CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 17724 depositata il 21 giugno 2023
Tributi – Diniego istanza rimborso – IVA – Società non operativa – Eccedenza credito – Soglia minima imponibile – Ricavi minimi previsti – Norme antielusive – Inettitudine produttiva – Rigetto – motivazione apparente – in tema di i.v.a., occorre ricordare che la disciplina di cui all’ art. 30 della l. n. 724/1994, che qualifica la società di comodo – non ammessa perciò al rimborso IVA – in rapporto alla sottoproduzione di ricavi, onera l’ente che non abbia raggiunto lo standard normativo a provare le situazioni giustificative
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso, con cinque motivi, contro (…) – (…) – Società Consortile per Azioni in liquidazione, che resiste con controricorso e spiega un unico motivo di ricorso incidentale condizionato, avverso la sentenza n. 1147/25/16 della Commissione tributaria regionale della Sicilia, pronunciata in data 6 luglio 2015, depositata in data 24 marzo 2016 e notificata il 23 maggio 2016, che ha rigettato l’appello principale dell’ufficio e quello incidentale della società in controversia avente ad oggetto l’impugnazione del diniego sull’istanza di rimborso dell’I.v.a. per l’anno di imposta 2008.
2. Il diniego impugnato dalla società contribuente si fondava sul rilievo che la società non fosse operativa e che, pertanto, ai sensi dell’art. 30, comma 4, l. n. 724/1994, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell’I.v.a. non era ammessa al rimborso, né poteva costituire oggetto di compensazione ai sensi dell’art. 17 d.lgs. n. 241 del 1997.
3. Con la sentenza impugnata, la C.t.r., rilevata, in linea di principio, l’applicabilità della disciplina delle società non operative anche alle società consortili per azioni, ha ritenuto che nel caso di specie l’inoperatività della società consortile fosse dovuta a cause oggettive non imputabili alla stessa, in quanto la costruzione dei termovalorizzatori fu impedita dalla sentenza del Giudice Europeo, alla quale seguì il diniego delle autorizzazioni amministrative e l’abbandono, sul versante politico, del progetto, peraltro ostacolato da eclatanti manifestazioni popolari.
4. Il P.G., F.T., ha fatto pervenire conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Parte controricorrente ha depositato memoria ed ha chiesto la discussione orale della causa.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la motivazione apparente e la violazione e falsa applicazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 132, comma 2, n. 4, cod. pro. civ., 118 disp. att. c.p.c., 1, comma 2, e 36, comma 2, nn. 2 e 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
La ricorrente, in particolare, deduce che la sentenza impugnata sarebbe affetta da nullità perché sorretta da una motivazione meramente apparente, contenente affermazioni generiche ed apodittiche, prive di collegamento con la fattispecie concreta.
1.2. Con il secondo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 30 della l. 23 dicembre 1994, n. 724, 2909 e 2602 c.c., in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
In primo luogo, la ricorrente deduce che la C.t.r. aveva erroneamente ritenuto la sussistenza di un giudicato in relazione alla mancata censura da parte dell’ufficio appellante degli accertamenti di cause oggettive, giustificative dell’inoperatività.
L’Agenzia delle entrate sostiene di aver contestato tale accertamento in fatto e riporta, quindi, un brano dell’atto di appello in cui si afferma che l’ambito soggettivo di efficacia della norma deve intendersi esteso a tutte le società che non abbiano conseguito risultati economici coerenti con gli investimenti patrimoniali effettuati, al fine di scoraggiare la permanenza in vita di società prive di concreti obiettivi imprenditoriali.
Inoltre, la ricorrente sostiene che la C.t.r. non avrebbe considerato la questione principale, ovvero il mancato adempimento dell’obbligo di ribaltamento dei costi dal consorzio alle società consorziate, al fine di poter qualificare il soggetto passivo che richiedeva il rimborso i.v.a.
Infine, ritiene l’ufficio che le norme di cui all’art. 30, commi 4bis e ter, l. 724/1994 non siano applicabili al caso di specie, in quanto il comma 4-bis, introdotto dall’art. 35, comma 15, lett.d) D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, si riferisce al caso in cui sia stata presentata istanza di disapplicazione della normativa antielusiva, mentre il comma 4 – ter si applica solo a partire dal 1 gennaio 2008 e presuppone un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate per l’individuazione delle situazioni oggettive che giustifichino la disapplicazione della disciplina in esame.
1.3. Con il terzo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4
Deduce l’ufficio che la C.t.r. ha pronunciato ultra petita nel ritenere che l’ufficio avesse l’onere di accertare in che misura l’inattività della società consortile fosse dovuta alla sussistenza di giuste cause di giustificazione.
1.4. Con il quarto motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che era stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nella circostanza relativa al mancato adempimento dell’obbligo di ribaltamento dei costi nei confronti delle consorziate. Nel caso di specie, l’ufficio sostiene che il comportamento della società era stato elusivo, in quanto si era accollata le ingenti spese, senza ribaltarle alle imprese consorziate, evidenziando il credito chiesto a rimborso, mentre, in caso di ribaltamento, le consorziate avrebbero potuto portare in detrazione l’I.v.a. assolta con un minor debito i.v.a. per il socio di maggioranza.
1.5. Con il quinto motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Con tale motivo, la ricorrente reitera la precedente doglianza, ritenendo che il giudice di appello non abbia pronunciato su tutta la domanda al suo esame.
2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato, la società contribuente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’ art. 30 della l. n. 724/1994, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la norma non si applichi ai consorzi ed alle società che si costituiscono per gli scopi indicati nell’art. 2602 c.c..
3.1. Il primo motivo del ricorso principale, anche logicamente prioritario in quanto denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente, deve ritenersi infondato.
Ed infatti, la mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132, n. 4, c.p.c. (e nel caso di specie dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), si configura quando la motivazione “manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata” (Cass. sez. un., n. 8053/2014, con riferimento al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., in seguito alla riforma di cui all’art. 54, comma 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile al caso in esame trattandosi di sentenza emessa dopo il 10 settembre 2012; successivamente, ex multis, Cass. n. 6626/2022; Cass. n. 22598/2018).
In particolare si è in presenza di una “motivazione apparente” allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste in argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarlo con le più varie ed ipotetiche congetture.
Nel caso di specie, la motivazione, non solo è graficamente presente, ma lascia chiaramente intendere le argomentazioni poste a fondamento della decisione.
Invero, la C.t.r., con la sentenza impugnata, ha ritenuto che l’ art. 30 della l. n. 724/1994 trovi applicazione anche per le società consortili costituite in società per azioni, che devono presumersi non operative in caso di mancato raggiungimento della soglia minima imponibile.
La presunzione fa, comunque, salva la prova contraria della società contribuente in ordine all’esistenza di oggettive situazioni che abbiano reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi previsti.
Secondo il giudice di appello, sussiste uno specifico potere-dovere dell’ufficio di “disapplicare” detta disposizione in presenza di specifiche situazioni oggettive, che giustifichino la mancata produzione del livello minimo di ricavi; per l’effetto l’ufficio ha l’obbligo di riscontrare la presenza di giuste cause che abbiano impedito l’operatività della società contribuente, onde previamente accertare la causa di inattività e la sussistenza di eventuali finalità elusive. Secondo la C.t.r., l’ufficio appellante, pur deducendo questioni sistematiche e di massima, nulla avrebbe contestato sull’accertamento di fatto come condotto dai primi giudici, che avevano riscontrato la sussistenza di cause oggettive di giustificazione dell’inoperatività, quali la sentenza del Giudice Europeo, alla quale seguì il mancato rilascio delle autorizzazioni amministrative e l’abbandono politico del progetto per la realizzazione dei termovalorizzatori, di guisa che la statuizione sul punto sarebbe divenuta definitiva.
La C.t.r, infine, ha rilevato che “il provvedimento impugnato finisce, comunque, per basarsi su di una argomentazione alquanto contraddittoria poiché, premesso lo scopo mutualistico proprio di ogni consorzio (ossia quale che ne sia la forma giuridica), ne trae l’obbligo, in ogni caso, del ribaltamento dei costi e dei proventi, trascurando totalmente il profilo formale dell’esistenza di una normale società di capitali che ben avrebbe potuto trovarsi in una giustificata situazione di inoperatività ai sensi dei commi 4- bis e 4 – ter dell’ art. 30 della l. n. 724/1994, articolo che la stessa amministrazione finanziaria ha ritenuto applicabile alla fattispecie, dato che – come più volte precisato – ha negato il rimborso alla (…) S.p.a. classificandola, immotivatamente, come una mera società di comodo” (cfr. p. 16 della sentenza).
La motivazione della sentenza impugnata è, dunque, ben al di là del minimo costituzionale, è effettiva e non meramente apparente e non incorre nel vizio denunziato con il primo motivo.
3.2. I successivi motivi del ricorso principale, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono infondati e vanno rigettati.
In primo luogo non può non rilevarsi che la contestazione dell’Agenzia delle entrate in ordine al mancato adempimento da parte della società consortile dell’obbligo di ribaltamento dei costi nei confronti delle consorziate è stata esaminata dalla C.t.r., che non è incorsa sul punto in alcuna omissione di pronunzia o di motivazione.
La C.t.r, infatti, non ha mancato di rilevare la contraddittorietà delle argomentazioni dell’Agenzia delle entrate, che ha negato il diritto al rimborso, richiesto dalla società consortile, sul presupposto che essa non fosse operativa, ai sensi dell’ art. 30 della l. n. 724/1994, ma ha poi sostenuto che lo scopo mutualistico proprio di ogni consorzio (ossia quale che ne sia la forma giuridica) avrebbe determinato l’obbligo, in ogni caso, del ribaltamento dei costi e dei proventi sulle consorziate, escludendo la possibilità, per la società consortile costituita nella forma di S.p.A., di dimostrare di trovarsi in una giustificata situazione di inoperatività ai sensi dei commi 4- bis e 4 – ter dell’ art. 30 della l. n. 724/1994.
Come questa Corte ha avuto modo di precisare, in materia di Iva, se il consorzio acquisisce ed esegue una commessa autonomamente, nell’ambito di una propria attività commerciale e a scopo di lucro, non dovrà procedersi ad alcun ribaltamento dei costi e ricavi tra i consorziati, che dovrà, invece, operarsi se il consorzio, pur avvalendosi di strutture proprie, abbia svolto servizi complementari, correlati alla finalità mutualistica e dunque nel caso di spese di gestione generale – da ripartirsi tra i singoli consorziati “pro quota” in relazione alla partecipazione di ciascuno al consorzio e alle commesse eseguite dallo stesso consorziato o miste (Cass. n. 25518/2020).
Sulla questione, dunque, la C.t.r. ha congruamente e logicamente motivato, risultando del tutto generiche le doglianze dell’Agenzia ricorrente, la quale sostiene che il mancato ribaltamento dei costi costituirebbe un indice univoco del carattere elusivo del consorzio, indipendentemente dall’attività svolta e dalla forma concretamente assunta dallo stesso (in particolare, quarto e quinto motivo di ricorso).
Passando alle ulteriori argomentazioni (contenute nel secondo motivo di ricorso) sull’inapplicabilità delle norme sulle cause oggettive di giustificazione dell’inoperatività, il collegio rileva che, sebbene ai sensi del comma 4-bis dell’ art. 30 della l. n. 724/1994 vigente ratione temporis il terreno elettivo per la dimostrazione delle “oggettive situazioni” che abbiano impedito la regolare operatività sia quello dell’interpello disapplicativo disciplinato nella stessa sede, il contribuente può comunque proporre la questione dei presupposti della disapplicazione per la prima volta direttamente in giudizio, senza la previa proposizione dell’interpello.
Come questa Corte ha avuto modo di precisare (cfr. Cass. n. 4946/2021), la riformulazione del testo dell’art. 30 applicabile ratione temporis al caso di specie (anno di imposta 2008), con l’eliminazione nel comma 1 del riferimento alla prova contraria da parte del contribuente, non ha fatto assurgere l’interpello disapplicativo a condizione di procedibilità e di limitazione della tutela giurisdizionale del contribuente, né ha comportato l’elisione della facoltà, per quest’ultimo, di superare la presunzione legale di “non operatività”, sancita in precedenza dal comma 1 della disposizione in esame, mediante la dimostrazione in giudizio di circostanze oggettive e non imputabili che abbiano reso impossibile il conseguimento di ricavi.
Pertanto, conserva validità il principio, più volte enunciato da questa Corte, secondo il quale, in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), la presentazione dell’interpello e la conseguente risposta negativa dell’Amministrazione ha natura di parere, al quale il contribuente può non adeguarsi, senza doverlo necessariamente impugnare, per evitarne la cristallizzazione, potendo comunque impugnare gli atti successivi di applicazione delle disposizioni antielusive (Cass. n. 18807/2017; n. 6200/2015).
La mancata presentazione dell’interpello o la risposta negativa dell’amministrazione finanziaria non impediscono al contribuente di esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico impositivo che gli venga successivamente notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva; in ogni caso, anche se l’interpello non sia stato proposto, il contribuente potrà comunque richiedere in sede giurisdizionale l’accertamento dei presupposti per la disapplicazione della disciplina antielusiva (Cass. n. 17010/2012; n. 7402/2019; n. 10158/2020; da ultimo Cass. n. 16472/2022).
Si è anche rilevato che le modifiche apportate all’ art. 30 della l. n. 724/1994 dalla l. n. 296/2006 non hanno eliminato la possibilità per il contribuente di vincere la presunzione legale della finalità elusiva delle società non operative attraverso la prova contraria qualificata, contenutisticamente tipizzata dalla l. n. 724/1994, art. 30 comma 4-bis, della ricorrenza di una situazione oggettiva a sé non imputabile che ha reso impossibile il conseguimento di ricavi e la produzione di reddito entro la soglia minima stabilita ex lege.
Tali principi, specificamente enunciati in materia di impugnazione dell’avviso di accertamento, devono ritenersi applicabili anche nel caso in cui si controverta sull’impugnazione del diniego avverso l’istanza di rimborso presentata dal contribuente.
Specificamente in tema di i.v.a., occorre ricordare che la disciplina di cui all’ art. 30 della l. n. 724/1994, che qualifica la società di comodo – non ammessa perciò al rimborso IVA – in rapporto alla sottoproduzione di ricavi, onera l’ente che non abbia raggiunto lo standard normativo a provare le situazioni giustificative: il fallimento del cd. test di operatività istituisce cioè una presunzione iuris tantum di inoperatività, che è onere della società vincere mediante prova contraria esplicativa dell’anomalia reddituale (v. Cass. n. 6195/2017).
Nel caso di specie la C.t.r. ha ritenuto che l’inoperatività della società consortile fosse dovuta a cause oggettive non imputabili alla stessa, e, richiamando la motivazione dei giudici di prima istanza, ha precisato che la costruzione dei termovalorizzatori fu impedita dalla sentenza del Giudice Europeo, alla quale seguì il diniego delle autorizzazioni amministrative e l’abbandono, sul versante politico, del progetto, peraltro ostacolato da eclatanti manifestazioni popolari.
Come questa Corte ha chiarito (Cass. n. 36365/2021), tra le oggettive situazioni possono rientrare i casi in cui non sono state concesse le necessarie autorizzazioni amministrative (Cass. n. 34642/2019), pur essendo state tempestivamente richieste, oppure il caso in cui venga svolta esclusivamente un’attività di ricerca propedeutica all’esercizio di un’altra attività produttiva, sempre che la stessa attività di ricerca non consenta, di per se´, la produzione di beni e servizi e la conseguente realizzazione di proventi (in tal senso vedi Circ. dell’Agenzia delle entrate 2 febbraio 2007, n. 5/E).
Tuttavia, le oggettive situazioni che rendono impossibile il conseguimento della soglia dei ricavi e degli altri elementi positivi di reddito non sussistono in caso di carenze “pianificatorie” aziendali (Cass. n. 27976/2020).
In particolare, si è detto che il mancato ottenimento di benefici economici non può costituire una situazione oggettiva in grado di disinnescare la presunzione legale di società di comodo, emersa a seguito del test di operatività, in quanto l’imprenditore non può basare la propria attività esclusivamente sull’ausilio e sul supporto di incentivi economici pubblici, incorrendo in una carenza di pianificazione e di programmazione dell’attività economica.
Questa Corte ha, dunque, enunciato il principio secondo cui “in tema di società di comodo, non sussistono le oggettive situazioni di carattere straordinario, che rendono impossibile il superamento del test di operatività, ex art. 30, comma 4bis, della l. n. 724/1994, nella versione all’epoca vigente, nell’ipotesi di totale assenza di pianificazione aziendale da parte degli organi gestori della società o di completa “inettitudine produttiva”, gravando sull’imprenditore, anche collettivo, – ai sensi dell’art. 2086, comma 2, c.c., come modificato dall’art. 375 c.c., in coerenza con l’art. 41 Cost. – l’obbligo di predisporre i mezzi di produzione nella prospettiva del raggiungimento del lucro obiettivo e della continuità aziendale” (Cass. n. 36365/2021, sopra citata).
Nella fattispecie in esame non si ravvisano carenze organizzative imputabili all’imprenditore, poiche`, come evidenziato dal giudice di merito, l’impedimento allo svolgimento dell’attività imprenditoriale e` dipeso dall’intervento del giudice Europeo (con la sentenza della CGEU del 18 luglio 2007, emessa a seguito di ricorso proposto dalla Commissione nella procedura di infrazione a carico della Repubblica italiana), che ha reso impossibile l’inizio dell’attività, già ostacolato da un lungo iter amministrativo di rilascio delle necessarie autorizzazioni per la costruzione dei termovalorizzatori, tempestivamente richieste dalla società.
La C.t.r., sulla base di tali considerazioni, con una valutazione di merito pienamente confermativa di quella del giudice di prime cure, peraltro non specificamente contestata dall’amministrazione ricorrente, ha ritenuto che ricorressero cause oggettive, non imputabili alla società, giustificative dell’inoperatività.
Ne’ assume rilievo determinate la considerazione che non sarebbe corretta la successiva affermazione della C.t.r. in ordine all’inammissibilità dell’appello principale “per l’omessa impugnazione di uno specifico capo di motivazione della sentenza”, avendo l’ufficio appellante contestato, a monte, la stessa applicabilità delle cause di giustificazione di cui al comma 4- bis dell’ art. 30 della l. n. 724/1994.
Ritiene il collegio che tale successiva argomentazione non assorba la precedente ratio decidendi, ma abbia una portata semplicemente conclusiva e rafforzativa della decisione di rigetto dell’appello principale dell’Ufficio per le argomentazioni di merito precedentemente esposte.
Infine, con riferimento al vizio di ultra petizione, dedotto con il terzo motivo di ricorso, perché secondo l’Agenzia delle entrate la C.t.r. avrebbe pronunciato sulla disapplicazione della presunzione di cui all’art. 30 della l. n. 724/1994 in assenza di istanza della parte, anch’esso non sussiste, in quanto l’accertamento delle cause giustificative del mancato conseguimento della soglia imponibile prevista dalla legge è funzionale a consentire il rimborso del credito i.v.a., escluso ai sensi dello stesso art. 30 citato per le società non operative.
4. Atteso il rigetto del ricorso principale, rimane assorbito il ricorso incidentale, conformemente all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest’ultima sia possibile) da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale” (Cass. s.u. n. 5456/2009).
5. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità in favore di parte controricorrente, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1quater, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale, e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre il 15 % per spese generali, Euro 200,00 per esborsi, i.v.a. e c.p.a. come per legge.