Corte di Cassazione, ordinanza n. 35856 depositata il 22 dicembre 2023
prova bancarie – presunzioni semplici – il giudice tributario non è vincolato dalle imputazioni formulate nel processo penale, ma è tenuto a valutare per proprio conto se le prove acquisite in quella sede siano idonee a fondare il proprio convincimento circa la sussistenza dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria
Rilevato che:
Con avviso di accertamento n. RC4030601207/2007, per l’a.i. 2004, notificato a N.C. S.R.L. il 9 dicembre 2009, l’Agenzia delle entrate, a seguito di indagini bancarie e finanziarie sui c.c. della società e dei due soci N.M. e N.E., recuperava maggiori imposte a titolo di IRES, IRAP ed IVA, oltre interessi e sanzioni, per un totale di euro 3.368.297.
La CTP di Latina, con sentenza n. 120/04/11, accoglieva il ricorso di N.C., ritenendo insufficiente la dimostrazione, fornita dall’A.F., circa l’effettiva riferibilità delle operazioni rilevate sui c.c. dei soci alla società.
Proponeva appello l’Ufficio, accolto dalla CTR del Lazio-Sezione Distaccata di Latina, sulla base della seguente motivazione:
– in generale, riguardo agli accertamenti ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, è onere dell’Ufficio dimostrare la riconducibilità delle movimentazioni sui c.c. dei soci alla società;
– in via preliminare, quanto alla sentenza penale di assoluzione di Neri Massimo, prodotta dalla difesa di N.C., diversa è la portata delle istruzioni probatorie nel processo penale ed in quello tributario, nel quale ultimo opera l’inversione dell’“onus probandi”;
– nel merito, l’attività dell’Ufficio ex artt. 32 d.P.R. n. 633 del 1972 e 51 d.P.R. n. 633 del 1972 è legittima, poiché esso ha assolto all’onere probatorio sul medesimo incombente di dimostrare la riconducibilità delle movimentazioni sui c.c. dei soci alla società mediante la prova presuntiva rappresentata dall’essere i due soci fratelli, di cui uno amministratore e l’altro socio di minoranza, in
modo che la ristretta compagine sociale determina una sostanziale identità di soggetti.
– i soci non hanno offerto “analitica prova sull’estraneità e non assoggettabilità a tassazione di tutte le operazioni in entrata ed in uscita riscontrate sui loro rispettivi c.c., mentre gli stessi si sono limitati ad affermazioni generiche e comunque riguardanti la correttezza della contabilità societaria, sottovalutando del tutto che gli accertamenti finanziari sono proprio diretti a smascherare ricavi occulti che non possono emergere dalla contabilità ufficiale del soggetto accertato […]”.
Propone ricorso per cassazione N.C. con quattro motivi, enunciati a due a due.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che:
Con i primi due motivi, congiuntamente enunciati, si denuncia: “1) Error in judicando. Violazione ed erronea applicazione
dell’art. 360 n. 3 e 5 cpc per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto de[ll’art.] 10 L. 212/2000, dell’art: 3 della L. 241/90 e degli artt. 56 del D.P.R. 633/72 e 42 del D.P.R. 600/73.
2) Violazione ed erronea applicazione dell’art. 356 cpc, omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia e sull’omessa verifica ed esame della documentazione probatoria depositata dall’odierno ricorrente nel giudizio di l e ll grado”.
“È errata la sentenza de qua ove non esamina né si pronunzia sulla violazione de[ll’art.] 10 L. 212/2000, dell’art. 3 della L. 241/90 e degli artt. 56 del D.P.R. 633/72 e 42 del D.P.R. 600/73.
Come è noto, infatti, gli avvisi di accertamento devono essere specificamente motivati […]. [N]el caso di specie, l’atto è stato costruito sulle mere risultanze dei conti correnti intestati alla società ricorrente ed ai soci e, su tale base, si è proceduto ad eseguire dei calcoli generali e privi di specifico riscontro senza alcuna verifica, neppure minima, di eventuale documentazione giustificativa di elementi a vantaggio del contribuente. Un siffatto modus procedendi ha privato il contribuente del suo diritto di difesa impedendogli di giustificare gli addebiti contestati ovvero non tenendone conto. Lo stesso atto, invero, evidenzia che la società ha fornito la documentazione contabile […] (seppur rilevando la parziale assenza di documentazioni specifiche). Ciononostante, dalle conclusioni prodotte (quasi integrale recupero a tassazione di tutte le movimentazioni finanziarie) sembra che il contribuente non abbia fornito alcuna giustificazione ai rilievi mossi, in evidente contraddizione con le stesse premesse dell’avviso di accertamento. L’indagine bancaria è stata estesa ai soci di una società di capitali, laddove è giuridicamente netta la soggettività della persona giuridica […]. [D]oveva essere l’Ufficio a motivare […] la natura fittizia dell’intestazione dei conti stessi, ovvero il sostanziale riferimento alla società soggetta ad accertamento, dei conti medesimi o dei singoli dati ed elementi di essi […].
I motivi sono inammissibili e comunque manifestamente infondati.
In punto di inammissibilità:
– sono dedotti in forma cumulativa, senza che sia possibile, alla luce della loro illustrazione, discernere le singole censure, in guisa da raccordarle alle rubriche, per l’effetto presupponendo un non consentito ruolo suppletivo di questa Suprema Corte;
– fanno riferimento a questioni e documenti introdotti innanzi alla CTR e di cui questa non avrebbe tenuto conto, senza dimostrare donde tali questioni siano state articolate e quale contenuto detti documenti (neppure richiamati per numero o per titolo) esibiscano;
– si riferiscono, identicamente, all’avviso di accertamento, di cui lamentano un’insufficienza motivazionale, senza riprodurlo quantomeno nelle parti salienti;
– aggrediscono la sentenza impugnata lamentando una sostanziale contraddittorietà della motivazione e quindi formulando una censura non (più) consentita dall’attuale formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.;
– sollecitano, in definitiva, viepiù sulla base di argomentazioni del tutto generiche e locutorie, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con natura e limiti del giudizio di legittimità.
In punto di manifesta infondatezza, essi tengono totalmente in non cale l’affermazione della CTR secondo cui l’Ufficio ha ritualmente offerto la prova presuntiva della sostanziale coincidenza soggettiva di soci e società, in ragione della ristretta, anzi minima, base sociale, composta unicamente da due soci, di cui, uno, socio di maggioranza ed amministratore e, l’altro, socio di minoranza, e dello strettissimo legame parentale corrente tra i soci medesimi (fratelli), mentre, invece, la contribuente, cui incombeva l’onere della prova contraria, non ha dimostrato la non riconducibilità alla società delle poste dei conti correnti dei soci riprese a tassazione in quanto rimaste prive di giustificazione.
La CTR ha fatto corretta applicazione di principi di diritto ripetutamente enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.
Costituisce insegnamento ricevuto quello a termini del quale, “in tema di accertamento del reddito d’impresa, gli artt. 32, n. 7, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, sicché possono assumere rilievo ai fini delle indagini i conti correnti intestati all’amministratore unico e socio assoluto di maggioranza di una società a responsabilità limitata in ragione di movimentazioni sia in entrata che in uscita che non trovino corrispondenza alcuna nelle registrazioni contabili; né rileva che il medesimo soggetto sia legale rappresentante di una pluralità di persone giuridiche, essendo in tal caso sufficiente, in difetto della prova contraria circa una più corretta imputazione, ripartire i dati estratti dai conti correnti in proporzione al volume di affari di ciascun ente” (Sez. 6-5, n. 1898 del 01/02/2016, Rv. 639236-01).
Il principio riceve conferma “sub specie” di plurime declinazioni. Tra queste, in particolare, rilevano: quella a termini della quale, “in tema di accertamento dell’imposta sui redditi (nella specie da lavoro autonomo), le verifiche fiscali finalizzate a provare, per presunzioni, la condotta evasiva possono anche indirizzarsi sui conti bancari intestati al coniuge o al familiare del contribuente, potendo desumersi la riferibilità a quest’ultimo da elementi sintomatici, quali: il rapporto di stretta familiarità, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta considerato, l’infedeltà delle dichiarazioni e l’esercizio di attività da parte del contribuente compatibile con la produzione della maggiore redditività riferita a dette persone” (Sez. 5, n. 549 del 15/01/2020, Rv. 656550-01); quella a termini della quale, “in tema di accertamento dell’imposta sui redditi, l’art. 51, comma secondo, numero 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nel testo vigente ‘ratione temporis’), secondo cui gli Uffici finanziari e la Guardia di Finanza, previa autorizzazione degli organi a ciò deputati, possono richiedere copia dei conti intrattenuti con il contribuente, non prevede alcuna limitazione all’attività di indagine volta al contrasto dell’evasione fiscale, circoscrivendo l’analisi ai soli conti correnti bancari e postali o ai libretti di deposito intestati esclusivamente al titolare dell’azienda, in quanto l’accesso ai conti intestati formalmente a terzi, le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità alla società delle somme movimentate sui conti intestati al coniuge del contribuente, ben possono essere giustificati da alcuni elementi sintomatici come il rapporto di stretta contiguità familiare, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta, l’infedeltà della dichiarazione e l’attività di impresa compatibile con la produzione di utili, incombendo in ogni caso sulla società contribuente la prova che le ingenti somme rinvenute sui conti dei familiari dell’amministratore non siano ad essa riferibili” (Sez. 5, n. 26173 del 06/12/2011, Rv. 620990-01); e quella a termini della quale “le indagini bancarie nei confronti di una società a responsabilità limitata possono essere estese ai conti correnti dei soci della stessa soltanto se” – ma in tal caso sicuramente – “sussistano elementi indiziari che inducano a ritenere che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti” (Sez. 5, n. 33596 del 18/12/2019, Rv. 656410-02).
Con gli ultimi due motivi, congiuntamente enunciati, si denuncia:
“3) Error in judicando. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 360 n. 3 e 5 cpc per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 32 del DPR 600/1973 e art. 51 del DPR 633/72, art. 42 del DPR 633/72.
4) Violazione ed erronea applicazione dell’art. 356 cpc, omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia e sull’omessa verifica ed esame della documentazione probatoria depositata dall’odierno ricorrente nel giudizio di I e Il grado”.
L’intera motivazione della sentenza impugnata (riportata alla lettera) è censurabile per i motivi esposti. “[L]a legittimità dell’utilizzo dello strumento dell’indagine finanziaria è soggetto a specifiche e circostanziate disposizioni normative”. “Nella fattispecie de qua […] non sembrano sussistere le circostanze legittimanti l’esecuzione delle indagini bancarie, atteso che non è stata allegata la prescritta autorizzazione del Direttore Regionale del Lazio che legittimerebbe l’effettuazione della procedura, essendo citato nell’atto solo un numero di protocollo; né è stata allegata o prodotta la sua propedeutica richiesta di autorizzazione. Sembra evidente, con riferimento all’anno di imposta 2004, la violazione dell’iter procedurale”. Un tanto s’è tradotto in un difetto motivazionale dell’avviso. “La consistente produzione documentale depositata nel procedimento di prime cure confuta gli assunti dedotti nella impugnata sentenza”. I giudici di merito non hanno considerato che entrambi i soci erano titolari di partita IVA e perciò le poste dei rispettivi c.c. erano semmai imputabili alle loro imprese individuali anziché alla contribuente.
Entrambi i motivi sono inammissibili.
Essi – largamente reiterativi dei precedenti due – sono cumulativi, come emergente finanche dalla rubrica del terzo e comunque dall’illustrazione di entrambi; non autosufficienti, poiché non rendono conto se e donde siano state sollevate doglianze in ordine a vizi procedimentali delle indagini bancarie poste a base dell’accertamento e poiché scontano la mancata riproduzione, nella parte rilevante, dell’avviso; formulati dubitativamente (“[…] non sembrano sussistere le circostanze legittimanti l’esecuzione delle indagini bancarie”); non minimamente precisi, non accennando, neppure per sommi capi, a natura e contenuto della “consistente produzione documentale depositata nel procedimento di prime cure” e viepiù alla sua efficacia confutativa delle conclusioni di merito attinte dalla CTR.
Essi, inoltre, come i precedenti, non sono consentiti, giacché recriminano un’insufficienza motivazionale, al di fuori del paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., auspicando un nuovo giudizio di merito, estraneo ai poteri di questa Suprema Corte.
Essi, comunque, sono manifestamente infondati.
A fronte dell’allegazione di una pronuncia favorevole di primo grado in sede penale, senza peraltro specificazioni in ordine alla sua definitività o meno, né indicazioni in ordine all’imputazione, né congrua riproduzione della motivazione della stessa sì da render conto, tra l’altro, della non riprodotta formula assolutoria adottata, corretta è l’affermazione della CTR in ordine alla totale autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale. Vige, infatti, il principio per cui “il giudice tributario non è vincolato dalle imputazioni formulate nel processo penale, ma è tenuto a valutare per proprio conto se le prove acquisite in quella sede siano idonee a fondare il proprio convincimento circa la sussistenza dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria” (Sez. 5, n. 4645 del 21/02/2020, Rv. 657347-01).
Ulteriormente, non indicato, nel motivo, donde risulti e per vero se sia stata di per sé sottoposta alla cognizione della CTR la circostanza che i soci erano titolari di reddito d’impresa, logicità e legittimità del ragionamento presuntivo condotto dalla CTR sono apprezzabili alla luce della giurisprudenza già esaminata a proposito dei primi due motivi.
In definitiva, il ricorso è integralmente da rigettarsi, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese di lite, liquidate in euro 5.600, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto
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