Corte di Cassazione ordinanza n. 13716 depositata il 2 maggio 2022
studi di settore – mancata partecipazione all’invito al contraddittorio – contributi in conto capitale – contributi in conto impianti
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’ Agenzia delle entrate, ufficio locale, e respingeva quello proposto da N.A. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Avellino n. 85/2/2012 che aveva parzialmente accolto il ricorso del N.A. contro l’avviso di accertamento per imposte dirette ed IVA 2006.
La CTR, nella parte che qui rileva,. osservava in particolare che, diversamente da quanto affermato dal primo giudice, le riprese fiscali dovevano considerarsi fondate con riguardo all’applicazione dello studio di settore; che invece doveva essere condiviso il decisum di prime cure in relazione alla imputazione delle sopravvenienze attive per contributo in conto impianti.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate. Considerato che:
Con il primo motivo -ex art. 36C, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- il ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione dell’art. 62 sexies, di 331/1993, poiché la CTR ha confermato la ripresa basata sull’applicazione degli studi di settore sia in relazione alla eccepita mancanza del contraddittorio endoprocedimentale sia in ordine all’efficacia probatoria dell’accertamento parametrico.
La censura è infondata.
Va ribadito che:
-«I parametri o studi di settore previsti dall’art. 3, commi 181 e 187, della l. n. 549 del 1995, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte deIl’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, ex art. 39, comma l, lett. d, del d.P.R. n. 600 del 1973, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento. ( Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis, comma 1, n. 1, c.p.c.)» (Cass., n. 14288 del 13/07/2016, Rv. 640541 – 01);
-«L’accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, questi ha l’onere di provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi da dimostrarsi da parte dell’Ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quando l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito» (Cass., n. 11633 del 15/05/2013, Rv. 626925 – 01).
La CTR campana ha fatto piena e corretta applicazione di tali, consolidati, arresti giurisprudenziali, per un verso, rilevando che il contraddittorio era stato correttamente avviato dall’agenzia fiscale, rimanendo peraltro il contribuente renitente e quindi, per altro verso, traendone la conseguenza della piena validità probatoria del parametro settoriale applicato con l’atto impositivo impugnato.
Ciò posto, per il resto il mezzo si profila quale inammissibile richiesta di rivalutazione delle conside1·azioni di merito contenute nella sentenza impugnata.
Con il secondo motivo -ex art. 350, primo comma, nn. 3-5, cod. proc. civ.- il ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione dell’art. 88, comma 3, lett. b), dPR 917/1986 e dell’omessa, insufficiente e contradditor:a motivazione circa un fatto controverso/decisivo, poiché la CTR 1a ritenuto giuridicamente corretta la ripresa fiscale inerente il contributo “in conto impianti”, parificandolo ad un contributo “in conto capitale”.
La censura è fondata.
Va ribadito che:
-«In tema di determinazione del reddito di impresa, sono contributi in conto capitale, e, quindi, sopravvenienze attive, quelli erogati per incrementare i mezzi patrimoniali del beneficiario, senza che la loro concessione si correli :1ll’onere di uno specifico investimento in beni strumentali, mentre sono contributi in conto impianti, che confluiscono nel reddito sotto forma di quote di ammortamento deducibile, quelli destinati all’acquisto di beni (materiali o immateriali) strumentali» ( Sez. 5, Sentenza n. 13734 del 06/07/2016, Rv. 640542 – 01);
-«In tema di determinazione del reddito d’impresa, i contributi “in conto impianti”, i quali sono destinati all’acquisto di beni (materiali o immateriali) strumentali, nel regime introdotto dalla l. n. 449 del 1997 non generano né sopravvenienze attive né ricavi, ma rilevano in diminuzione del costo fiscalmente riconosciuto del cespite cui afferiscono, concorrendo a formare il reddito d’impresa per competenza nel quale confluiscono sotto forma di quote di ammortamento deducibili, potendo esse e contabilizzati, a scelta del contribuente, in base ai principi contabili nazionali (OIC 16, par. F), imputando i contributi percepiti a riduzione diretta del cespite, oppure con la tecnica dei risconti passivi mediante imputazione graduale a conto economico pari alla ;t( ssa misura adottata per gli ammortamenti del cespite agevolato; pertanto, la loro ascrivibilità a fattori di produzione ad utilità ripetuta fa sì che la determinazione dell’obbligazione tributaria non sia istantanea e coincidente con l’incasso dei contributi stessi, ma prolunç1ata a più periodi di imposta, in quanto collegata agli ammortamenti» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 16776 del 06/08/2020, Rv. 658669 – 01).
Orbene, pacifico che nel caso di specie si tratti di un contributo “in conto impianti” e non “in conto capitale”, trattandosi di un finanziamento regionale per la ristrutturazione di un fabbricato strumentale (albergo), altrettanto pacifico che tale contributo è stato contabilizzato “al lordo” nel conto economico come ricavo, con corrispondente partita bilanciante (risconto passivo), risulta evidente che la sentenza impugnata si pone in contrasto con il secondo arresto giurisprudenziale, cui va senz’altro dato seguito, parificando senza alcuna ragione intellegibile il contributo de quo ad un contributo “in conto capitale” e validandone la ripresa fiscale per una sopravvenienza attiva del tutto insussistente. La fondatezza della denuncia per violazione di legge è comunque assorbente del dedotto vizio motivazionale.
In conclusione, accolto il secondo motivo del ricorso, rigettato il primo motivo, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo occorrenti ulteriori accertamenti di fatto, decidendosi nel merito va accolto il ricorso introduttivo della lite con riguardo alla ripresa relativa alla sopravvenienza attiva per contributo regionale nell’annualità fiscale oggetto dell’avviso di accertamento impugnato.
Stante la reciproca soccombenz2 le spese del processo vanno compensate.
PQM
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della lite in relazione al motivo accolto; compensa le spese del processo.