CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 1209 depositata l’ 11 gennaio 2024

Lavoro – Risarcimento – Illegittimo recesso anticipato da contratti a progetto – Revoca del finanziamento regionale – Differente interpretazione delle previsioni contrattuali – Non disapplicabile la delibera in quanto atto privatistico – Rigetto – motivazione omessa o apparente che ricorre allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento

Fatti di causa

La Corte di appello di Catanzaro con la sentenza n.520/20 aveva accolto parzialmente il ricorso di A. – (…) per la Calabria-avverso la decisione con cui il tribunale di Cosenza aveva condannato l’Azienda a pagare a G.A., C.P., L.F.A., L.C., S.E.F. le somme (singolarmente indicate nel dispositivo della impugnata decisione) a titolo di risarcimento per l’illegittimo recesso ante tempus dai contratti a progetto stipulati con i suddetti.

La Corte territoriale riteneva illegittimo il recesso anticipato (comunicato il 6 ottobre 2016 ) per il periodo 10.8.2015- 9.8.2016 allorchè solo in tale ultima data si era concretizzata, con la Delibera regionale, la causa di risoluzione dei contratti in questione per cessazione del finanziamento del progetto. Il giudice d’appello, valutando che il recesso non poteva essere ad effetto retrodatato, limitava in tal modo il danno, peraltro confermando che nel periodo su indicato la sospensione del progetto e della prestazione disposta dall’A. era da ritenersi illegittima non trovando essa giustificazione nelle disposizioni contrattuali. A tal fine valutava che la scadenza del contratto era fissata al 30.6.2017 e che le parti potevano recedere anticipatamente (art 12) solo per una giusta causa, quale la sospensione o cessazione del finanziamento del progetto avvenuta con delibera del 9.8.2016.

La Corte escludeva l’applicazione alla fattispecie del disposto dell’art. 9 del contratto poiché nel periodo in questione (10.8.2015- 9.8.2016) non si era verificata una prestazione non pagata, ma una sospensione di fatto del rapporto non prevista e dunque illegittima.

Avverso detta decisione l’A. proponeva ricorso affidato a 4 motivi.

I controricorrenti rimanevano intimati.

L’Ufficio della Procura Generale depositava memoria.

Ragioni della decisione

1)-Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione di legge (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) con riguardo agli artt. 1362, 1363, 1341, 1256, 1218, 1176, 1206 c.c.; si assume, in particolare, l’erronea interpretazione delle clausole del contratto a progetto e la sua impossibilità temporanea, poi definitiva, per factum principis; si rileva inoltre che ai lavoratori era nota la clausola che subordinava il pagamento della prestazione all’erogazione dei finanziamenti regionali, oltre che non sia stato considerato che la sospensione era contenuta nell’art. 12 del contratto quale causa di recesso anticipato.

2)-Con il secondo motivo la sentenza impugnata viene censurata per violazione di legge ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c.; si lamenta la contraddittorietà e l’apparenza della motivazione con riguardo a quanto statuito dall’art. 9 del contratto, ossia che in caso di recesso anticipato fosse pagata solo la prestazione effettuata, e al riconoscimento di danno da mancata retribuzione per una prestazione mai svolta.

3)-Con il terzo motivo si deduce violazione di legge per omesso esame di fatto decisivo (art. 360, co. 1. n. 5, c.p.c.), essendo la legittimità della sospensione determinata dalla mancanza di risorse regionali, così come la risoluzione.

3-a)-I primi tre motivi possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione.

Essi non sono fondati, quanto ai lamentati vizi di interpretazione del contratto di lavoro a progetto, perché la Corte di merito ha dato atto del contenuto dello stesso ed ha valutato, in fatto, che la sospensione del rapporto non era sorretta da alcuna precedente determinazione di sospensione dei finanziamenti, mentre la cessazione dei finanziamenti era stata attestata solo con la delibera della Giunta regionale del 2016. Ha, pertanto, ritenuto il periodo di sospensione non coperto, per così dire, da alcuna valida giustificazione, se non espressa a posteriori, e dunque che non potesse farsi valere retroattivamente la delibera del 2016, produttiva di effetti solo dal momento della sua emanazione.

A tale interpretazione del contratto e dei suoi effetti giuridici, congruamente e logicamente motivata nella sentenza impugnata, parte ricorrente contrappone la propria differente interpretazione delle previsioni del contratto in materia di risoluzione del rapporto per revoca del finanziamento regionale, includendovi anche il periodo in cui essa non era stata formalmente disposta; ciò in contrasto con il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità (tra le molte, Cass. n. 3964/2019), secondo cui, in tema di interpretazione del contratto, quella data dal giudice non deve invero essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra.

E’ parimenti consolidato il principio, secondo cui, posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in un’indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. n. 9461/2021; cfr. anche Cass. n. 4460/2020).

Rispetto a tali principi non colgono nel segno le doglianze di motivazione omessa o apparente (che ricorre allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento – cfr. Cass. n. 9105/2017; conf. Cass. n. 20921/2019), avendo la Corte di merito chiaramente illustrato i motivi del diverso rilievo, ai fini risarcitori, assegnato alla sospensione del rapporto, non essendo provata la coeva cessazione del finanziamento regionale e non essendo la sospensione del contratto prevista dallo stesso, rispetto alla sua risoluzione di un anno successiva, essendo (solo allora) stato dimostrato, perché deliberato dalla Giunta regionale, l’avveramento della condizione risolutiva del contratto a progetto. Nessun profilo di contraddizione è dunque ravvisabile nella impugnata pronuncia, con ciò risultando differente rispetto ad altro precedente pure valutato da questa Corte di legittimità (Cass.n. 21846/2022).

Neppure meritevoli di accoglimento risultano le censure di omesso esame di fatti decisivi, che si risolvono in una critica del governo delle prove, attività spettante ai giudici di merito (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20814/2018, n. 20553/2021).

4)- Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 63 D.lgs n. 165/2001 con riguardo alla natura della deliberazione n. 344/2016 (dispositiva dello scioglimento dei contratti a termine in questione), trattandosi di atti dispositivi del rapporto di lavoro che il giudice del lavoro avrebbe dovuto disapplicare.

Anche tale censura deve essere disattesa: la corte di merito ha ritenuto di non poter “disapplicare” la delibera n. 344 in quanto non di atto amministrativo si trattava ma di atto privatistico di gestione del rapporto di lavoro. Parte ricorrente con l’attuale censura reitera la richiesta di disapplicazione anche evidenziando che il giudice ordinario “può” disapplicare l’atto amministrativo. Deve osservarsi che la censura non coglie il senso del dictum del giudice di appello e non risulta decisiva rispetto ad una differente soluzione della controversia, attesa la interpretazione data alle clausole contrattuali in discussione, come sopra rilevato.

Il ricorso, per le esposte ragioni, deve essere pertanto rigettato.

Nulla per le spese. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.