CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 30462 depositata il 2 novembre 2023

Lavoro – Licenziamento disciplinare – Abuso dei permessi ex art. 33 L. n. 104/1992 – Legittimità del controllo datoriale dell’utilizzo improprio dei permessi a mezzo di agenzie investigative – Mancata prestazione di assistenza al disabile – Residenza del disabile in Comune diverso da quello del lavoratore – Mera ospitalità – Rigetto – la presunzione c.d. semplice, ossia alla prova indiziaria (art. 2729 c.c.), ha la stessa dignità e rilevanza processuale degli altri mezzi di prova c.d. libera, affidata al prudente apprezzamento del giudice

Rilevato che

1.- C.G. aveva lavorato alle dipendenze di ST M. srl fino all’11/06/2013, data in cui era stato licenziato per giusta causa per ragioni disciplinari, rappresentate dall’aver abusato dei permessi ex art. 33 L. n. 104/1992 nei turni di lavoro ricadenti nei giorni 18 e 19 novembre 2012, 09 e 10 febbraio 2013, 24 febbraio 2013, 5 e 6 maggio 2013, 11 e 12 maggio 2013, 16 e 17 maggio 2013.

2.- Il Tribunale di Catania rigettava l’impugnazione del licenziamento sia nella fase sommaria, sia nella fase di opposizione, ritenendo attendibili le prove documentali prodotte dalla società e invece inattendibili le prove testimoniali addotte dal lavoratore, ferma restando la tardività della contestazione disciplinare relativamente agli episodi dei giorni 18 e 19 novembre 2012, 09 e 10 febbraio 2013 e 24 febbraio 2013.

3.- La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza in epigrafe, rigettava il reclamo proposto dal C..

Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:

a) è passato in giudicato, in quanto non impugnato con il reclamo, il capo della sentenza con cui il Tribunale ha evidenziato che con l’opposizione non era stata investita anche quella parte dell’ordinanza che aveva rigettato la domanda di nullità del licenziamento perché ritorsivo per ragioni sindacali e perché ingiurioso, nonché la domanda di risarcimento del relativo danno;

b) il controllo datoriale finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi ex art. 33 L. n. 104/1992 a mezzo di agenzie investigative è legittimo, in quanto effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale relativa alla prestazione lavorativa (Cass. n. 9749/2016);

c) è pacifico che nel periodo controverso la nonna del reclamante risiedeva unitamente al marito, a sua volta gravemente disabile (cieco, sordo e cardiopatico come si legge nella lettera di giustificazioni del reclamante) in comune (Catania) diverso da quello di residenza del reclamante (Aci Catena);

d) è stato contestato che l’11 maggio 2013, chiesto il permesso per il turno dalle ore 22,00 alle ore 06,15, il C. era rientrato presso la propria abitazione e vi era rimasto tutta la notte; stessa condotta viene contestata per il giorno 16 maggio 2013;

e) dunque è evidente che oggetto della contestazione disciplinare è la mancata prestazione di assistenza al disabile, quale conseguenza del fatto di trovarsi in luoghi diversi dalla residenza del soggetto protetto nelle fasce orarie coincidenti con i turni e ciò con riguardo a tutti gli episodi contestati;

f) essendo dunque pacifico che il reclamante, nei giorni oggetto di contestazione, nella fascia oraria corrispondente al turno di servizio non si trovava nell’abitazione del soggetto disabile sita in Catania, ma a casa propria, null’altro doveva dimostrare il datore di lavoro, poiché da ciò deriva la presunzione di mancata prestazione di assistenza al disabile;

g) nelle sue giustificazioni scritte il C. ha ammesso che in tali occasioni non si trovava nell’abitazione del disabile e ciò ha giustificato sostenendo che invece fosse la disabile a trovarsi nell’abitazione del reclamante;

h) dunque non vi è quella “non contestazione” del fatto che la nonna fosse ospite a causa sua, invocata infondatamente dal C.;

i) neppure può dubitarsi che oggetto della contestazione disciplinare sia stata la mancata assistenza dl disabile per la quale sono stati chiesti i permessi;

j) quindi era onere del C. dare la prova contraria atta a superare la presunzione della mancata assistenza, ossia dimostrare non solo che il soggetto disabile si trovasse ospite a casa sua, ma pure di aver fornito assistenza morale e materiale, che non è integrata dalla mera ospitalità;

k) il collegio condivide la valutazione di inattendibilità del testi Scalia (moglie del C.) e Romano (amico del C.), perché sono caduti in contraddizione quando hanno riferito di quale fosse la sorte del nonno del reclamante, che – secondo la versione del C. – pur gravemente disabile a sua volta, restava da solo a casa per i tre o quattro giorni in cui la nonna andava ospite a casa del C., avendo riferito il secondo che vi era una badante, invece esclusa dalla prima; inoltre, poiché è emerso che quando andava la nonna a casa del reclamante si recava anche la madre di questi, considerate le stanze da letto disponibili non si comprende dove potesse dormire il C.;

l) inoltre, “anche a voler dare credito all’inverosimile ricostruzione dei fatti … offerta dal reclamante”, se vi era anche la madre del reclamante, allora il C. non aveva alcuna ragione di assentarsi dal lavoro, poiché all’assistenza della nonna avrebbe provveduto la madre del C.;

m) la doglianza di riduzione della lista testimoniale è generica, in quanto il reclamante non ha specificato quali lacune istruttorie dovrebbero essere colmate dagli altri testimoni indicati, né può pretendere di sanare in tal modo l’inattendibilità di quelli escussi;

n) ciascuno dei due episodi per i quali è provata l’indebita fruizione dei permessi giustifica la misura sanzionatoria espulsiva, vista la rilevanza penale della condotta, il suo grave disvalore sociale, la colpevole indifferenza per le complicazioni organizzative del datore di lavoro e per i colleghi di lavoro costretti a coprire il turno notturno al posto del reclamante, a maggior ragione considerato che questi è un rappresentante sindacale aziendale;

o) nessuna rilevanza può avere il fatto che manchi l’espressa previsione della condotta in esame (indebita fruizione dei permessi) nell’art. 10, lett. B), ccnl di categoria, nel quale peraltro sono previsti in via generale anche azioni che costituiscono delitto a termini di legge e nel caso in esame si tratterebbe del delitto di truffa aggravata.

4.- Avverso tale sentenza C.G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi.

5.- ST M. srl ha resistito con controricorso.

6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Considerato che

1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 2697, 2727, 2729 c.c., 5 L. n. 604/1966, 7 L. n. 300/1970 e 2119 c.c., per avere la Corte territoriale violato il principio di riparto dell’onere probatorio, secondo cui spetta al datore di lavoro la prova della condotta contestata in via disciplinare e quindi della giusta causa di licenziamento, per avere attribuito al dipendente l’onere di provare l’insussistenza della giusta causa.

Il motivo è infondato.

Come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, la Corte d’Appello è partita dall’esatto riparto dell’onere probatorio, verificando se la società datrice di lavoro avesse assolto il proprio. Ed è pervenuta alla conclusione di ritenere assolto l’onere probatorio circa la mancata prestazione – da parte del C. – dell’assistenza del disabile sulla base di una pluralità di elementi.

Alcuni di questi li ha considerati pacifici (il fatto che nei due giorni valutati il C. non si sia recato presso l’abitazione della nonna disabile sita in altro comune, ma sia rimasto nella propria abitazione). Altri sono stati desunti sia dalla inverosimiglianza della tesi difensiva del ricorrente (secondo cui in quei giorni era stata la nonna ad essere ospitata in casa sua, avendo egli prestato assistenza in tal modo), sia dall’inammissibilità del permesso qualora – a voler in ipotesi seguire la tesi difensiva del C. – insieme al disabile vi sia altra persona di famiglia (la madre del ricorrente) idonea a provvedere ad assistere il disabile. Quando utilizza il termine “presunzione”, la Corte territoriale intende riferirsi a quella c.d. semplice, ossia alla prova indiziaria (art. 2729 c.c.), che, come questa Corte ha più volte affermato (Cass. n. 10484/2004; Cass. n. 2668/2000; Cass. n. 914/1999), ha la stessa dignità e rilevanza processuale degli altri mezzi di prova c.d. libera, affidata al prudente apprezzamento del giudice.

Inoltre, questa Corte ha anche affermato che “spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 22366/2021).

Inammissibile è poi l’ulteriore censura, secondo cui la Corte territoriale sarebbe dovuta pervenire ad una presunzione di segno opposto (v. ricorso per cassazione, p. 13), atteso che con tale censura il ricorrente denunzia in sostanza un errato convincimento e, quindi, un “vizio di motivazione”, sia pure sotto la veste formale di violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

In ogni caso, la censura in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo. E neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. ord. n. 22366 cit.).

A fronte dell’avvenuto adempimento dell’onere probatorio da parte della società, dunque, esattamente la Corte territoriale ha verificato se a questo punto il lavoratore avesse soddisfatto il proprio, secondo quella logica, sottesa all’art. 2697 c.c., correttamente applicata e non illegittimamente invertita.

D’altronde, che il luogo di residenza della parente disabile da assistere fosse in un comune (Catania) diverso da quello di residenza del C. (Aci Catena) è fatto pacifico e proprio da tale fatto è partito il ragionamento presuntivo della Corte territoriale. Sicché – contrariamente all’assunto del ricorrente – proprio ai sensi dell’art. 2697 c.c. sarebbe stato allora suo onere dimostrare l’avvenuta prestazione di assistenza in luogo diverso dall’abitazione del parente disabile.

2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 115, 116, 342, 346, 416 e 436 c.p.c., nonché 324 c.p.c. e 2909 c.c., ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione fra le parti. In particolare il ricorrente si duole he la Corte territoriale abbia omesso di rilevare la mancata specifica contestazione – da parte della società – del fatto che in quelle notti la nonna si trovasse nell’abitazione del C..

Il motivo è inammissibile.

La condotta disciplinarmente rilevante oggetto di causa è la mancata prestazione di assistenza al disabile (il c.d. abuso del diritto ai permessi ex art. 33 L. n. 104/1992), desunta dal fatto che in quelle notti il lavoratore si trovasse presso la propria abitazione e non presso quella della parente disabile da assistere.

Orbene, il fatto che la nonna (disabile destinataria dell’assistenza) si trovasse nell’abitazione del C. è stato ritenuto – in via di mera ipotesi – dalla Corte territoriale comunque un dato non significativo, né idoneo ad escludere l’addebito, posto che la mera ospitalità è stata considerata insufficiente ad integrare l’assistenza materiale e morale necessaria a giustificare il permesso e, quindi, l’assenza dal lavoro. Inoltre la Corte territoriale ha aggiunto che “se fosse vero che ogni qual volta la nonna si trasferiva dal nipote ciò faceva anche la madre del reclamante, per come dallo stesso affermato … il C. non aveva valido motivo di assentarsi dal lavoro. Costituirebbe infatti un’interpretazione contraria alla ragio legis … quella di ritenere che il fruitore dei permessi possa assolvere all’obbligo di assistenza avvalendosi di altro soggetto …” (v. sentenza impugnata, p. 9).

In definitiva, quel fatto, quand’anche non contestato, nel convincimento dei giudici d’appello non ha avuto alcuna efficacia dirimente, né rilevanza probatoria nel senso infondatamente invocato dal ricorrente. Pertanto l’omesso rilievo della mancata contestazione di quel fatto non ha inciso in senso invalidante sulla sentenza impugnata.

Infine, nessuna valenza può avere l’episodio del 05 maggio 2013, posto che su questo la Corte territoriale non si è pronunziata, ritenendo ampiamente sufficiente a giustificare il licenziamento le condotte addebitate e relative al turno notturno fra l’11 e il 12 maggio 2013 e tra il 15 e il 16 maggio 2013.

3.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso la pronunzia sull’episodio contestato del 05 maggio 2013.

Il motivo è infondato: gli altri due episodi sono stati motivatamente ritenuti “ciascuno” sufficiente a sorreggere ex se la sanzione espulsiva, sicché l’ulteriore pronunzia sull’ulteriore episodio del 05 maggio 2013 si rivelava superflua. Quindi deve ritenersi che, in relazione a quell’episodio, la domanda sia stata ritenuta logicamente e implicitamente assorbita.

Ne consegue che non è configurabile il vizio d’omessa pronuncia, sussistente solo allorché manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, il che va escluso, pur in assenza di una specifica argomentazione, in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza (Cass. n. 1360/2016). Dunque va ribadito che l’assorbimento in senso improprio – configurabile quando la decisione di una questione esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre – impedisce di ritenere sussistente il vizio di omessa pronuncia, il quale è ravvisabile solo quando una questione non sia stata, espressamente o implicitamente, ritenuta assorbita da altre statuizioni della sentenza (Cass. ord. n. 2334/2020).

4.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 10 ccnl metalmeccanici industria del 05/12/2012,  2106 e 2119 c.c., 3 L. n. 604/1966, 7 L. n. 300/1970, nonché 33 L. n. 104/1992 in ordine all’episodio del 05 maggio 2013.

Il motivo è inammissibile: visto l’assorbimento (c.d. improprio) ed implicito ravvisabile in ordine al predetto episodio e, quindi, considerata la mancata pronunzia su quel fatto, il vizio denunziato è logicamente inconfigurabile.

5.- Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 33 L. n. 104/1992 per avere la Corte territoriale ritenuto che la presenza del lavoratore nella sua abitazione, contestualmente alla presenza della propria madre nonché figlia della disabile, costituisca uso distorto del diritto ai permessi.

Il motivo è inammissibile perché rivolta contro una parte della motivazione (“anche a voler dare credito all’inverosimile ricostruzione dei fatti … offerta dal reclamante”, se era presente pure la madre del reclamante, allora il C. non aveva alcuna ragione di assentarsi dal lavoro, poiché all’assistenza della nonna avrebbe provveduto la madre del C.: v. sentenza impugnata, par. 6., p. 9) formulata dalla Corte territoriale solo ad abundantiam, in via meramente ipotetica, con ruolo solo secondario rispetto alla motivazione principale, di per sé sufficiente, fondata sull’assoluta inattendibilità dei testimoni addotti dal lavoratore e sull’inadempimento del suo onere probatorio.

6.- Con il sesto motivo, articolato in due censure, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione” degli art. 115 e 116 c.p.c. e, in subordine, “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 113, 116, co. 1, 244, 421, 437 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto inattendibili i testimoni da lui addotti.

In particolare, con la prima censura il ricorrente addebita alla Corte d’Appello un errore di percezione caduto “sulla ricognizione del contenuto oggettivo delle prove raccolte” (v. ricorso per cassazione, pp. 29-30); con la seconda censura il ricorrente si duole della valutazione di inattendibilità espressa dai giudici d’appello.

Il motivo è inammissibile in relazione ad entrambe le censure.

Con riguardo alla prima, il C. non spiega in cosa consisterebbe il dedotto “errore di percezione”, in realtà da lui ancorato ad un errato riparto dell’onere probatorio, che, come sopra visto, non sussiste.

Inoltre, l’errore di percezione, in relazione all’art. 115 c.p.c., cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, non può ravvisarsi laddove la statuizione di esistenza o meno della circostanza controversa presupponga un giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze, che si colloca interamente nell’ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimità (Cass. ord. n. 25166/2019).

Con riguardo alla seconda censura, questa Corte ha più volte affermato che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. ord. n. 331/2020; Cass. ord. n. 9097/2017).

7.- Con il settimo motivo, proposto in via subordinata ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 421, 437 e 115, co. 1, c.p.c., nonché 1, co. 57 e 59, L. n. 92/2012 per avere la Corte territoriale negata l’ammissione di altri testimoni.

Il motivo è inammissibile: manca qualunque censura all’affermazione dei giudici d’appello, secondo cui il C. non ha specificato “quali lacune istruttorie dovrebbero riempire gli altri testimoni indicati in primo grado, né può pretendere di sentire ulteriori testi quale antidoto all’inattendibilità di quelli escussi” (v. sentenza impugnata, p. 9). D’altronde, i poteri istruttori d’ufficio non possono giammai essere esercitati per sollevare una parte dai suoi oneri probatori, il cui mancato assolvimento dipenda da una valutazione ex post di inattendibilità delle testimonianze addotte.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.

Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.