La Corte di Cassazione sez. tributaria con la sentenza n. 19731 del 28 agosto 2013 intervenendo in tema di accertamenti tributari standardizzati ha riconfermato il suo orientamento. Per cui l’accertamento basato su parametri o studi di settore costituisce, come affermato da questa Corte, “un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che ne giustificano l’esclusione dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilìtà dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in guanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass. sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635) . E si è inoltre chiarito come “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui all’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello “standard”, né costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata” (Cass., sez. un., n. 26635 del 2009 cit.; Cass. n. 23096 del 2012).”
Nel caso di specie il contribuente aveva ricevuto un avviso di accertamento basato sui parametri previsti dall’art. 3, comma 184, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, preceduto dall’instaurazione del contraddittorio ed in cui l’Amministrazione Finanziaria aveva tenuto conto delle giustificazioni avanzate dalla contribuente. Il contribuente avverso l’atto impositivo proponeva ricorso in Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici confermavano la legittimità dell’atto impositivo impugnato con cui veniva determinato il maggior reddito. Anche i giudici della Commissione Tributaria Regionale, a cui si era rivolto il contribuente, confermavano la legittimità dell’atto dell’Amministrazione finanziaria.
Il contribuente ricorreva alla Corte Suprema per la cassazione della sentenza di appello, basandolo su due motivi. Gli Ermellini hanno rigettato il ricorso dichiarando le motivazioni rispettivamente infondate e inammissibili.
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