CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 settembre 2022, n. 27360
Lavoro – Socio amministratore di cooperativa – Difetto di eterodirezione – Natura subordinata del rapporto – Esclusione
Considerato che
con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o mancata applicazione delle disposizioni contenute nella L. 142/2001, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., evidenziando l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello applicando alla fattispecie (relativa a socio lavoratore di cooperativa), principi giurisprudenziali inerenti a società di persone, senza tenere conto della peculiare disciplina e regolamentazione della figura del socio lavoratore di cooperativa;
con il secondo motivo, si censura la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. in quanto il giudice d’appello avrebbe esaminato solo in parte gli elementi probatori offerti, omettendo di esaminare i documenti e le dichiarazioni testimoniali che dimostrerebbero l’esistenza, anche ai fini previdenziali, dì un rapporto di lavoro subordinato tra il Sig. I.A. e la coop. agr. L.4.S.;
il terzo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., in quanto l’aver (erroneamente) ritenuto impeditiva – ai fini della configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato — l’esistenza di un potere decisionale in capo ai soci lavoratori della coop. agricola L.4.S., avrebbe, in maniera decisiva, inciso sull’iter logico seguito dalla Corte d’Appello, inducendola a non esaminare compiutamente e non motivare in merito alle risultanze delle prove testimoniali dalle quali è emersa la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra la medesima cooperativa ed il socio lavoratore I.A.;
con il quarto motivo, in via subordinata, si denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in ordine al capo relativo alla regolazione delle spese processuali, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto il giudice d’appello, pur accogliendo parzialmente l’impugnazione, ha condannato la cooperativa(parzialmente) vittoriosa al pagamento dei due terzi delle spese dell’intero giudizio;
il primo motivo è inammissibile in quanto non esplicita alcuna affermazione della sentenza impugnata che violi la 1. n. 142 del 2001; in particolare, il motivo, in via astratta, denuncia la violazione della legge citata senza considerare che la sentenza impugnata non ha negato la possibile esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra socio lavoratore e cooperativa ma lo ha escluso nel concreto, trattandosi di socio amministratore e per difetto di eterodirezione;
non si configurano quindi le violazioni di legge denunciate, che, alla stregua di errores in iudicando, dovrebbero essere integrate dalla deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicante un problema interpretativo; non invece, come appunto nel caso di specie, dall’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), ovviamente nei limiti del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
peraltro, la sentenza impugnata ha esattamente applicato i criteri generali ed astratti di individuazione e determinazione del carattere della subordinazione (sia pure attenuata come quella del dirigente: Cass. 13 febbraio 2020, n. 3640), da applicare al caso concreto, soli sindacabili in sede di legittimità, invece costituendo accertamento di fatto, incensurabile in tale sede ove congruamente motivata, la relativa valutazione (Cass. 14 maggio 2011, n. 9808, con affermazione del principio ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., comma 1; Cass. 7 ottobre 2013, n. 22785);
il principio di compatibilità di un rapporto di lavoro subordinato fra un membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, ovvero dell’amministratore delegato e la società stessa, poggia sulla prova della sussistenza del vincolo di subordinazione e pertanto della soggezione, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso (Cass. 6 novembre 2013, n. 24972; Cass. 30 settembre 2016, n. 19596), di cui ha peraltro escluso la dimostrazione;
non sussistono gli ulteriori vizi denunciati sotto il profilo di omesso esame, in presenza di cd. doppia conforme quanto all’accertamento in fatto posto in essere sia in primo che in secondo grado, ed in difetto di precisa individuazione del fatto storico non esaminato, alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);
tanto meno si configura la violazione delle norme denunciate in materia di prova, posto che, in particolare, l’art. 115 c.p.c. è violato in presenza di un errore di percezione, che cada sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, in contrasto con il divieto di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. 12 aprile 2017, n. 9356); ed è evidente che tali ipotesi non ricorrano nel caso di specie; le doglianze si risolvono in una contestazione, sulla base di un autonomo percorso argomentativo, della valutazione probatoria del giudice e in una diversa ricostruzione del fatto, incensurabili in sede di legittimità, laddove congruamente argomentati (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013, n. 24679; Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404): tanto meno alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal cui più rigoroso ambito devolutivo è esclusa la valutazione delle risultanze istruttorie;
ancora, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione ( vd. da ultimo Cass. n. 6774 del 2022);
l’ultimo motivo, del resto formulato in via subordinata, è infondato stante la parziale soccombenza e la consequenziale piena legittimità della parziale compensazione e della condanna per la restante parte;
in definitiva, il ricorso è infondato e va rigettato;
nulla va disposto per le spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva da parte dell’INPS.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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