La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8312 del 04 aprile 2013 interviene in materia di accertamento del reddito con strumenti statistici (coefficienti presuntivi, studi di settore, parametri) riaffermando il principio secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, lo scostamento “per almeno un quarto” del reddito dichiarato rispetto a quello determinabile “sinteticamente” in base agli opportuni coefficienti di redditività costituisce, per univoca previsione dell’art. 38, comma quarto, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il limite invalicabile posto dal legislatore allo stesso potere dell’ufficio di determinazione sintetica del reddito, al fine evidente di temperare la rigidità propria di una applicazione meramente aritmetica dei cosiddetti “parametri” e di dare valenza – sia pure in via forfettaria – a possibili variabili caratteristiche di ciascuna produzione di reddito. La misura quantitativa di tale limite (venticinque per cento) va considerata, d’altro canto, del tutto ragionevole e quindi rispettosa dei precetti costituzionali.(così Cass. n. 15824/06 e Cass. n. 15837/2006).
La vicenda ha avuto inizio con la notifica di due avvisi di accertamento con veniva rettificava il reddito dichiarato dal contribuente in forza dell’applicazione dei coefficienti presuntivi di reddito di cui ai dd.mm. 10.9.1992 e 19.11.1992.
Il contribuente propone ricorso avverso gli atti impositivi notificategli inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che accoglieva la richiesta del contribuente ed annullava gli avvii di accertamento.
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in opposizione alla sentenza dei giudici di prime cure inanzi ai giudici di Appello confermavano la sentenza di primo grado affermando che gli atti sono privi di motivazione e, quindi, illegittimi non avendo l’Ufficio dimostrato né la misura del discostamento del reddito accertato da quello dichiarato. Inoltre, affermano i giudici di appello, le prove addotte, solo in grado di appello dall’Ufficio erano state contestate dal contribuente che aveva dimostrato che l’acquisto di uno dei beni alla base dei coefficienti era stato acquistato solo l’anno successivo a quelli dei periodi d’imposta oggetto dei due avvisi di accertamento.
Gli Ermellini confermando la decisione dei giudici di appello rigettano il ricorso dell’Agenzia condannandola al pagamento delle spese di giudizio.
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