CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 settembre 2021, n. 25421
Tributi – Disciplina delle società di comodo – Società veicolo costituita unicamente per la ristrutturazione dei debiti della controllante mediante acquisizione di un immobile – Societas unius negotiationis
Rilevato che
La società contribuente P.D.V. SRL in liquidazione ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2006 con il quale, a seguito di istanza di interpello disapplicativo ex art. 37-bis, comma 8, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dichiarata nelle more improcedibile, l’Ufficio accertava il mancato superamento del test di operatività a termini dell’art. 30 l. 23 dicembre 1994, n. 724, con recupero di IRES e IRAP. La società contribuente ha dedotto di essere stata costituita con l’unico scopo di ristrutturare i debiti della società controllante (D. SPA) attraverso l’acquisto di un immobile, ritenendo perciò sussistenti condizioni oggettive di inapplicabilità della disciplina delle società di comodo.
La CTP di Bari ha accolto il ricorso. La CTR della Puglia, con sentenza in data 14 novembre 2014, ha rigettato l’appello dell’Ufficio, ritenendo che nella specie sussistano situazioni oggettive che abbiano reso impossibile nel periodo di imposta in oggetto il superamento del test di operatività. Ha ritenuto la CTR che le ragioni della società contribuente – già evidenziate nell’istanza di interpello disapplicativo dichiarata improcedibile dall’Ufficio – risiedevano nel fatto che la società avrebbe operato come mero veicolo societario per la cessione dell’immobile della società controllante a terzi e non per lo svolgimento di attività industriale, circostanza tale da costituire situazione oggettiva impeditiva della realizzazione dei ricavi minimi. La costituzione della società contribuente al solo scopo di compiere una sola operazione costituisce, pertanto – secondo la CTR – circostanza che esime dall’assoggettamento alla disciplina delle società di comodo in quanto impeditiva del conseguimento di qualunque ricavo, come emerso anche nel corso di procedimenti penali che avevano coinvolto anche i responsabili della società contribuente.
Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a due motivi; all’esito della tempestiva riattivazione del procedimento di notificazione del ricorso, si è costituito con controricorso il fallimento della società contribuente, dichiarato già nel corso del giudizio di appello. Il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
1.1. Con il primo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., nella parte in cui la CTR ha ritenuto sussistenti le ragioni oggettive di disapplicazione della normativa antielusiva. Evidenzia il ricorrente come la motivazione sia apparente e osservando come non si sarebbe tenuto conto delle argomentazioni formulate dall’Ufficio in appello, argomentazioni che vengono riproposte nel motivo di ricorso. Evidenzia il ricorrente come la disciplina delle società di comodo si applicherebbe anche alle società costituite al solo scopo di intestare fittiziamente beni immobili. Osserva, infine, come gli esiti del procedimento penale siano irrilevanti in sede tributaria.
1.2. Con il secondo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 30 l. n. 724/1994 e 1, commi 109 e seguenti, l. 27 dicembre 2006, n. 296, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la costituzione della società contribuente al solo scopo di ristrutturare il debito della società controllante costituisse ragione oggettiva per la disapplicazione della disciplina delle società di comodo. Evidenzia il ricorrente come la situazione oggettiva che ha reso impossibile il conseguimento dei ricavi, costituita dalla costituzione della società contribuente quale società veicolo per l’acquisizione del patrimonio immobiliare della società controllante (allo scopo di ristrutturare il debito bancario della società controllante), non solo non sussisterebbe, non essendosi mai realizzato l’obiettivo della rivendita del cespite a terzi, ma non sarebbe attribuibile «a cause non riconducibili alla sua [della contribuente] volontà». Su tale ultimo aspetto il ricorrente ritorna diffusamente e con dovizia di argomenti e di citazioni giurisprudenziali in memoria.
2. Va rigettata la preliminare eccezione di inammissibilità del primo motivo, incentrato non su un omesso esame di un fatto controverso, bensì sull’esistenza di una motivazione apparente a fondamento di una censura di nullità della sentenza.
3. Il primo motivo è infondato. Il sindacato di legittimità sulla motivazione resta, oramai circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che possono essere esaminate e si convertono, all’evidenza, in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. con conseguente nullità della sentenza – di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, di motivazione apparente, di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940), che ricorre nel caso in cui la motivazione risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (Cass., VI, 25 settembre 2018, n. 22598; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
4. Nella specie, come rileva il controricorrente, la sentenza impugnata ha escluso che la società contribuente potesse incorrere nella disciplina delle società di comodo di cui alla l. n. 724/1994, costituendo la società contribuente una societas unius negotiationis, la cui costituzione era finalizzata, secondo l’intento della società controllante e su richiesta delle banche finanziatrici, alla ristrutturazione del debito della società controllante («la pianificazione aziendale, cui le due società […] furono costrette loro malgrado ad aderire, rivela che dette società erano all’epoca operative sia pure al fine più limitato di vendere l’opificio di M. per ottenere la ristrutturazione del debito verso le banche e la ricapitalizzazione della società madre»). La motivazione della sentenza appare coerente e compiuta, consentendo di ricostruire l’iter argomentativo seguito dal giudice di appello.
5. Infondata è, inoltre, la censura di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, posto che il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., Sez. VI, 2 dicembre 2014, n. 25509; Cass., Sez. III, 20 novembre 2009, n. 24542), senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi (Cass., Sez. V, 2 aprile 2020, n. 7662; Cass., Sez. V, 30 gennaio 2020, n. 2153).
6. Va rigettata l’eccezione di inammissibilità del secondo motivo, incentrato non su un giudizio di fatto, bensì sulla falsa applicazione della norma che ha ad oggetto la prova contraria che deve dare il contribuente per giustificare il mancato superamento del test di operatività.
7. Il secondo motivo è fondato. Dispone l’art. 30, comma 4-bis l. n. 724/1994, nella formulazione pro tempore, che «in presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600». La norma, introdotta dall’art. 35, comma 15, lett. d) d.l. 4 luglio 2006, n. 223 ed in vigore per il periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del medesimo decreto (art. 35, comma 16, d.l. n. 223/2006), è stata poi modificata dall’art. 111, comma 9, lett. h) l. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge richiamata dal ricorrente nel parametro normativo), che ha abrogato l’inciso «di carattere straordinario». Tale abrogazione non riguarda, peraltro, la formulazione della norma relativa al periodo di imposta oggetto di accertamento, posto che l’art. 1, comma 110, l. n. 296/2006 non ha inserito tale novella tra quelle applicabili retroattivamente «a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore» del d.l. n. 223/2006.
8. Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, citata anche dal controricorrente in memoria, in caso di mancato superamento del test di operatività da parte delle società di comodo – anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 30 della l. n. 724 del 1994 dalla l. n. 296/2006 – il contribuente, al fine di vincere la presunzione legale della finalità elusiva delle società non operative, è onerato della prova contraria qualificata della ricorrenza di una situazione oggettiva, a sé non imputabile, che abbia reso impossibile il conseguimento di ricavi e la produzione di reddito entro la soglia minima stabilita ex lege, senza peraltro che sia necessario esperire il preventivo rimedio dell’interpello disapplicativo (Cass., Sez. V, 24 febbraio 2021, n. 4946; Cass., Sez. V, 4 marzo 2020, n. 6029). Ove, poi, tale situazione oggettiva riguardi il periodo di imposta 2006 (come nella specie), occorre che tale situazione rivesta anche carattere di straordinarietà (Cass., Sez. V, 14 luglio 2021, n. 20027; Cass., Sez. V, 21 luglio 2021, n. 20797). In ogni caso, l’oggettività della situazione che abbia impedito il superamento del test di operatività si caratterizza come estranea alla ordinaria attività di impresa, sicché non può riconoscersi nel caso in cui il mancato conseguimento dei ricavi discenda da una scelta volontaria dell’imprenditore (Cass., Sez. V, 16 giugno 2021, n. 16697; Cass., Sez. V, 7 dicembre 2020, n. 27976), ovvero da una scelta quanto meno consapevole dell’imprenditore stesso (Cass., Sez. V, 4 dicembre 2019, n. 31618; Cass., Sez. V, 30 dicembre 2019, n. 34642; Cass., Sez. V, 21 ottobre 2015, n. 21358). Deve, pertanto, trattarsi di situazione estranea alla dinamica della gestione dell’impresa – come rimarcato dal ricorrente in memoria – tale da impedire lo svolgimento dell’attività produttiva secondo risultati reddituali conformi agli standard minimi legali (Cass., Sez. V, 3 novembre 2020, n. 24314). Risulta, pertanto, superata, stanti le modifiche normative medio tempore intervenute, la precedente giurisprudenza, citata nella sentenza impugnata, secondo cui al contribuente sarebbe sufficiente provare una ridotta operatività della società, come nel caso della societas unius negotiationis, ove la società sia destinata al compimento di un unico affare (Cass., Sez. V, 6 luglio 2012, n. 11368; Cass., Sez. V, 13 maggio 2005, n. 10100), dovendosi provare ed accertare la totale estraneità della situazione impediente rispetto alle scelte imprenditoriali.
9. Nella specie, la sentenza impugnata si è limitata ad accertare la sussistenza della pianificazione aziendale tra controllante (D.) e controllata (P.D.V. SRL), che configurava la società contribuente come mero veicolo per la ristrutturazione del debito bancario della controllante mediante la menzionata operazione di acquisizione immobiliare, senza accertare che la situazione dedotta dal contribuente fosse estranea alla dinamica della gestione dell’impresa, circostanza vieppiù contrastante con la dedotta «pianificazione aziendale» (pag. 9 sent. imp.), che mostra invero un progetto imprenditoriale pienamente condiviso dalla società contribuente.
10. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione al secondo motivo, cassandosi la sentenza impugnata con rinvio al giudice a quo, perché valuti l’assolvimento dell’onere della prova contraria gravante sul contribuente circa l’esistenza di oggettive situazioni di carattere straordinario non riconducibili a scelte consapevoli dell’imprenditore, tali da impedire il superamento del test di operatività, oltre che per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR della Puglia, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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