La Corte di Cassazione con la sentenza n. 27227 del 20 giugno 2013 ha confermato il principio di cui all’art. 316 del c.p.p. che ha come scopo la tutela del danneggiato dal reato con l’immobilizzazione del patrimonio del soggetto che ha commesso il reato.
Gli Ermellini, in particolare, hanno evidenziato che “secondo un pacifico orientamento interpretativo, la finalità dell’art. 316 c.p.p. consiste nell’immobilizzare il patrimonio del soggetto obbligato e attuare, così, la piena e concreta tutela del danneggiato dal reato per il soddisfacimento del suo credito risarcitorio, in attesa dell’esito dell’azione revocatoria. È evidente, invero, che;se nel caso dì specie si ritenesse non consentito il sequestro conservativo, l’eventuale esito positivo dell’azione revocatoria potrebbe essere del tutto inutile a fronte di un bene – che solo formalmente non è dell’imputato – non possa essere sottoposto a nessun vincolo.
Alla luce di quanto sopra appare, allora, consono il richiamo, effettuato dal tribunale di Padova, alla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato il principio che in tema di sequestro conservativo, nel concetto di beni mobili ed immobili dell’imputato contenuto nell’art. 316 c.p.p. non rileva la loro formale intestazione, ma che l’imputato ne abbia la disponibilità “uti dominus”, indipendentemente dalla titolarità apparente del diritto in capo a terzi (Sez. 6. Sentenza n. 21940 del 02/04/2003, rv. 226043; sez. 2 n.44660 del 5.10.10, rv 248942).”
La vicenda ha avuto inizio dall’opposizione al provvedimento di sequestro conservativo, nei confronti dell’indagato Z.W i sensi art. 416 e 640 c.p. ed art. 10 del D.Lgs. 74/2000, disposto a favore dell’INPS ed Agenzia delle Entrate e contro cui è stato presentato ricorso al Tribunale del riesame che confermava il provvedimento. Il difensore dell’indagato propone ricorso, avverso la sentenza del Tribunale, alla Corte di cassazione con tre motivazioni.
I giudici della Corte Suprema hanno ritenuto il ricorso non accoglibile, sia per le motivazioni sopra esposte, sia perché – come rilevato dagli atti di indagine – hanno dimostrato che il ricorrente aveva, al momento dell’esecuzione del provvedimento cautelare , la disponibilità delle società a lui facenti sostanzialmente capo, in una posizione di controllo e di gestione.
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