volontà delle parti contrattuali attraverso il mero riferimento al senso letterale delle parole, l’articolazione della contrattazione su diversi livelli, la vastità e complessità della materia trattata in ragione dei molteplici profili della posizione lavorativa e, da ultimo, il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni industriali, che include il ricorso a strumenti sconosciuti alla negoziazione tra parti private quali preamboli, premesse, note a verbale ed il riferimento constante a prassi (Cass., Sez. L, n. 11834 del 21 maggio 2009), nessuna violazione dei canoni ermeneutici menzionati nel ricorso può rimproverarsi alla sentenza impugnata.
Inoltre, deve tenersi conto che l’Interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica e per vizi di motivazione, restando escluso che possa ritenersi ammissibile la censura consistente nella mera contrapposizione di un’interpretazione ritenuta più confacente alla aspettativa della parte a quella accolta nella sentenza impugnata (Cass., Sez. L, n. 3207 del 18 febbraio 2004).
2) Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 32, legge n. 264 del 1949, dell’art. 3, d.l. n. 942 del 1977 (conv. dalla legge n„ 41 del 1978), e dell’art. 8, legge n. 155 del 1981, per avere la corte territoriale rigettato la domanda volta alla consequenziale riliquidazione della contribuzione figurativa accreditatale per i periodi di disoccupazione.
Con il terzo motivo A.S. censura la sentenza impugnata per avere rigettato l’appello, con conseguente esonero dell’INPS dall’obbligo di rifondere le spese di lite.
Il mancato accoglimento del primo motivo rende non necessaria la pronuncia in ordine al secondo ed al terzo.
3) Con II quarto motivo, il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. per avere la corte territoriale ritenuto che il deposito in grado di appello della dichiarazione reddituale prevista da quest’ultima disposizione non comportasse la compensazione delle spese anche del primo grado del giudizio.
La doglianza è infondata.
Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio così massimato: “In tema di esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali, l’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo modificato dall’art. 42, comma 11, del d.l. n. 269 del 2003, conv. con modif. in I. n. 326 del 2003, va interpretato nel senso che della ricorrenza delle condizioni di esonero deve essere dato conto nell’atto introduttivo del giudizio, cosicché la dichiarazione resa in grado successivo al primo non può comportare per la parte, che non l’abbia allegata al giudizio di primo grado, l’esonero dalle spese di quel procedimento, atteso che la legge riconnette a tale dichiarazione un’assunzione di responsabilità che, oltre ad essere personalissima e non delegabile al difensore, segna il punto di bilanciamento tra l’esigenza di assicurare l’effettivo accesso alla tutela di diritti costituzionalmente garantiti e quella di prevenire e reprimere gli abusi tramite controlli, questi ultimi chiaramente preclusi ove si consentisse l’ingresso nel processo di dichiarazioni autocertificative per il passato” (Cass., Sez. L, n. 40400 del 16 dicembre 2021).
Non sussistono valide ragioni per discostarsi da tale giurisprudenza.
4) Il ricorso va rigettato.
Nessuna pronuncia deve essere emessa in ordine alle spese di lite del giudizio di legittimità ex art. 152 disp. att. c.p.c.
Sussistono i presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile (Cass., Sez. 6-L, n. 1778 del 29 gennaio 2016), se dovuto.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– al sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
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