CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 16810 depositata il 13 giugno 2023
Tributi – Interpello disapplicativo – Test di operatività – Credito chirografario – Riparto finale di un fallimento – Ordinaria attività di impresa – Impossibile conseguimento dei ricavi – Rigetto
Rilevato che
1. La società contribuente C. S.r.l. in liquidazione ha impugnato un rigetto di interpello disapplicativo D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 37-bis, comma 8, relativo a una istanza di interpello presentata in data 29 giugno 2012. La società contribuente ha dedotto l’esistenza di situazioni oggettive tali da impedirle il superamento del test di operatività, quali lo stato di liquidazione e la composizione dell’attivo patrimoniale della società, consistente in partecipazioni, non ancora oggetto di cessione e di difficile liquidazione, nonché in un credito chirografario vantato nei confronti di un fallimento di cui si attendeva il riparto finale.
2. La CTP di Milano ha dichiarato inammissibile il ricorso.
3. La CTR della Lombardia, con sentenza in data 5 agosto 2014, ha accolto l’appello della società contribuente. Il giudice di appello ha ritenuto sussistente per il contribuente l’interesse a impugnare la risposta all’interpello da parte dell’Ufficio, ritenendo poi nel merito fondato l’interpello della società contribuente, in forza del fatto che il perdurare dello stato di liquidazione era dovuto alla necessità di attendere l’approvazione del riparto finale di un fallimento e alla necessità di cedere le partecipazioni detenute.
4. Propone ricorso per cassazione l’Ufficio, affidato a tre motivi; il contribuente intimato non si è costituito in giudizio.
Considerato che
1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 100 c.p.c., d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37bis, comma 8, della l. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30 comma 4-bis d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto ammissibile l’impugnazione dell’inter-pello disapplicativo proposto dalla società contribuente. Osserva parte ricorrente che il provvedimento di diniego dell’interpello non avrebbe natura lesiva dei diritti del contribuente in quanto non vincolante e, pertanto, non assimilabile a un atto impositivo, per cui difetterebbe l’interesse ad agire del contribuente.
2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in via gradata rispetto al superiore motivo, violazione dell’art. 100 c.p.c. del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37bis, comma 8, l. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30 comma 4-bis, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 in relazione ai medesimi profili di cui al superiore profilo, ritenendo l’Ufficio ricorrente che la risposta ad interpello non costituisce atto impugnabile.
3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. e l. n. 724 del 1994, art. 30 nella parte in cui il giudice di appello ha accolto nel merito il ricorso della società contribuente. Il ricorrente deduce l’insussistenza delle oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi e di reddito determinati sulla base del test di operatività della società contribuente, deducendo che la circostanza dell’attesa del riparto finale in un fallimento e la difficoltà di cessione delle partecipazioni non possono considerarsi circostanze oggettive impeditive del superamento del test di operatività. Osserva, inoltre, che mancherebbe in fatto la prova di tali circostanze.
4. I primi due motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente in quanto aventi ad oggetto la medesima questione sotto diversi profili, sono infondati. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la risposta negativa delle agenzie fiscali a un interpello disapplicativo è atto impugnabile, anche se non rientra tra quelli elencati dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19. L’ente impositore, infatti, attraverso tale atto porta a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria ben individuata; di converso il contribuente, senza necessità che la stessa pretesa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal citato art. 19, già al momento della ricezione della notizia, è portatore di un interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, a invocare una tutela giurisdizionale di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva (Cass., sez. V, 26 gennaio 2023, n. 2634; Cass., sez. V, 7 dicembre 2022, n. 36050; Cass., sez. VI, 11 dicembre 2019, n. 32425). La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
5. Il terzo motivo è infondato nella parte in cui si deduce l’insussistenza delle oggettive situazioni che hanno reso impossibile il superamento del test di operatività e di vincere la presunzione semplice di non operatività di cui alla l. n. 724 del 1994, art. 30 commi 1 e 2. Dispone la l. n. 724 del 1994, art. 30 comma 4-bis che il contribuente può addurre la prova contraria, in caso di mancato superamento del test di operatività “in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi (…) nonché del reddito (…) ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4”. La norma che limitava tali situazioni oggettive a quelle di carattere straordinario – introdotta dal d.l. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35 comma 15, lett. d) per il periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del medesimo decreto (d.l. n. 223 del 2006, art. 35 comma 16) – è stata poi modificata dalla l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 111, comma 9, lett. h) che ha abrogato tale inciso.
6. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’esistenza di oggettive situazioni tali da integrare la prova contraria in caso di mancato superamento del test di operatività, va valutata non in termini assoluti, ma inerenti alle effettive condizioni del mercato, idonee a dimostrare l’erroneità dell’esito quantitativo del test di operatività (Cass., sez. V, 23 maggio 2022, n. 16472; Cass., sez. VI, 12 febbraio 2019, n. 4019; Cass., sez. V, 20 giugno 2018, n. 16204).
7. L’oggettività della situazione che abbia impedito il superamento del test di operatività si caratterizza come estranea alla ordinaria attività di impresa, sicché non può riconoscersi nel caso in cui il mancato conseguimento dei ricavi discenda da una scelta volontaria dell’imprenditore (Cass., sez. V, 16 giugno 2021, n. 16697; Cass., sez. V, 7 dicembre 2020, n. 27976), ovvero da una scelta quanto meno consapevole dell’imprenditore stesso (Cass., sez. V, 4 dicembre 2019, n. 31618; Cass., sez. V, 30 dicembre 2019, n. 34642; Cass., sez. V, 21 ottobre 2015, n. 21358). Deve, pertanto, trattarsi di situazione estranea alla dinamica della gestione dell’impresa (che si tratti di gestione caratteristica, accessoria finanziaria o straordinaria o anche liquidatoria), tale da impedire lo svolgimento dell’attività secondo risultati reddituali conformi agli standard minimi legali (Cass., sez. V, 3 novembre 2020, n. 24314).
8. Pertanto, salvo il caso in cui venga contestata la totale assenza di pianificazione aziendale da parte degli organi gestori della società o una sostanziale inettitudine produttiva (Cass. sez. V, 23 novembre 2021, n. 36365), al contribuente sarà sufficiente addurre la prova contraria dell’esistenza di specifici fatti, non dipendenti dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che impediscano lo svolgimento dell’attività di impresa con risultati reddituali conformi agli standards minimi legali (Cass., sez. V, 3 novembre 2020, n. 24314; Cass., sez. V, 21 ottobre 2015, n. 21358).
9. Nella specie il giudice di appello ha individuato in circostanze estranee alla dinamica della gestione delle imprese quelle oggettive situazioni tali da impedire il superamento del test di operatività, quali la necessità di attendere il riparto finale di un fallimento al fine di incassare un rilevante credito chirografario (secondo le percentuali che saranno attribuite ai creditori chirografari), nonché la difficoltà di alienare alcune partecipazioni possedute dalla società contribuente.
10. Il ricorso e’, invece, inammissibile nella parte in cui il ricorrente deduce l’insussistenza in fatto (ovvero la mancata prova delle circostanze dedotte dal contribuente) dei fatti che hanno portato il giudice di appello a ritenere assolta la prova contraria della sussistenza delle oggettive circostanze ostative al perseguimento di ricavi, in quanto giudizio volto a ripercorrere l’accertamento in fatto compiuto dal giudice sull’idoneità del materiale probatorio, giudizio che rimane sul piano del merito e che non è sindacabile in sede di legittimità con il vizio di violazione di legge.
11. Il ricorso va, pertanto, rigettato, senza spese in assenza di costituzione della parte intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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